Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 835 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 835 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Boscoreale il 30/06/1967, avverso l’ordinanza del 23/05/2024, del Giudice del Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di Giudice dell’esecuzione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza datata 23 maggio 2024, il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’istanza presentata da NOME COGNOME e diretta ad ottenere la revoca dell’ingiunzione a demolire relativamente all’ordine di demolizione emesso con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 01/12/2005, divenuta irrevocabile il 09/06/2006.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per inosservanza e, comunque, erronea applicazione dell’art. 130 cod. proc. pen, nella misura in cui il giudice monocratico del Tribunale di Torre Annunziata ha ritenuto “frutto di refuso” l’indicazione nel dispositivo di sentenza di limitare la demolizione alle sole opere esterne, disponendo in tal modo la demolizione dell’intero manufatto.
In sintesi, la difesa precisa che, nonostante il dispositivo della sentenza n. 1624 del 2005 del giudice monocratico di Torre Annunziata prevedesse la demolizione delle “opere esternamente al fabbricato di proprietà dell’imputata”, il pubblico ministero aveva richiesto, con l’ingiunzione a demolire, la demolizione dell’intero manufatto. Ed il giudice dell’esecuzione, con erronea applicazione dell’art. 130 cod. proc. pen., aveva ritenuto il dispositivo erroneo, disponendo la demolizione dell’intero manufatto, alla luce della imputazione che atteneva alla abusiva edificazione dell’intero immobile.
Deduce, quindi, la ricorrente che, nel caso in esame, non era stato emesso un ordine di demolizione dell’intero immobile e che, inoltre, la parte motiva della sentenza era in sintonia con la parte dispositiva, avendo il giudice monocratico precisato che l’imputata “aveva realizzato un cambio di destinazione d’uso, trasformando il piano seminterrato da garage ad abitazione e realizzato strutture esterne al fabbricato”. Conseguentemente, l’omesso riferimento alla abusiva realizzazione del corpo di fabbrica originario dimostrava come l’attività dibattimentale si fosse concentrata solo sul cambio di destinazione d’uso e sulle opere esterne e, proprio sulla scorta delle emergenze dibattimentali, il giudice monocratico aveva poi disposto la demolizione delle sole opere esterne conformemente a quanto ritenuto nella parte motiva.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per vizio motivazionale con riferimento alla motivazione apparente utilizzata dal giudice dell’esecuzione per rigettare l’incidente di esecuzione proposto.
Lamenta la difesa l’apparenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, che, calibrando la necessità di demolire l’intero manufatto sulla imputazione della sentenza ed argomentando nel senso che, al rigetto del condono, consegue l’impossibilità di disporre la revoca dell’ordine di demolizione, non risponde e non si confronta con la richiesta difensiva che, invece, sottoponeva la questione relativa all’avvenuto ripristino delle opere abusive contestate all’imputata, attraverso l’avvenuta demolizione delle sole opere esterne in corretta applicazione del dispositivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Giova preliminarmente, per la migliore comprensione della vicenda e l’adeguato apprezzamento delle censure della ricorrente, riassumere brevemente la vicenda che ha condotto alla pronunzia dell’ordinanza impugnata.
Il giudice monocratico del Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 1624 del 01/12/2005, divenuta irrevocabile il 09/06/2006, condannava la ricorrente perché ritenuta responsabile di violazioni edilizie, sismiche e in materia di beni ambientali. In particolare, si contestava alla ricorrente di aver continuato ed eseguito, in assenza di concessione edilizia su bene soggetto a tutela, un corpo di fabbrica composto da piano terra (costituito da unità abitativa di circa mq 70 e da deposito di circa mq 20) e da piano rialzato (costituito da unità abitativa di circa mq 110), nonché di aver realizzato, nella zona antistante, una copertura in lamiera di circa mq 30 e, nella zona retrostante, una baracca in legno di circa mq 12, con cambio di destinazione d’uso al primo piano.
A fronte di tale contestazione, il giudice monocratico, nella parte motiva, prendeva in considerazione e riteneva provati un cambio di destinazione d’uso (trasformando il piano seminterrato da garage ad abitazione) e la realizzazione di strutture esterne al fabbricato, in assenza di concessione edilizia, di autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, della denuncia dei lavori e del deposito degli atti progettuali al Genio Civile. In conseguenza, disponeva, ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380/2001, la demolizione dell’opera abusiva, individuata in dispositivo nelle opere realizzate esternamente al fabbricato di proprietà dell’imputata.
