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Interesse a ricorrere: inammissibile l’impugnazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro il sequestro preventivo di 300.000 euro in contanti. La decisione si fonda sulla mancanza di un concreto “interesse a ricorrere”, poiché l’uomo aveva dichiarato che la somma non era sua, ma di una società terza. Secondo la Corte, chi non è titolare del bene sequestrato può impugnare il provvedimento solo se vanta un interesse diretto e personale alla restituzione, che in questo caso era assente.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse a Ricorrere: No all’Impugnazione se non sei Titolare del Bene Sequestrato

Con la recente sentenza n. 3476 del 2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale della procedura penale: la necessità di un concreto interesse a ricorrere per poter impugnare un provvedimento cautelare reale, come il sequestro preventivo. La Corte ha stabilito che l’indagato che dichiara di non essere il proprietario del bene sequestrato non può validamente contestare il vincolo, in quanto privo di un interesse personale e attuale alla restituzione del bene.

I Fatti di Causa: Un Sequestro di 300.000 Euro in Contanti

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del riesame di Roma, che aveva confermato un decreto di sequestro preventivo per 300.000 euro in contanti. La somma era stata rinvenuta a bordo dell’auto condotta da un cittadino, indagato per il reato di riciclaggio. Durante i controlli, l’uomo aveva dichiarato che il denaro non era suo, ma apparteneva a una società di proprietà di suo padre, per la quale lavorava come dipendente. Sulla base di questi elementi e di altri indizi, l’autorità giudiziaria aveva disposto il sequestro, ipotizzando che la somma fosse il provento di presunte evasioni fiscali commesse dalla società.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi dell’Impugnazione

L’indagato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza, lamentando una violazione di legge. In particolare, sosteneva che il provvedimento di sequestro fosse illegittimo per due ragioni principali:
1. Insussistenza del reato presupposto: a suo dire, i giudici non avevano individuato in modo concreto il reato fiscale da cui sarebbe derivato il denaro, limitandosi a un’ipotesi astratta.
2. Motivazione apparente: l’ordinanza mancava di una motivazione chiara e compiuta sul nesso tra la presunta attività illecita e la somma sequestrata, che avrebbe potuto appartenere a un soggetto terzo estraneo al reato.

La Valutazione sull’Interesse a Ricorrere da parte della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ancor prima di esaminare il merito delle censure. Il profilo decisivo è stato proprio la mancanza di un interesse a ricorrere in capo all’indagato. I giudici hanno osservato che, secondo la stessa ricostruzione fornita dall’interessato, egli non era il proprietario della somma. Le sue dichiarazioni lo qualificavano come un mero trasportatore per conto della società del padre.

Richiamando la propria giurisprudenza consolidata (in particolare la sent. n. 3602/2019), la Corte ha ribadito che “L’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo […] può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato […] alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro.” In altre parole, chi impugna deve dimostrare di avere un interesse personale a riottenere il bene per sé. Avendo l’indagato escluso la proprietà del denaro, veniva a mancare questo presupposto processuale essenziale, rendendo la sua impugnazione inammissibile.

La Motivazione sul Fumus del Reato di Riciclaggio

Pur ritenendo assorbente il profilo dell’inammissibilità, la Corte ha comunque affrontato, in via subordinata, le critiche relative alla sussistenza del reato. Ha chiarito che, ai fini del sequestro per riciclaggio, non è necessario un accertamento giudiziale definitivo del reato presupposto. La sua esistenza può essere desunta tramite prove logiche e massime di esperienza. Nel caso di specie, elementi come l’ingente somma in contanti, le modalità del suo occultamento, e i precedenti specifici del titolare della società per reati fiscali erano considerati indizi sufficienti a configurare il fumus cautelare del delitto di riciclaggio, giustificando ampiamente la misura cautelare.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Suprema Corte si fonda su due pilastri argomentativi distinti.
Il primo, e principale, è di natura prettamente processuale: il ricorrente, avendo negato di essere il proprietario del denaro e attribuendolo alla società del padre, ha di fatto rinunciato a far valere un interesse personale alla restituzione. L’impugnazione è finalizzata a ottenere un risultato utile per chi la propone; in questo caso, il dissequestro non avrebbe comportato la restituzione del denaro al ricorrente, ma, in teoria, alla società terza. Di conseguenza, l’indagato era privo della legittimazione attiva a contestare il vincolo.

Il secondo pilastro riguarda il merito della questione. La Corte ha ritenuto infondate le critiche sulla motivazione dell’ordinanza. Il Tribunale del riesame aveva correttamente individuato la tipologia del reato presupposto (illeciti fiscali) basandosi su elementi indiziari concreti, quali i precedenti del titolare della società e la natura stessa del bene sequestrato (un’enorme quantità di denaro contante). Questo è sufficiente in fase cautelare, dove non è richiesta la prova piena della commissione del reato.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica: la strategia difensiva adottata sin dalle prime fasi del procedimento può avere conseguenze decisive sulla possibilità di contestare le misure cautelari. Dichiarare di non essere il proprietario di un bene sequestrato, sebbene possa sembrare una mossa per allontanare da sé i sospetti, può precludere la via dell’impugnazione per carenza di interesse. La sentenza rafforza un’interpretazione rigorosa dei presupposti processuali, sottolineando che il diritto di impugnare non è assoluto, ma è subordinato all’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante, concreto e attuale, che deve essere dimostrato da chi agisce in giudizio.

Può l’indagato, che dichiara di non essere il proprietario di un bene sequestrato, impugnare il provvedimento di sequestro?
No. Secondo la sentenza, l’indagato non titolare del bene può proporre impugnazione solo se dimostra di avere un interesse concreto e attuale alla restituzione della cosa in proprio favore, cosa che non può fare se ha dichiarato che il bene appartiene ad altri.

Per ordinare un sequestro per riciclaggio è necessario che il reato presupposto sia stato accertato con una sentenza definitiva?
No, non è necessario. La sentenza ribadisce che, specialmente in fase cautelare, l’esistenza del reato presupposto può essere affermata dal giudice attraverso prove logiche e sulla base di gravi indizi, senza che ne sia stata accertata giudizialmente la commissione o individuati gli autori.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché il ricorrente, avendo affermato che la somma di denaro non era sua ma di una società, è stato ritenuto privo di un interesse concreto e attuale all’impugnazione, finalizzata alla restituzione del bene a sé stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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