Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24068 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24068 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Cariati il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/12/2023 del Tribunale della libertà di Cosenza
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria redatta dal difensore, AVV_NOTAIO, che insiste per l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Cosenza, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Castrovillari avente ad aggetto i terreni e le opere su di essi realizzate, indicate nel capo d’incolpazione provvisoria, in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 30, comma 1, e 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001.
In particolare, all’COGNOME, nella qualità di legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, si contesta di avere realizzato, in concorso con altri soggetti, in località Fiumarella nel comune di Crosia, sui terreni censiti in catasto al foglio di mappa n. 9, particella n. 179, zona territorial omogenea CTM4 (espansione turistica Mirto), sulla base dei permessi illeciti, taluni fabbricati bifannigliari, indicati nel capo di incolpazione.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME, nella veste di indagato, ha proposto ricorso per cassazione che deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 125, comma 3, 321 e 324 cod. proc. pen.
Espone il difensore che il Tribunale non si sarebbe confrontato con le argomentazioni e i rilievi tecnici contenuti nella memoria difensiva e nella consulenza a firma dell’ing. COGNOME e dell’arch. COGNOME, il cui contenuto viene integralmente riportato nel corpo del ricorso (alle pp. da 6 a 31). La motivazione, in relazione alla sussistenza del fumus, sarebbe perciò apparente, avendo il Tribunale ignorato gli elementi addotti dalla difesa. Allo stesso modo, la motivazione sarebbe mancante in relazione al periculum, che non può essere ravvisato sulla mera confiscabilità della res e, anche in relazione a tale aspetto, il Tribunale ha omesso di considerare i rilievi difensivi.
Il ricorso è inammissibile perché proposto da un soggetto privo di interesse.
Va ricordato che il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di misure cautelari, sia personali che reali, è un mezzo di impugnazione che, al pari di ogni impugnazione, richiede, in capo al soggetto legittimato, l’esistenza di un concreto interesse ad impugnare, applicandosi la AVV_NOTAIO disposizione di cui all’art. 568, comma 4, cod. proc. pen.
A
All’elaborazione del concetto di interesse ad impugnare hanno contribuito le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione che, in adesione ad una nozione “utilitaristica”, hanno affermato che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione, o la riforma della decisione gravata, renda possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Dunque, la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione o la correttezza formale del procedimento. Non ammette, in altri termini, un’impugnazione che non produca alcun effetto pratico favorevole alla posizione giuridica del soggetto, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (S.U., n. 12234 del 23/11/1985, COGNOME, Rv. 171394; Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, COGNOME, Rv. 197536; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.M. in proc. Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815 39; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 244108 40; Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, COGNOME, Rv. 249002).
L’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve essere concreto e, cioè, mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato. Esso, pertanto, deve persistere sino al momento della decisione e sussiste soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente.
5. In maniera del tutto consequenziale, si è perciò affermato, con indirizzo interpretativo costante, che l’indagato è legittimato ad impugnare il provvedimento che disponga una misura cautelare reale ovvero che ne confermi l’applicazione solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale all’impugnazione stessa, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (tra le più recenti, cfr. Sez. 5, n. 35015 del 09/10/2020, Astolfi, Rv. 280005-01; Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, COGNOME, Rv. 277753-04); affinché sia legittimato a proporre impugnazione, pertanto, l’indagato deve reclamare una relazione con la cosa a sostegno della sua pretesa alla cessazione del vincolo, in quanto il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014, COGNOME, Rv. 259601).
Nel caso di specie, è certo che i terreni oggetto di sequestro sono di proprietà non dell’indagato, bensì della società di cui l’RAGIONE_SOCIALE è legale rappresentante.
E’ perciò manifesta la mancanza di interesse del ricorrente, che agisce in proprio e non, come avrebbe dovuto, quale legale rappresentante della società proprietaria dei beni oggetto del provvedimento ablativo, per l’assorbente ragione che, in ipotesi, l’eliminazione del decreto di sequestro avrebbe come unico effetto quello di sciogliere il vincolo ablativo con conseguente restituzione di detti beni alla società, senza alcun vantaggio per il ricorrente medesimo nella veste di indagato.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 09/05/2024.