Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43748 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43748 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 16/07/1967
avverso l’ordinanza del 05/04/2024 del TRIBUNALE di FROSINONE;
letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Frosinone, con provvedimento del 05/04/2024, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip presso il Tribunale di Cassino in data 29/02/2024, avverso il quale aveva proposto richiesta di riesame COGNOME in relazione alla imputazione provvisoria per il delitto di cui agli artt. 81 e 648ter. 1 cod.pen.
Il Tribunale di Frosinone, richiamata la vicenda e le attività di indagine che avevano portato al sequestro di 57.700,00 euro in contanti presso lo studio del ricorrente, importo considerato del tutto sproporzionato in relazione alla dichiarazione dei redditi dello stesso, richiamato il delitto presupposto di fatture per operazioni inesistenti, ha ritenuto il COGNOME non legittimato alla richiesta di riesame, atteso il motivo a carattere pregiudiziale proposto, con il quale lo stesso aveva dedotto la proprietà esclusiva del denaro in capo alla figlia COGNOME NOME, del tutto estranea alle indagini, e precisava come la provenienza di tale denaro si dovesse riferire al contratto preliminare intercorso tra la figlia e suo zio (fratello del padre) nell’anno 2022. Conseguentemente, il Tribunale ha affermato che la legittimazione a proporre riesame si dovesse ritenere assente in considerazione di tale assunto, poiché il COGNOME NOME, per effetto di un eventuale accoglimento della istanza, non avrebbe potuto ottenere la restituzione del bene, proprio perché si era affermata la riferibilità di tale ingente somma di denaro solo ed esclusivamente alla figlia NOME, che aveva a sua volta proposto istanza di riesame.
Il COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore, deducendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
3.1. GLYPH Violazione di legge in relazione agli artt. 322 e 325 cod. proc. pen.; la deduzione relativa alla proprietà o disponibilità esclusiva del denaro da parte della COGNOME NOME non rappresentava la sola prospettazione a sostegno del riesame, né tanto meno l’unica posizione alla quale viene espressamente ricollegato il concreto ed attuale interesse alla restituzione del bene; gli altri motivi, che precedevano il terzo, avrebbero dovuto essere trattati, in modo preliminare alla ammissibilità o meno del ricorso, con particolare riferimento alla questione della competenza territoriale o ancora in ordine alla sussistenza del reato.
3.2. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 9 e 16, comma 1, cod. proc. pen.; ricorre una incompetenza territoriale del Gip presso il Tribunale di Cassino, attesa l’intervenuta contestazione della violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, oltre che quella dell’art. 648-ter.1 cod.pen., attesa la ricorrenza di connessione tra reati ex art. 16 cod.proc.pen., con la conseguenza che la competenza si doveva ritenere riferita al giudice del luogo di residenza, dimora o domicilio dell’indagato, in considerazione delle caratteristiche del delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod.pen., quale reato a consumazione istantanea, deve soccorrere la regola suppletiva di cui all’art. 9, connma2, cod.proc.pen.; la difesa richiamava inoltre, contestandole, le modalità con le quali la Polizia giudiziaria aveva proceduto alla perquisizione e sequestro presso lo studio professionale del ricorrente, atteso che si era realizzata una intrusione presso una stanza da riferire alla disponibilità di un legale che patrocinava in favore del ricorrente in alcune pratiche civilistiche, in assenza delle garanzie previste dalla legge, e proprio in questa stanza veniva rinvenuto il denaro contante poi sequestrato.
3.3. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 648-ter.1 cod. pen.; la difesa dopo aver richiamato alcuni orientamenti giurisprudenziali in materia di autoriciclaggio, ha sottolineato come gli elementi richiamati dal Tribunale (il tentativo di impedire in più modi il ritrovamento del denaro, la sproporzione della disponibilità di tale denaro rispetto alla dichiarazione dei redditi) non potevano essere ritenuti risolutivi in mancanza di qualsiasi elemento a supporto circa la ricorrenza di reato presupposto.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, occorre considerare come secondo il diritto vivente “il sindacato della Cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.: una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali”. (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789-01;
Sez. 2, n. 45865 del 04/10/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272336-01; Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01).
In tema di sequestro preventivo è, difatti, costante l’orientamento secondo il quale “non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato.” (Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, PM c. COGNOME, Rv. 25827901, Sez. 5, n. n. 3722 del 11/12/2019, COGNOME, Rv. 278152-01), correlata all’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.
Il Tribunale ha svolto nel caso concreto, con una motivazione del tutto immune da illogicità o apparenza ed in assenza di alcuna violazione di legge, con la quale il ricorrente non si confronta effettivamente, un concreto ruolo di garanzia, senza limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria, considerando adeguatamente le osservazioni critiche della difesa, concentrandosi specificamente sulle doglianze introdotte.
Difatti, è stato evidenziato l’insieme degli elementi concreti che possono far ritenere verosimile la commissione del reato richiamato in sequestro, evidenziando perché allo stato degli atti l’ipotesi dell’accusa possa ritenersi sostenibile (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, COGNOME, Rv. 27992701; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265433-01; Sez. 5, n. 49595 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677-01; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 260945-01; Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, COGNOME, Rv. 260921-01).
Inoltre, occorre rilevare come sia stata compiutamente valutata la documentazione offerta a sostegno della tesi del ricorrente, che ha articolato motivi di riesame solo nel verbale di comparizione delle parti e in quella sede ha anche prodotto indagini difensive, ovvero sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME figlia del ricorrente, che ha esplicitamente sostenuto ed affermato che la somma di denaro in questione ed oggetto di sequestro fosse di sua proprietà, allegando sul punto una serie di elementi concreti a riscontro. Il contenuto di tali dichiarazioni è stato specificamente considerato dal Tribunale in correlazione con il motivo
proposto, correttamente ritenuto a carattere pregiudiziale, secondo il quale il denaro oggetto del sequestro sarebbe di esclusiva proprietà della figlia.
