Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34266 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34266 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto dalla parte civile COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 15/11/2024 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti del procedimento a carico di COGNOME NOME nato a Milano il DATA_NASCITA;
visti il provvedimento impugnato, il ricorso e le conclusioni depositate dalle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udite le conclusioni del difensore della parte civile ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito nei motivi di ricorso, chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato e depositato nota-spese;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La parte civile NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 15 novembre 2024 con cui la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 19 ottobre 2017, ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 646 cod. pen. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
La ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta erronea applicazione degli artt. 129 e 530 cod. proc. pen. nonché erroneità e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta ammissibilità dell’appello proposto da NOME COGNOME COGNOME.
2.1. La difesa ha, in via preliminare, dedotto l’erroneità della motivazione resa dalla Corte distrettuale in ordine alla ritenuta ammissibilità dell’appello proposto dal COGNOME sotto il profilo della sussistenza di un interesse concreto ed attuale all’ottenimento di una formula più favorevole, idonea ad elidere qualsivoglia effetto pregiudizievole derivante dalla pronuncia di primo grado.
In particolare, la ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, assumendone l’erroneità nella parte in cui la Corte territoriale ha ravvisato un interesse del COGNOME a proporre appello avverso la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, fondando tale conclusione sul presupposto che il primo giudice avesse riconosciuto la titolarità del diritto di proprietà sui gioielli sottoposti a sequestro in capo agli eredi COGNOME.
Secondo la prospettazione difensiva, il giudice di primo grado si sarebbe, in realtà, limitato a rilevare l’assenza di una prova evidente di innocenza ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in ragione del contrasto sussistente tra le emergenze probatorie, senza tuttavia assumere alcuna determinazione in ordine alla questione -rimasta controversa- concernente la titolarità dei beni in sequestro.
Siffatta deliberazione, priva di qualsivoglia statuizione suscettibile di incidere in senso sfavorevole sulla posizione del COGNOME, risulterebbe, pertanto, inidonea a determinare un effetto pregiudizievole nei suoi confronti. Da ciò conseguirebbe l’insussistenza di un qualsivoglia interesse ad impugnare da parte del COGNOME nonché la conseguente abnormità strutturale della sentenza di riforma emessa dalla Corte territoriale.
2.2. Ciò premesso, la ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato ‘una sorta di automatismo’ per il quale in caso di ‘persistente contraddittorietà probatoria’ (vedi pag. 5 del ricorso) il giudice di merito dovrebbe necessariamente pronunciare sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen.
Secondo la prospettazione difensiva, tale affermazione si porrebbe in palese contrasto con la corretta interpretazione sistematica dell’art. 507 cod. proc. pen., disposizione che, lungi dal prevedere un obbligo di assoluzione in caso di contrasto tra le risultanze probatorie, attribuisce al giudice il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, al fine di pervenire a un accertamento completo dei fatti e alla risoluzione delle contraddizioni emergenti.
Nel caso di specie – ove non fosse intervenuta la causa estintiva del reato per decorso del termine massimo di prescrizione con conseguente obbligo di immediata declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. – il Tribunale avrebbe, pertanto, avuto a disposizione poteri processuali idonei alla risoluzione della ‘contraddittorietà probatoria’ evidenziata dai giudici di appello.
2.3. La ricorrente ha, infine, dedotto vizio di motivazione in relazione alla parte della sentenza impugnata nella quale i giudici di appello hanno ritenuto che l’imputato fosse incorso in un errore di fatto idoneo ad escludere l’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita, omettendo di considerare gli elementi logico-fattuali che, secondo la prospettazione difensiva, mal si concilierebbero con la buona fede del COGNOME NOME, apparendo, in particolare, poco verosimile che NOME COGNOME non avesse informato il figlio di non aver alcun diritto successorio sui preziosi in sequestro. È stato, inoltre, affermato che il convincimento del COGNOME COGNOME in ordine al fatto che i preziosi fossero di proprietà della madre, valorizzato dai giudici di appello ai fini della pronuncia assolutoria, non sarebbe comunque riconducibile ad un errore di percezione di un dato storico-fattuale quanto piuttosto ad un errore di diritto concernente le norme in materia successoria con conseguente error in iudicando da parte della Corte distrettuale.
I giudici di appello, peraltro, non avrebbero dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali un soggetto come il COGNOME ‘ appartenente all’alta borghesia italiana e con importanti esperienze lavorative di tipo manageriale nel contesto di grandi realtà aziendali ‘ sia potuto incorrere in un errore tanto
grossolano ‘ relativamente ad una disciplina giuridica di notoria conoscenza ‘ (vedi pag. 13 del ricorso) con conseguente carenza di motivazione sul punto.
La ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 129 e 603 cod. proc. pen. nonché carenza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
La Corte territoriale, dopo avere disposto -su istanza della parte civilel’acquisizione di due sentenze emesse dalle autorità giudiziarie statunitensi nell’ambito di un procedimento civile avente ad oggetto beni appartenenti alla collezione COGNOME e, quindi, ritenuto tale acquisizione assolutamente necessaria ai fini della decisione, avrebbe omesso qualsivoglia argomentazione in ordine al valore probatorio delle predette decisioni, incorrendo, pertanto, in una totale carenza di motivazione sul punto.
Secondo la prospettazione difensiva, la mancata valutazione delle richiamate pronunce straniere nelle quali veniva riconosciuta l’indebita appropriazione, da parte di NOME COGNOME NOME, di beni già appartenuti a NOME COGNOME – avrebbe inciso in maniera determinante sul percorso logico-giuridico seguito dai giudici di appello, inficiandone la coerenza argomentativa e ponendo in dubbio la correttezza della pronuncia assolutoria oggetto di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve essere accolto per i motivi che seguono. L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che:
Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 19 ottobre 2021, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di appropriazione indebita per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione nonché rimesso gli atti al giudice civile per la risoluzione della controversia in merito alla proprietà dei gioielli sottoposti a sequestro.
La sentenza di primo grado è stata appellata dal solo NOME COGNOME, il quale ha invocato la sua assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. con conseguente dissequestro e restituzione degli orecchini in sequestro.
Con sentenza deliberata in data 15 novembre 2024, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di non doversi precedere emessa dal Tribunale, ha assolto NOME COGNOME NOME dal reato
di appropriazione indebita perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato e confermato le restanti statuizioni della sentenza di primo grado.
L’appello proposto da NOME COGNOME COGNOME, come correttamente sostenuto dalla ricorrente, doveva essere dichiarato inammissibile perché dedotto in carenza di interesse.
Preliminarmente deve essere evidenziata l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione con cui la Corte di merito ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal COGNOME; i giudici di appello hanno, infatti, affermato che l’appellante aveva un interesse concreto ed attuale ad impugnare la sentenza di non doversi procedere sul presupposto che il Tribunale avesse ‘ ritenuto provato che i gioielli fossero di proprietà degli eredi ed in violazione di tale diritto, l’imputato consapevolmente li ha venduti ‘ (vedi pag. 6 della sentenza oggetto di ricorso).
Tale assunto si rivela, tuttavia, palesemente erroneo alla luce della stessa motivazione della sentenza di primo grado, la quale esclude in modo inequivocabile che l’istruttoria dibattimentale abbia dimostrato la titolarità dei beni in sequestro in capo agli eredi COGNOME. In particolare, il Tribunale -evidenziando la contraddittorietà delle emergenze probatorie -ha stabilito di rimettere: ‘ la risoluzione della controversia in merito alla proprietà dei gioielli sottoposti a sequestro, al Giudice Civile, mantenendo nel frattempo la sottoposizione di questi a tale misura ‘ (cfr. pag. 15 della sentenza di primo grado), statuizione che si pone in insanabile contrasto con l’affermazione contenuta nella motivazione oggetto di ricorso, secondo cui la proprietà dei gioielli sarebbe stata ritenuta provata in sede penale.
Deve essere, inoltre, rimarcato che la motivazione in esame si caratterizza per una manifesta contraddittorietà logica interna: dopo aver affermato che il primo giudice avrebbe riconosciuto il diritto di proprietà degli eredi NOME sui beni oggetto di sequestro (v. pag. 6 della sentenza d’appello), la stessa Corte di merito ha evidenziato ‘ la contraddittorietà del quadro probatorio con riferimento alla proprietà dei gioielli e quindi la necessità di confermare quanto statuito dal primo giudice con riferimento alla questione relativa ai gioielli in sequestro essendo questione civilistica ‘ (vedi pag. 11 della sentenza oggetto di ricorso), così privando di coerenza interna l’intero impianto motivazionale e rendendo -in tal modo- la decisione priva dei requisiti di completezza e razionalità richiesti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.
Ciò premesso, deve essere ricordato che l’art. 568, comma quarto, cod. proc. pen. pone, come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, la sussistenza di un interesse diretto a rimuovere un effettivo pregiudizio derivato alla parte dal provvedimento impugnato.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, COGNOME, Rv. 251693; Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, NOME, Rv. 269199 -01; Sez. 5, n. 2747 del 06/10/2021, Migliore, Rv. 282542 -01; da ultimo Sez. 4, n. 26834 del 36/06/2025, COGNOME, non massimata).
