Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11094 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11094 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LUCCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 17 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Lucca, che aveva condannato NOME alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 650,00 di multa, per due episodi di furto in abitazione.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, nel maggio 2015, si sarebbe illegittimamente introdotto nelle pertinenze dell’abitazione della famiglia RAGIONE_SOCIALE e si sarebbe impossessato di un frullino, di un trattorino “Husquwarna” e di due taniche di benzina. Sempre nel maggio 2015, si sarebbe illegittimamente introdotto nelle pertinenze dell’abitazione di NOME e si sarebbe impossessato di un trattorino “Jhon Deer”.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che l’imputato non avesse interesse rispetto al motivo di gravame in questione, poiché non avrebbe considerato che: la pena pecuniaria applicata all’esito del giudizio ordinario (euro 650,00 di multa) era superiore rispetto a quella concordata tra le parti (euro 306,00 di multa); la sentenza di patteggiamento, a differenza di quella emessa all’esito del giudizio ordinario, non produce alcuna efficacia extra pe na le.
Rappresenta che: all’udienza dell’il maggio 2017, il Tribunale aveva ammesso l’imputato alla messa alla prova; all’udienza del 24 maggio 2018, il Tribunale aveva revocato l’ammissione e aveva disposto il rinvio del processo all’udienza del 26 novembre 2018, senza aprire il dibattimento; all’udienza del 26 novembre 2018, l’imputato aveva chiesto di definire il processo nelle forme del patteggiannento, con applicazione della pena, concordata dalle parti, di mesi otto e giorni dieci di reclusione ed euro 306,00 di multa; il Tribunale aveva rigettato l’istanza di patteggiamento, ritenendola intempestiva e incompatibile con la precedente richiesta di messa alla prova; la difesa aveva proposto specifico motivo di appello sul punto, sostenendo che l’istanza di patteggiamento, essendo stata proposta prima ~apertura del dibattimento, dovesse essere considerata tempestiva e compatibile con la precedente richiesta di messa alla prova; la Corte territoriale aveva ritenuto inammissibile il motivo di gravame per carenza di interesse, atteso che l’imputato, all’esito del giudizio ordinario, era stat condannato ad una pena detentiva (mesi otto di reclusione) inferiore a quella che era stata concordata con il pubblico ministero (mesi otto e giorni dieci di reclusione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la decisione dei giudici di merito di non avere riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., evidenziando che – come emergerebbe dalla comunicazione di notizia di reato del 31 giugno 2015 e dalla relazione di servizio dell’il giugno 2015 – l’imputato si sarebbe spontaneamente
adoperato per consentire il recupero e la restituzione al proprietario del trattorino “Husquwarna” e di due taniche di benzina.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha depositato una memoria scritta con la quale ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale e ha chiesto di accogliere il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I.. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Va premesso che, «in tema di ricorso per cassazione, ai fini della sussistenza del necessario interesse ad impugnare, non è sufficiente la mera pretesa preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata» (Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019, Rv. 276274). Il mezzo di impugnazione deve invero perseguire un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. 4, n. 16029 del 28/02/2019, Rv. 27565101).
Tanto premesso, appare evidente che il ricorrente non ha interesse a far valere il motivo di impugnazione in questione, atteso che il risultato concretamente perseguibile sarebbe quello di ottenere l’applicazione di una pena detentiva più grave rispetto a quella applicata con la sentenza impugnata. E non si può ritenere che l’interesse a impugnare possa essere legato alle diverse conseguenze che ne deriverebbero in termini di pena pecuniaria e di effetti extrapenali della sentenza, atteso che la pena della reclusione – determinando la privazione della libertà personale del soggetto – è sicuramente dotata, per sua natura, di una maggiore carica afflittiva, rispetto alla pena pecuniaria e agli effetti extrapenali de sentenza. Né il ricorrente ha spiegato perché, nel caso concreto, la pena pecuniaria che viene in questione (344,00 euro) e gli effetti extrapenali (neppure prospettati in termini concreti dal ricorrente) potrebbero assumere una carica afflittiva maggiore rispetto alla pena detentiva in questione (dieci giorni di reclusione).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, è manifestamente infondato, atteso che – anche a volere ritenere provato quanto sostenuto dal ricorrente – il risarcimento risulterebbe solamente parziale, atteso che ai legittimi proprietari risulterebbe restituita solo una parte dei beni sottratti. Al riguardo, va ribadito che, «ai fini dell’applicazion della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. è necessario che il colpevole abbia provveduto, prima del giudizio, alla riparazione del danno mediante il risarcimento totale ed effettivo, non potendo ad esso supplire un ristoro parziale, avvenuto attraverso la sola restituzione della refurtiva» (Sez. 2, n. 9535 del 11/02/2022, Cortiglia, Rv. 282793; Sez. 5, n. 44562 del 28/05/2015, Talji, Rv. 265092). Nel caso in esame, anche a volere ritenere fondato quanto affermato dal ricorrente, non risulterebbe neppure integralmente restituita la refurtiva.
Sotto altro profilo, deve essere evidenziato che: la Corte di appello ha ritenuto che l’imputato non abbia «volontariamente restituito alcunché alle persone offese»; il ricorrente offre una diversa ricostruzione dei fatti (secondo la quale i ricorrente avrebbe volontariamente restituito i beni), che dovrebbe desumersi da una comunicazione di notizia di reato e da una relazione di servizio.
Ebbene appare evidente che il ricorrente non deduce alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma, con riferimento alla circostanza in questione, mira a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME no).
Va, peraltro, rilevato che il ricorso risulta del tutto privo del requisito autosufficienza, non avendo il ricorrente allegato al ricorso gli atti dai qual dovrebbe desumersi la spontanea restituzione dei beni sottratti e non avendo chiesto alla cancelleria dell’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento impugnato di allegarli.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 dicembre 2023.