Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21977 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21977 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BRESCIA
nei confronti di:
COGNOME NOME NOME a LODI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del TRIB. LIBERTA di BRESCIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugNOME, con rinvio al Tribunale del Riesame di Brescia ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 comma 8 D.L. n. 137/2020
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, che ha annullato il decreto di sequestro preventivo della somma di euro 200.000,00 e di un’autovettura Audi 3 emesso il 21/11/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nei confronti di COGNOME NOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, priva di capacità patrimoniale e ritenuta una mera “cartiera” finalizzata ad emettere fatture per operazioni inesistenti, a loro volta utilizzate per la somministrazione di manodopera in totale assenza di pagamenti di contributi previdenziali, compensati con crediti IVA.
Il COGNOME era stato rinvenuto dalla PG in possesso della predetta somma che, suddivisa in venti mazzette di diverso taglio, sottoposta dapprima a sequestro probatorio, era stata poi sottoposta anche a sequestro preventivo ex artt. 321 e 648 quater cod. pen, in quanto ritenuta profitto del delitto di cui all’art. 648 cod. pen. per aver ricevuto occultato il COGNOME il profitto del delitto di frode fiscale. Il sequestro dell’Audi 3, i era stato disposto ex art. 240 bis cod. pen., in quanto finalizzato alla confisca cd. allargat da tale norma prevista.
Il Tribunale del Riesame non ha condiviso tale impostazione, ritenendo non potersi considerare il denaro sequestrato profitto di reati tributari presupposti ex art 2 D. Lgs 74/2000, né profitto del reato di fatturazione per operazioni inesistenti, incidendo questo con il compenso ricevuto dall’emittente per il servizio illecito di fatturazione, per pras generalmente trattenuto dall’emittente e non monetizzato.
A sostegno del ricorso il pubblico ministero, con unico motivo di impugnazione, ha dedotto la violazione di legge del provvedimento impugNOME, con riguardo alla disciplina di cui agli artt. 648 e 648 bis cod. pen., con riferimento all’elemento oggettivo del delit alternativamente da ipotizzarsi.
Assume, infatti, l’ufficio ricorrente che lo stesso provvedimento impugNOME ha avanzato “forti dubbi” sulla provenienza lecita del denaro sequestrato e, pertanto, invoca la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione secondo cui l’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale dell commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Rv. 251028), essendosi affermato il principio secondo cui una volta ritenuto sussistente sulla base di prove logiche l’elemento oggettivo del reato, ovvero il possesso di denaro di origine illecita, incombe all’accusato l’onere di fornire giustificazione sulla provenienza del bene, sicché anche l’assenza di giustificazione credibile sulla provenienza del bene costituisce prova della consapevolezza dell’illecita provenienza (Sez. 2, n. 52271 del 10/11/2016, Rv. 268643).
Il ricorso è inammissibile, per il difetto di interesse ad impugnare da parte dell’ufficio ricorrente, in quanto volto a contestare unicamente la ritenuta insussistenza del “fumus commissi delicti”; manca, invece, alcun cenno al profilo del “periculum in mora”.
Secondo i principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte, anche nella materia delle impugnazioni relative ai procedimenti incidentali in materia cautelare vige il principio generale, previsto a pena di inammissibilità (artt. 568, comma 4, e 591, comma 1, lett. A), cod. proc. pen.), del necessario interesse della parte che propone l’impugnazione; nozione che, nel sistema processuale penale, non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negati perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo. (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Rv. 251693); siffatto interesse «non può essere meramente astratto o teorico, ma deve essere concreto, effettivo», cioè diretto «al conseguimento di un diritto o alla rimozione di effetti pregiudizievoli per la sfera dei diritti della mede parte che l’invoca» (Sez. 1, n. 2362 del 20/05/1991, Rv. 187488).
Anche nelle ipotesi in cui la parte che intende proporre impugnazione sia il pubblico ministero, pertanto, si è riconosciuto che l’interesse non potrà coincidere esclusivamente con l’astratto interesse all’esatta applicazione della legge (Sez. 2, n. 37876 del 12/09/2023, Rv, 285026), ma dovrà essere parametrato anch’esso all’obiettivo del raggiungimento di un risultato concreto; risultato che, nella materia cautelare, è rappresentato dall’emissione del provvedimento che assicuri la realizzazione delle finalità proprie dell’intervento volto a soddisfare le specifiche esigenze di tutela, ed è evidente che tali principi trovano applicazione anche con riguardo alle impugnazioni proposte avverso provvedimenti emessi nella materia della cautela reale.
Pronunciata dal Tribunale del riesame ordinanza che, accogliendo la richiesta della parte privata, abbia annullato il provvedimento genetico di sequestro per difetto del requisito del fumus (ritenendo di non dover esaminare le ulteriori censure, eventualmente proposte quanto al requisito del periculum) e abbia disposto la restituzione dei beni sottoposti a vincolo (con provvedimento immediatamente esecutivo), l’interesse del pubblico ministero all’impugnazione si identifica nella rimozione del provvedimento con la necessità della contestuale rappresentazione relativa alla sussistenza di entrambi i presupposti (fumus delicti e periculum in mora) richiesti per l’adozione della misura cautelare reale; diversamente, non si conseguirebbe il risultato pratico cui deve tendere l’impugnazione.
Anche in relazione all’adozione delle misure cautelari, il profilo che riguarda il pericol della tardività dell’intervento, diretto a cristallizzare la situazione reale per scongiurare sottrazione di beni che possano agevolare la commissione di ulteriori reati o debbano essere sottratti alla disponibilità del titolare del diritto reale in vista della futura co può essere soggetto a modifiche nel corso del tempo conseguenti al mutare delle
condizioni fattuali che riguardano sia la persona del soggetto titolare dei beni (anche in relazione alle condizioni economiche e patrimoniali), sia gli stessi beni.
Si è anche rilevato che non può nemmeno ritenersi che la tipologia di talune misure cautelari reali, quale quella in esame (trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca), renda superflua la verifica del profilo del periculum, in quanto è ormai pacifico, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite, che non sussistono forme di automatismo o di presunzione di sussistenza delle esigenze connesse al pericolo nel ritardo dell’apposizione del vincolo cautelare rispetto alla definizione del giudizio (escluse le ipotesi in cui sequestro abbia ad oggetto le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato), indipendentemente dalla natura della futura confisca (facoltativa o obbligatoria) cui sia preordiNOME il sequestro adottato in via preventiva (Sez. Unite, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848), e ciò fornisce definitiva conferma della necessità che l’impugnazione, perché sia sorretta dal necessario interesse, deve essere strutturata in modo da assicurare l’esame di entrambi i requisiti richiesti per l’emissione dei provvedimenti cautelari.
Conseguentemente, come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di rilevare, è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza di accoglimento, per la ritenuta insussistenza del “fumus commissi delicti”, dell’appello cautelare promosso nei confronti del decreto di sequestro preventivo nel caso in cui la parte ricorrente si sia limitata a contestare il mancat riconoscimento dell’anzidetto requisito, senza nulla prospettare in ordine al “periculum in mora”, posto che l’accoglimento dell’impugnativa in ordine al solo motivo dedotto non condurrebbe all’applicazione della misura reale, risultando inidoneo al conseguimento di una decisione concretamente favorevole per l’impugnante (Sez. 2, n. 6027 del 10/01/2024, Rv. 285867).
Alle statuizioni che precedono consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma 1’8 febbraio 2024 L’estensore GLYPH