Il giudice dell’esecuzione, muovendo dal presupposto che era stata rigettata l’istanza di condono ex lege n. 47/1985 e che era maturata l’acquisizione delle opere e dell’area di sedime al patrimonio comunale per effetto del mancato rispristino nei termini di legge, al di là delle imprecisioni contenute nel dispositivo di sentenza che limitava l’ordine di demolizione alle sole opere esterne, respingeva la richiesta volta ad ottenere la revoca dell’ingiunzione a demolire, ritenendo che la contestazione di cui al capo a) attenesse alla abusiva edificazione dell’intero
immobile, conseguendone come automatica conseguenza l’ordine di demolizione dell’intero immobile.
2. Tanto premesso, il ricorso è inammissibile poichè proviene da soggetto non legittimato.
Risulta, infatti, dal provvedimento impugnato che il Comune di Boscoreale, in data 21/02/2024, comunicava alla ricorrente l’inefficacia della SCIA, evidenziando che era, da tempo, maturata l’acquisizione delle opere e dell’area di sedime al patrimonio comunale per effetto del mancato ripristino nel termine di legge, nonché il rigetto dell’istanza di condono ex lege n. 47/1985.
La ricorrente, dunque, non è più proprietaria dell’immobile, edificato interamente senza titolo, a seguito dell’acquisizione delle opere e dell’area di sedime al patrimonio comunale, mentre l’istanza di condono presentata ai sensi della legge n. 47/1985 è stata respinta.
Le considerazioni che precedono pongono pertanto la questione relativa all’interesse della ricorrente ad impugnare il provvedimento che dispone la demolizione di un bene del quale, ormai, non è più proprietaria.
Sez. 3, n. 11171 del 14/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 286047, ha condivisibilmente affermato che l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, COGNOME, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, COGNOME, Rv. 239397; Sez. U, n. 28911 del 28/09/2019, COGNOME, Rv. 275953). La legge processuale non ammette l’esercizio del diritto ch impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nei senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e no un mero interesse di fatto (in tal senso, Sez. U, COGNOME, nonché Sez. U, COGNOME secondo cui la concretezza dell’ interesse non può dunque che essere parametrata al raffronto tra quanto statuito dal provvedimento impugnato e quanto, cor l’impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere).
E secondo il costante indirizzo di questa Corte di legittimità, costitu declinazione pratica di questo principio quello secondo il quale l’acquisizion patrimonio del Comune dell’immobile abusivo fa cessare l’interesse alla revoca alla sospensione dell’ordine di demolizione in capo al responsabile dell’illecito ( 3, n. 20027 del 20/03/2024, Sommella; in senso conforme, Sez. 3, n. 35203 del
gr
18/06/2019, Centioni, Rv. 277500 – 01, che ha precisato che il precedente proprietario del bene, a seguito del provvedimento acquisitivo, deve ritenersi terzo estraneo alle vicende giuridiche dell’immobile; ancora, Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, COGNOME, Rv. 268133 – 01, ha affermato che a seguito dell’inutile decorso del termine assegnato al condannato per l’esecuzione dell’ordine di demolizione, viene meno l’interesse alla revoca o alla sospensione dello stesso, essendo il bene ormai divenuto di proprietà del Comune).
Coerentemente con tale indirizzo è stato altresì affermato che, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso (Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278090).
In conclusione, nel caso in cui il condannato, destinatario dell’ingiunzione a demolire, non sia più proprietario dell’immobile o titolare di altro diritto reale sullo stesso, l’interesse concreto e attuale all’annullamento del provvedimento deve essere dedotto in modo specifico e deve corrispondere ad un beneficio effettivo e reale derivante dall’annullamento dell’atto.
Nel caso di specie ciò non è avvenuto, essendosi limitata la ricorrente a reclamare che oggetto dell’ordine di demolizione erano le sole opere esterne e che il giudice dell’esecuzione non aveva valutato l’avvenuto ripristino delle opere di cui era stata disposta la demolizione con la sentenza irrevocabile di cognizione, senza null’altro dedurre a sostegno del suo interesse attuale e concreto a conservare un bene del quale non era più proprietaria.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue l’onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di
inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa co sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 18/11/2024.