Il Tribunale ha ampiamente argomentato, con corretto ragionamento giuridico, richiamando il tema specifico relativo alla necessità che ricorra effettivamente, sulla base delle allegazioni della parte, un interesse ad impugnare, difettando all’evidenza, sulla base delle allegazioni dello stesso COGNOME, un diritto alla restituzione del bene, proprio in considerazione delle allegazioni e indagini difensive introdotte. Con tale ampia motivazione il ricorrente non si confronta affatto, limitandosi a proporre una propria versione alternativa, contestandone la portata e ritenendola non preclusiva delle successive doglianze proposte, che sono state correttamente ritenute assorbite da tale rilievo preliminare. In tal senso, occorre considerare come il Tribunale abbia fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, COGNOME, Rv. 281098-01; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 276545-01).
Sul tema si è affermato, con argomentazioni condivisibili e da ribadire che: “La legittimazione astratta alla proposizione del riesame reale è attribuita dall’art. 322 cod. proc. pen. all’imputato, alla persona alla quale le cose sono state sequestrate ed a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Però, oltre alla legittimazione, deve sussistere l’interesse all’impugnazione, previsto dalle norme di carattere generale del libro IX sulle impugnazioni e nel Titolo I sulle «disposizioni generali», quale requisito necessario per tutte le impugnazioni, anche quelle cautelari. Va rilevato che questa Corte ha superato l’indirizzo giurisprudenziale più risalente, il quale affermava, valorizzando la lettera dell’art. 322 cod. proc. pen. e il principio generale espresso dall’art. 568, comma 3, dello stesso codice, che la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo è legittimata a richiedere il riesame di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprietà di terzi. Secondo tale orientamento – richiamato dalla difesa nel presente procedimento – non
può contestarsi la presenza nell’indagato dell’interesse al gravame: sia perché presupposto del sequestro preventivo è che la persona sottoposta alle indagini abbia un qualche potere di disposizione sulla cosa sia perché i provvedimenti cautelari influenzano comunque il corso del procedimento penale (ex multis, Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011, Rv. 251091; Sez. 4, n. 21724 del 20/04/2005, Rv. 231374; Sez. 6, n. 3366 del 28/09/1992, Rv. 192089). In senso contrario, a partire da Sez. 1, n. 7292 del 12/12/2013, dep. 2014, Rv. 259412, è stato però ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (ex plurimis Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Rv. 276545; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Rv. 271231; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Rv. 267672; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, Rv. 263799); affinché sia legittimato a proporre impugnazione, pertanto, l’indagato o l’imputato deve reclamare una relazione con la cosa a sostegno della sua pretesa alla cessazione del vincolo cautelare, in quanto il gravame deve essere funzionale ad un risultato immediatamente produttivo di effetti nella sfera giuridica dell’impugnante (Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014, Rv. 259601). Nel caso della legittimazione al riesame reale vengono in rilievo non soltanto le norme “settoriali” poste nell’ambito della disciplina delle impugnazioni dei sequestri preventivi – gli artt. 322 e 322-bis cod. proc. pen. – ma altresì le norme generali in materia di impugnazione (in particolare gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.). Tali norme generali non possono ritenersi derogate dalle norme in tema di impugnazioni delle misure cautelari reali, che, indicando tre categorie di “legittimati” (“l’imputato…, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione…”), individua il genus di persone che avrebbero astratto interesse alla proposizione del riesame o dell’appello, trattandosi di categorie alternative – come indiziato dall’uso della congiunzione “e” – e non necessariamente sovrapponibili; le norme sulle impugnazioni in generale, invece, disciplinano il diverso profilo dell’ammissibilità, postulando la necessità di un concreto interesse all’impugnazione, in assenza del quale l’impugnazione va dichiarata inammissibile. In altri termini, l’art. 322 cod. proc. pen. individua le categorie astrattamente legittimate all’impugnazione
“reale”, mentre gli artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. impongono un vaglio di ammissibilità fondato sulla verifica della concreta legittimazione in ragione della sussistenza di un interesse concreto e attuale. Ebbene, nel caso dell’impugnazione del sequestro preventivo è proprio la morfologia delle misure cautelari reali – che impongono un vincolo giuridico sul bene – a rendere indispensabile l’effetto di restituzione quale connotato essenziale ed imprescindibile dell’interesse ad impugnare (Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016).” (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, De Luca, Rv. 281098-01). In altri termini, si deve precisare che la sussistenza dell’interesse ad impugnare non può presumersi dalla legittimazione ad impugnare. È infatti onere di chi impugna dedurre la sussistenza dell’interesse ad impugnare, ai sensi degli artt. 568, comma 4, e 581 comma 1, lettera d), cod. proc. pen. Nei procedimenti cautelari reali la sussistenza dell’interesse è strettamente collegata alla richiesta di restituzione del bene, sicché è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, oltre all’avvenuta esecuzione del sequestro, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, relazione che consentirebbe la restituzione del bene a chi impugna. Il ricorrente ha allegato specifici elementi che hanno compiutamente portato il Tribunale ad escludere un suo interesse alla impugnazione proposta. Con tale motivazione il COGNOME non si confronta effettivamente, limitandosi a lamentare una non esclusività dell’argomentazione addotta, senza confrontarsi con il chiaro ordine preliminare della deduzione difensiva introdotta a prescindere dalla numerazione della stessa in sede di riesame. Anche in questa sede si devono ritenere conseguentemente assorbiti gli altri motivi proposti.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 3 ottobre 2024.