Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3039 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3039 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il 27-02-1958, avverso l’ordinanza del 14-05-2024 del Tribunale di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14 maggio 2024, il Tribunale del Riesame di Catanzaro rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Vibo Valentia del 17 aprile 2024, con il quale gli era stata applicata la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio o servizio ricoperto, per la durata di un mese, in relazione ai delitti di cui agli art. 452 bis cod. pen. (capo A) e 323 cod. pen. (capo I); tali reati sono stati a lui contestati perché, quale Direttore generale del Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria, concorreva a cagionare una compromissione significativa e misurabile del suolo e dell’ecosistema agrario, concedendo o comunque agevolando l’aumento del quantitativo di matrice organica nella misura pari a 1.100 t/sett. in ingresso presso la Eco Call s.p.a., con la consapevolezza che l’impianto non potesse sostenere tale carico, omettendo di sospendere l’attività nonostante gli esiti degli accertamenti dei funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE di Vibo Valentia, e dunque favorendo la prosecuzione delle attività della RAGIONE_SOCIALE attraverso ulteriori proroghe alla diffida adottata nei confronti della società per la violazione delle disposizioni ex art. 29 decies , comma 9, del d. lgs. n. 152 del 2006.
Avverso l’ordinanza del Tribunale calabrese, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa rivendica innanzitutto la sussistenza dell’interesse concreto e attuale dell’indagato a ricorrere , evidenziando che, pur essendo decorso il termine di efficacia della misura applicata, Comito ha comunque interesse a impugnare, atteso che dall’ordinanza con cui è stata disposta la sospensione dal pubblico ufficio o servizio ricoperto sono scaturiti effetti pregiudizievoli di tipo professionale e retributivo per l’indagato, il quale è stato destinato ad altro incarico lavorativo, con una differenza economica pari a 40.960,36 euro lordi.
Con il secondo motivo, è stata eccepita l’assenza di autonoma valutazione che inficerebbe sia il provvedimento impugnato che l’ordinanza applicativa della misura, essendo in essi mancata una disamina specifica della posizione di Comito e avendo in particolare il Tribunale del Riesame omesso di confrontarsi in maniera critica con la copiosa documentazione prodotta unitamente all’appello cautelare .
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza, rilevandosi che alcuno dei reati ascritti all’indagato può essere ritenuto ravvisabile; in particolare, quanto al delitto di abuso d’ufficio, si sottolinea che non ne sussistono gli elementi oggettivi e soggettivi, non essendo stato indicato alcun tipo di interesse a ottenere un vantaggio diretto o indiretto in capo all’indagato, il quale , lungi da ll’ essere tenuto a comportamenti vincolati, si è trovato a dover scegliere tra una pluralità di opzioni riconosciutegli dalla legge.
Quanto al delitto ex art. 452 bis cod. pen., se ne rimarca parimenti la non configurabilità, posto che la normativa dettata dall’art. 29 del d. lgs. n. 152 del 2006 non esclude affatto la possibilità di concedere una proroga, tanto più ove si consideri che la diffida ha lo scopo di consentire al trasgressore di eliminare le violazioni riscontrate, per cui se il relativo termine fissato con la diffida si riveli non sufficientemente congruo e vi sia stata, come nel caso di specie, una richiesta adeguatamente motivata, l’Autorità competente può concedere una proroga della diffida, sulla quale peraltro i verbalizzanti hanno concordato, fermo restando che nel 2021 i quantitativi conferiti nell’impianto di RAGIONE_SOCIALE sono risultati inferiori al quantitativo annuo pr evisto dall’autorizzazione Aia n. 7032 dell’8 luglio 2015, il che è stato possibile proprio in forza degli interventi restrittivi adottati dalla Regione. A ciò si aggiunge che la questione della qualità del compost non può essere affatto ricondotta all’ing. COGNOME cui non era pervenuta alcuna segnalazione, non essendo la verifica sulla qualità del compost ammendante di competenza della Regione o dell’Arpac, e ciò senza considerare l’inutilizzabilità degli accertamenti per violazione della procedura di campionamento.
Con il quarto motivo, si censura il giudizio sulla sussistenza delle esigenze cautelari, osservandosi che nel caso di specie non è ravvisabile alcun pericolo concreto e attuale di reiterazione dei reati, atteso che l’ing. COGNOME oggi ricopre un ruolo nettamente diverso da quello rivestito all’epoca dei fatti, ricoprendo egli ora la veste di dirigente di settore nel Dipartimento Strade e Infrastrutture.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
La stessa difesa, invero, evidenzia nell’odierna impugnazione che è ormai decorso il termine di durata della misura interdittiva applicata a Comito, come peraltro è stato sottolineato anche nell’ordinanza gravata (cfr. pag. 19) .
Tale circostanza fa venir meno l’interesse a ricorrere, dovendosi richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 52781 del 09/03/2017, Rv. 271548, Sez. 6, n. 24637 del 21/04/2006, Rv. 234734, Sez. 6, n. 12816 del 19/01/2006, Rv. 233731 e Sez. 4, n. 14422 del 24/11/2005, dep. 2006, Rv. 234023), secondo cui la sopravvenuta inefficacia di una misura cautelare interdittiva determina il venir meno dell’ interesse all ‘i mpugnazione e la conseguente inammissibilità di quest’ultima, essendosi precisato , da un lato, che le misure interdittive non danno luogo a eventuali profili riparatori ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. e, dall’altro, che non vale a integrare l’attualità e la concretezza dell’interesse la persistente pendenza del procedimento penale, di cui peraltro il giudizio cautelare costituisce solo una fase incidentale.
Ne consegue che non appare ravvisabile nel caso di specie l’interesse a impugnare, non potendosi ritenere decisive in questa sede, alla stregua di quanto esposto, le deduzioni difensive circa le ripercussioni lavorative subite dall’indagato .
Resta solo da aggiungere, per completezza, che la sopravvenuta abrogazione del delitto di abuso d’ufficio ad opera della legge n. 114 del 9 agosto 2024 non sarebbe comunque valsa a caducare la misura cautelare, ove la stessa non fosse nelle more scaduta, posto che l’ordinanza applicativa della sospensione dall’ufficio pubblico ricoperto dall’indagato si reggeva non solo sulla fattispecie di cui all’art. 323 c od. pen., ma anche su quella, tuttora penalmente rilevante, prevista dall’art. 452 bis cod. pen. di cui al capo A della provvisoria imputazione.
In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse di Comito deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare i n colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10.10.2024