Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34836 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34836 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cassino, nel procedimento pendente a carico di COGNOME NOME, nato a Cassino il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Cassino il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Pontecorvo il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Roma del 05/02/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, ha concluso per la fondatezza del ricorso, con annullamento del provvedimento impugnato;
letta la memoria di replica a firma dell’AVV_NOTAIO, difensore di RAGIONE_SOCIALE, che ha invocato, in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso, i subordine il suo rigetto;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5 febbraio 2025 il Tribunale della Libertà di Roma accogliendo le richieste di riesame, riunite, avanzate nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa il 22 gennaio 2025 dal Tribunale di Cassino di applicazione, ai primi due, della misura della custodia cautelare in carcere, e, al terzo, della misura degli arresti domiciliari, con prescrizioni, in relazione al delitto, loro contestato in concorso, di cui agli art 110 cod.pen. e 6-bis I. n. 401/1989- ha annullato l’ordinanza impugnata ed ordinato l’immediata liberazione degli stessi.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cassino ha proposto tempestivo ricorso per l’annullamento dell’impugnata ordinanza, affidato ad un unico motivo, con cui denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. erronea applicazione di legge -art. 6-bis I. n. 401/1989- e correlato difetto di motivazione.
Il Tribunale di Cassino ha ritenuto carente il profilo della gravità indiziaria ritenu non risultare che la condotta degli indagati sia stata tale da creare un concreto pericolo per le persone, come previsto dall’art. 6-bis I. 401/1989, che punisce non il mero lancio di petardi, o altro materiale esplodente in relazione allo svolgimento di una manifestazione sportiva, ma solo il lancio che potenzialmente possa arrecare pregiudizio all’incolumità fisica dei presenti, anche a prescindere dalla sua concreta verificazione.
Cita le pagg 3-4, e 5 dell’ordinanza, per significarne l’incongruità rispetto all premesse, correttamente svolte in diritto, a proposito della natura di reato di pericolo concreto, il cui accertamento deve essere effettuato secondo un giudizio ex ante, e la contraddittoria valutazione operatane ex post, come evidente ove si consideri che il Tribunale ha valorizzato la circostanza per cui, al momento del lancio dei petardi, la partita fosse in corso di svolgimento e che non vi fossero persone nei pressi dell’ex piscina comunale in cui si trovavano gli imputati e da dove era avvenuto il lancio dei petardi, ritenendo altresì non plausibile che ve ne
potessero essere dato che si era da poco iniziato il secondo tempo e sia i dirigenti delle squadre impegnate, sia i giocatori erano impegnati in campo.
Rappresenta la ricorrente l’errore di diritto in cui il Tribunale è incorso, rilevand che l’assenza di potenziali vittime è nell’occorso circostanza casuale e fortuita; che il lancio era stato rivolto non solo verso l’area di parcheggio, ma, anche, verso una stradina perimetrale al campo di gioco, aperta al transito di persone diverse da quelle interessate alla disputa sportiva, ove erano parcheggiate altre autovetture; che, dunque, anche la ‘previsione’ del Tribunale appare illogicamente svolta, oltre che contraddetta, pure in fatto, dalla presenza, in loco, di appartenenti al Commissariato di P.S. di Cassino, i quali, nella annotazione di servizio, hanno infatti attestato di essersi astenuti dall’intervenire nell’immediatezza dei fat proprio per il timore di essere raggiunti dai petardi.
Censura il discorso giustificativo anche con riferimento alla notazione della improbabilità che, data la distanza tra ex piscina comunale, luogo del lancio, e stadio comunale, separati da due recinzioni tra cui passa una strada di servizio, un petardo potesse arrivare all’interno dello stadio. Notazione svolta, anche in questo caso con palese evidenza, in contrasto con la lettera della legge, che punisce il lancio di materiale esplodente non solo all’interno degli impianti sportivi, ma, anche, in luoghi ad esso pertinenziali, e comunque nelle loro immediate adiacenze.