Ne discende che l’interesse ad impugnare deve rivestire carattere di effettività e concretezza, traducendosi in un vantaggio pratico e attuale per l’impugnante, il quale, peraltro, è onerato dell’indicazione specifica del pregiudizio asseritamente subito. Non può, viceversa, ritenersi sufficiente un mero e astratto interesse alla correttezza teorica della decisione, privo di effettiva incidenza sulla posizione processuale del soggetto che propone il gravame.
Peraltro, il Collegio condivide il principio di diritto secondo cui, in presenza di una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, è necessario che l’impugnante alleghi «un qualche concreto interesse a ottenere l’annullamento della sentenza impugnata, ivi compreso un qualche apprezzabile interesse ad evitare conseguenze extra-penali pregiudizievoli» (così, di recente, Sez. 4, n. 18343 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275760-01, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interesse delle imputate all’impugnazione della sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione e revocato le statuizioni civili a loro carico).
Nel caso in esame, l’atto di appello proposto dal COGNOME, a prescindere dalle argomentazioni in esso svolte a sostegno di un proscioglimento nel merito, non esplicita quale specifica e concreta utilità sarebbe derivata dall’annullamento della sentenza di primo grado, né indica elementi dai quali possa desumersi un apprezzabile interesse ad evitare conseguenze pregiudizievoli di natura extra-penale o ad assicurarsi effetti penali più favorevoli che l’ordinamento faccia dipendere dalla pronuncia domandata.
Per di più, la struttura e il contenuto complessivo dell’atto di appello appaiono conformati secondo lo schema tipico di un gravame avverso una sentenza di condanna, piuttosto che di un’impugnazione proposta contro una declaratoria di non doversi procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
L’appellante, in particolare, si è limitato a dedurre le ragioni dell’insussistenza del reato di appropriazione indebita, senza tuttavia chiarire quale beneficio giuridicamente apprezzabile -sul piano penale o su quello extra-penale -avrebbe potuto trarre da un’eventuale pronuncia assolutoria rispetto alla decisione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione già pronunciata dal Tribunale.
Ne consegue che, in mancanza di una puntuale e specifica allegazione di un concreto interesse all’impugnazione, deve ritenersi integrata la causa di inammissibilità dell’appello proposto dal COGNOME, per difetto dell’interesse ad impugnare ai sensi dell’art. 568, comma quarto, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 35989 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 265604-01; la già citata Sez. 4, n. 18343 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275760 -01; successivamente, in senso conforme Sez. 4, n. 24763 del 13/01/2022, Carbone; Sez. 2, n. 46009 del 17/11/2021, COGNOME, non massimata; Sez. 7, n. 19224 del 14/04/2021, COGNOME, non massimata; Sez. 6, n. 15539 del 23/03/2021, NOME; Sez. 2, n. 11568 del 03/02/2021, COGNOME, non massimata).
Deve, infine, essere rimarcato che l’unico interesse astrattamente configurabile -sebbene non esplicitamente dedotto, ma desumibile dal tenore delle conclusioni formulate a seguito dell’invocata assoluzione con formula piena- potrebbe individuarsi nella prospettata restituzione dei gioielli sottoposti a vincolo reale, a fronte della pronuncia di primo grado che aveva rimesso al giudice civile la definizione della controversia relativa alla proprietà degli stessi.
Sul punto, il Collegio intende riaffermare il consolidato principio di diritto secondo cui il provvedimento con il quale il giudice penale dispone la rimessione delle parti dinanzi al giudice civile per la risoluzione della questione concernente la titolarità dei beni oggetto di sequestro è inoppugnabile, in quanto privo di contenuto decisorio e, pertanto, inidoneo a produrre effetti pregiudizievoli immediati nella sfera giuridica delle parti, le quali conservano la facoltà di far valere le proprie ragioni nella competente sede civile (vedi Sez. 5, n. 9108 del 19/11/2013, COGNOME, Rv. 259994 -01; Sez. 2, n. 35665 del 16/05/2014, COGNOME, Rv. 259981 -01; da ultimo negli stessi termini Sez.
5, n. 26416 del 28/02/2019, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 35886 del 03/11/2020, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 17704 del 31/01/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 5, n. 13310 del 29/01/2025, COGNOME, non massimata).
6 . In conclusione, l’accertata inammissibilità dell’atto di appello proposto da NOME COGNOME NOME e la fondatezza del primo motivo di ricorso comportano l’annullamento senza rinvio della sentenza di appello oggetto di impugnazione.
7 . L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo, che risulta privo di autonoma rilevanza ai fini della decisione.
NOME COGNOME NOME deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile NOME COGNOME che, in base alla qualità dell’opera prestata in relazione alla natura e all’entità delle questioni dedotte, vanno liquidate nei termini precisati in dispositivo.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna, inoltre, NOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 02/10/2025
Il AVV_NOTAIO Estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME