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Interesse a ricorrere PM: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un Pubblico Ministero avverso la decisione di un Tribunale del Riesame che aveva escluso un’aggravante e riqualificato un reato. La Suprema Corte ha stabilito che l’appello è privo del necessario interesse a ricorrere, poiché il PM non ha dimostrato quale vantaggio pratico e concreto sarebbe derivato dall’accoglimento del ricorso, limitandosi a contestare il merito della decisione senza illustrare le ragioni a sostegno dell’attualità delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse a Ricorrere del PM: La Cassazione Chiarisce i Limiti

Nel processo penale, non basta avere ragione nel merito per poter impugnare una decisione. È fondamentale dimostrare di avere un interesse a ricorrere, ovvero un vantaggio concreto e attuale che deriverebbe dall’accoglimento del proprio appello. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 35349/2024) illumina questo principio fondamentale, dichiarando inammissibile il ricorso di un Pubblico Ministero proprio per carenza di tale presupposto. Analizziamo la vicenda per comprendere le implicazioni pratiche di questa decisione.

I Fatti del Caso: Un’Impugnazione su Aggravanti e Riqualificazioni

Il caso nasce da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che, pur confermando la misura degli arresti domiciliari per un indagato accusato di associazione per delinquere, frode informatica e altri reati, aveva modificato alcuni aspetti dell’impianto accusatorio. In particolare, il Tribunale aveva:
1. Escluso l’aggravante dell’accesso abusivo a un sistema informatico di “interesse pubblico” (art. 615-ter, comma 3, c.p.), ritenendo che il sistema in questione, pur appartenendo a un’importante società di servizi postali, fosse utilizzato per attività di natura prettamente privatistica (gestione di polizze assicurative).
2. Riqualificato il reato di frode informatica (art. 640-ter c.p.) in truffa semplice (art. 640 c.p.), sostenendo che l’attività ingannatoria fosse stata rivolta a persone fisiche e non a una manipolazione del sistema informatico in sé.

Il Pubblico Ministero, non condividendo queste conclusioni, proponeva ricorso in Cassazione, contestando entrambe le decisioni nel merito e chiedendone l’annullamento.

La Decisione della Cassazione e l’Importanza dell’Interesse a Ricorrere

La Suprema Corte, tuttavia, non è entrata nel vivo delle questioni sollevate dal PM. Ha invece fermato il suo esame a un livello preliminare, dichiarando il ricorso inammissibile per carenza di interesse a ricorrere. Secondo i giudici, il Pubblico Ministero non ha adempiuto a un onere fondamentale: spiegare quale fosse l’utilità pratica, immediata e concreta che sarebbe derivata dall’eventuale accoglimento della sua impugnazione.

Le Motivazioni: Perché l’Appello del PM è Inammissibile?

La motivazione della Cassazione si fonda sull’articolo 568, comma 4, del codice di procedura penale, che sancisce la necessità di un interesse concreto e attuale per qualsiasi impugnazione. L’obiettivo non può essere una mera affermazione teorica di un principio giuridico. Nel contesto delle misure cautelari, l’interesse del PM deve essere legato alla possibilità di ottenere l’adozione, il ripristino o un inasprimento della misura restrittiva.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che la misura cautelare degli arresti domiciliari era già stata applicata e confermata sulla base del più grave reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), non oggetto di impugnazione. Pertanto, anche se la Cassazione avesse accolto il ricorso del PM e riconosciuto l’aggravante contestata, la situazione concreta dell’indagato non sarebbe cambiata. La misura cautelare sarebbe rimasta la stessa.

Il PM, nel suo ricorso, si è limitato a censurare il merito della decisione del Tribunale del Riesame, senza indicare “le ragioni a sostegno dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari” o il perseguimento di un “risultato processuale immediato e diretto”. Mancando questa allegazione fondamentale, l’impugnazione è stata ritenuta un esercizio puramente astratto, privo di quel requisito di concretezza che la legge esige.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale per tutti gli operatori del diritto: un’impugnazione, per essere ammissibile, deve essere funzionale a un obiettivo pratico. Non è sufficiente ritenere errata una decisione; è necessario dimostrare che la sua riforma produrrebbe un effetto vantaggioso e tangibile per la parte che la promuove. Per il Pubblico Ministero, in fase cautelare, questo si traduce nella necessità di collegare sempre la propria impugnazione (ad esempio, su una qualificazione giuridica o su un’aggravante) a un effetto diretto sulla sussistenza o sulla durata della misura cautelare. In assenza di tale collegamento, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, senza nemmeno un esame del suo contenuto.

Quando un Pubblico Ministero ha interesse a impugnare un provvedimento cautelare?
Un Pubblico Ministero ha un interesse concreto e attuale a impugnare quando l’accoglimento del ricorso può portare a un risultato pratico e favorevole, come l’adozione o il ripristino di una misura cautelare, oppure quando la qualificazione giuridica o la presenza di un’aggravante incide direttamente sui termini di durata della misura stessa.

È sufficiente contestare il merito di una decisione per rendere ammissibile un ricorso?
No. Secondo questa sentenza, non è sufficiente. L’appellante, e in particolare il Pubblico Ministero, deve esplicitare nel ricorso le ragioni che dimostrano l’esistenza di un interesse concreto e attuale. Deve, cioè, spiegare quale vantaggio pratico e immediato deriverebbe dall’accoglimento dell’impugnazione, al di là della semplice correzione di un presunto errore di diritto.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il PM ha contestato l’esclusione di un’aggravante senza dimostrare quale fosse l’impatto pratico di tale esclusione. Poiché la misura cautelare a carico dell’indagato era già pienamente giustificata da un’altra e più grave accusa (associazione per delinquere), il ripristino dell’aggravante non avrebbe modificato la situazione cautelare. Il ricorso, quindi, è stato ritenuto privo di un interesse concreto e attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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