Lamenta, sempre a proposito della errata prospettiva valutativa, l’erronea applicazione di legge a proposito della svolta considerazione circa il fatto che, essendo uno dei petardi, inesplosi, rinvenuto alla base dell’ex piscina comunale, plausibilmente anche gli altri erano atterrati in quella zona, nel mentre la mancata analisi sulla natura dello strumento inesploso, avrebbe impedito di svolgere considerazioni sulla potenzialità offensiva degli stessi, non avendo il termine ‘petardo’ una adeguata capacità descrittiva in assenza di ulteriori specificazioni.
Censura svolta, da ultimo, anche relativamente alla considerazione della indiretta derivazione del pericolo alla persona (considerato dalla norma) non quale conseguenza immediata del lancio, ma quale conseguenza, potenziale, mediata e indiretta dell’eventuale esplosione delle autovetture che avrebbero potuto incendiarsi a causa del lancio proibito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, pur fondato nel merito, è, comunque, inammissibile.
Il Tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Cassino avendo ritenuto carente il profilo della gravità indiziaria, non ritenendo la condotta degli imputati idonea a creare un concreto pericolo per le persone.
La condotta tipizzata dall’art. 6-bis, comma 1, legge n. 401 del 1989, consiste, per quanto qui rileva, nel lanciare o utilizzare, in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti pe l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere, se tale condotta viene posta in essere nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipan o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa.
Intende il collegio preliminarmente ribadire il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «MI delitto di lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive di cui all’art. 6-bis, comma 1, legge 13 dicembre 1989, n. 401, ha natura di reato di pericolo concreto, il cui accertamento deve essere effettuato con giudizio “ex ante”, in ragione della tutela anticipata assicurata al bene protetto», secondo il criterio della cosiddetta prognosi postuma.
Il principio, già prima reiteratamente affermato, è stato, poi, nuovamente ribadito da Sez. 3, n. 37933 del 2024, n.m..
E’, infatti, ‘opinione condivisa che tale sia l’accertamento richiesto al giudice allorquando si debba valutare l’integrazione di un reato a pericolo concreto (cfr., ad es., Sez. 4, n. 35840 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281884; Sez. 5, n. 53437 del 19/10/2018, COGNOME, Rv. 275134; Sez. 5, n. 37196 del 28/03/2017, COGNOME e aa., Rv. 270914), perché il pericolo altro non è se non una valutazione probabilistica – effettuata utilizzando leggi scientifiche o massime di comune esperienza – circa il rischio che da una certa condotta scaturisca un determinato evento.
Com’è noto, allorquando si tratti di scongiurare eventi lesivi di beni di particolare rilevanza, il legislatore ben può costruire fattispecie penali con la tecnica del reato di pericolo, anticipando la soglia di rilevanza penale alla commissione di condotte pericolose, ed è proprio per questo che la valutazione circa la sussistenza dell’offesa che il bene protetto riceve in termini di anticipata tutela va valutata ne momento della realizzazione del fatto e non già, invece, ex post. (così, ex multis, Sez. 3, n. 545 del 01/12/2022 Ud. (dep. 11/01/2023 ) Rv. 284032 – 01 , 3
Conclusioni indubbiamente predicabili con riguardo al delitto qui in esame, descritto come fattispecie di mera condotta pericolosa. La lettura del precetto della norma in esame chiarisce, infatti, che la concreta pericolosità rispetto all’incolumità delle persone è condizione modale della condotta che la qualifica in termini di illiceità e, dunque, va valutata in relazione – ed al momento – in cui la stessa viene tenuta.
Tanto ciò è vero che ove si verifichino le ulteriori conseguenze (“danno alle persone” o “ritardo rilevante dell’inizio, sospensione, interruzione o cancellazione della manifestazione sportiva”) previste dalla norma incriminatrice, si è al cospetto di ipotesi di delitto aggravato dall’evento (Sez. 3, n. 7869 del 13/01/2016 Ud. (dep. 26/02/2016) Rv. 266282 – 01).
comunque, nelle loro immediate adiacenze.
Nella specie, tuttavia, fa difetto l’interesse del ricorrente al ricorso.
4.1. Preliminare è l’inquadramento della nozione di “interesse alla impugnazione”. L’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce che «per proporre impugnazione occorre avervi interesse».
L’interesse rappresenta dunque una condizione di ammissibilità della impugnazione ex art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
Nel processo penale la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693).
In sostanza, il cardine dell’interesse si sposta sulla correlazione a effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella esistente (cfr. per tutte Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093).
L’interesse deve essere concreto e attuale, nel senso che il risultato perseguito deve essere in grado di incidere sulla situazione sfavorevole determinata dalla pronuncia impugnata (concretezza) e deve persistere sino al momento della decisione (attualità).
4.2. Quanto, in particolare, alla impugnazione del pubblico ministero, si è affermato che concretezza e attualità vanno verificate in relazione all’idoneità dell’impugnazione a rimuovere gli effetti che si assumono pregiudizievoli (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De COGNOME, Rv. 244110 – 01). Qualora il pubblico ministero denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 6203, 11 maggio 1993, n. 6203, COGNOME; Sez. U, n. 9616, 24 marzo 1995′ Boido; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093; tra le ultime sezioni semplici Sez. 5, n. 35785 del 04/05/2018, COGNOME, Rv. 273630).
«La verifica della esistenza di un interesse concreto ed attuale, passa, dunque, attraverso lo scrutinio concatenato della pronuncia che si assume lesiva della norma; degli specifici petita che avevano contraddistinto la posizione della parte;
del mezzo di impugnazione attivato come congruente alla rimozione degli effetti che si assumono pregiudizievoli, e dei risultati favorevoli a quei petita che dal successo del gravame possono scaturire» (così in motivazione Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, COGNOME, cit.).
4.3. La valutazione dell’interesse deve essere riferita al procedimento definito con il provvedimento impugnato, non alla effettiva capacità di incidere sulla realtà fattuale generalmente intesa. In sintesi proprio perché si ammette la possibilità di cumulare le misure cautelari a carico della medesima persona, va riconosciuto alle parti l’interesse a contestare l’accoglimento o il rigetto della applicazione delle misure cautelari per ciascuno dei fatti-reati autonomi ai quali si riferiscono.
4.3.1. Il principio vale certamente per l’imputato (o indagato).
Le Sezioni Unite hanno riconosciuto all’indagato l’interesse a ricorrere avverso un provvedimento restrittivo della libertà personale anche nel caso in cui il gravame sia limitato ad una sola delle imputazioni, pur senza incidere sull’assoggettamento del medesimo alla misura cautelare a causa del mantenimento del provvedimento restrittivo in relazione ad altro reato (così Sez. U, n. 7 del 11/05/1993, R., Rv. 193746, e, nel medesimo senso, la maggioritaria giurisprudenza delle sezioni semplicii·
4.3.2. Analogo interesse deve riconoscersi in capo al pubblico ministero, allorché questi persegua non la corretta interpretazione di una regola formale o l’astratto riconoscimento di gravi indizi di colpevolezza, ma l’accoglimento di una richiesta cautelare (respinta dal primo giudice) che produca l’effetto di sottoporre a misura cautelare un soggetto per un determinato fatto-reato.
4.4. Si registrano, sul punto, due diversi orientamenti, in particolare a proposito della impugnazione, in fase cautelare, relativamente a provvedimento che abbia negato la ricorrenza del fumus commissi delicti (come nella specie).
4.4.1. Secondo il primo % il pubblico ministero non ha interesse a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame dolendosi, esclusivamente, in ordine alla ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto l’accoglimento del ricorso non potrebbe avere effetto ripristinatorio della misura cautelare, e avendo l’organo dell’accusa un interesse concreto e diretto alla affermazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza soltanto quando detta statuizione sia strumentale alla costituzione ovvero al mantenimento dello stato di privazione della libertà. D’altra parte, il pubblico ministero neppure ha un interesse contrario a quello dell’indagato in ordine all’accertamento della legittimità (o illegittimità) dell’ordinanza del tribunal del riesame per mezzo di una decisione irrevocabile idonea a fondare, ai sensi dell’art. 314, comma secondo, c.p.p., la tutela risarcitoria per la ingiusta detenzione, e in funzione preclusiva della stessa tutela risarcitoria: infatti l
legittimazione sostanziale passiva in ordine a tale rapporto non compete al pubblico ministero ma allo Stato, in giudizio contenzioso nel quale l’inquirente è organo obbligatoriamente interveniente, titolare di un diritto di impugnazione connesso al particolare aspetto pubblicistico della controversia, ma avulso da una situazione di diritto sostanziale spettante solo alla Stato nel suo complesso. (così Sez. 6, n. 2386 del 24/06/1998, P.m. in proc. Machetti e altri, Rv. 212898 – 01). 4.4.2. In senso contrario, si è affermato che sussiste l’interesse del pubblico ministero a proporre gravame avverso una decisione, emessa in sede di riesame, di annullamento dell’ordinanza impositiva di custodia cautelare in carcere per insussistenza di gravi indizi, anche se nelle more interviene decisione di revoca di ogni misura, applicata con riferimento ad altri capi dell’imputazione, per sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari: ciò al fine di precludere all’indagato la possibilità di crearsi un titolo per la riparazione per ingius detenzione che può essere costituito solo dalla decisione impugnata. (così Sez. 2, n. 15835 del 23/02/2017 Cc. (dep. 29/03/2017) Rv. 269859 – 01; conformi: Sez. 6, n. 2716 del 07/06/1994 Cc. (dep. 13/09/1994 ) Rv. 199148 – 01; Sez. 6, n. 1831 del 06/05/1996 Cc. (dep. 17/09/1996 ) Rv. 206008 – 01).
4.4.3. E, in tema di misura reale, Sez. 2, n. 6027 del 10/01/2024, Pmt, Rv. 285867 – 01, ha ritenuto che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza di accoglimento, per la ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti, del riesame cautelare promosso nei confronti del decreto di sequestro preventivo, nel caso in cui la parte ricorrente si sia limitata a contestare il mancato riconoscimento dell’anzidetto requisito, senza nulla prospettare in ordine al periculum in mora, posto che l’accoglimento dell’impugnativa in ordine al solo motivo dedotto non condurrebbe all’applicazione della misura reale, risultando inidoneo al conseguimento di una decisione concretamente favorevole per l’impugnante.
Il riferimento evoca principi affermati in contesti diversi, che non riguardano il riesame, ma l’appello cautelare, secondo cui è stato affermato essere inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero, proposto nei confronti dell’ordinanza di reiezione dell’appello avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di misura cautelare, con cui lo stesso, senza nulla prospettare in ordine alle esigenze cautelari, si limiti a contestare il mancato riconoscimento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, atteso che l’accoglimento del gravame in ordine a tale profilo non potrebbe comunque condurre all’applicazione della misura e, quindi, sarebbe privo di alcun risultato pratico vantaggioso per l’impugnante. (Sez. 3, n. 13284 del 25/02/2021, Pmt, Rv. 281010 – 01; conforme: Sez. 6 – , Sentenza n. 12228 del 30/10/2018 Cc. (dep. 19/03/2019 ) Rv. 276375 – 01); si veda però Sez. 6 – , Sentenza n. 46129 del
25/11/2021 Cc. (deo. 16/12/2021 ) Rv. 282355 – 01 che, pur richiamando la giurisprudenza in tema di appello cautelare, sostiene che il pubblico ministero che impugni l’ordinanza che, in sede di riesame, abbia escluso il presupposto della gravità indiziaria deve indicare, a pena di inammissibilità per carenza di interesse, le ragioni a sostegno dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari che, tuttavia, possono ritenersi implicitamente sussistenti nel caso in cui la misura sia stata richiesta con riguardo ai reati per i quali opera la presunzione di cui all’ar 275, comma 3, cod. proc. pen..
4.5. A tale, ultima conclusione il RAGIONE_SOCIALEegio ritiene di aderire.
Sicché non può che rilevarsi come, pur condivisibili gli assunti del pubblico ministero ricorrente in tema di gravità indiziaria, del tutto silente sia il ricorso ordine alle esigenze cautelari, pretermesse nell’istanza, il che ne comporta l’inammissibilità, non potendosi apprezzare l’interesse del ricorrente al riconoscimento dell’erronea applicazione di legge, in difetto, nella specie, di qualsivoglia risultato pratico vantaggioso per l’impugnante.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma il 22 maggio 2025
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Il Presidente