Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20366 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20366 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Poppi il 14/10/1963
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del Tribunale della libertà di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria redatta dai difensori, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME
che insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Roma, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile l’istanza di riesame proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del G.i.p., che aveva disposto il sequestro preventivo, a fini impeditivi, del sito https://www.rome-museum.com/it/biglietti.colosseo.php GLYPH riconducibile GLYPH alla RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME è socio e amministratore unico, sequestro disposto ipotizzando il reato di cui agli artt. 81 e 515 cod. pen., in relazione al quale il ricorrente risulta essere indagato.
Avverso detta ordinanza, NOME COGNOME nella veste di indagato, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, che deducono:
2.1. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 322 e 591 cod. proc. pen., posto che l’art. 324 cod. proc. pen. legittima l’indagato a richiedere il riesame avverso il sequestro di un bene anche di proprietà di terzi, laddove contesti la sussistenza del reato e la sua qualificazione giuridica, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità puntualmente indicata;
2.2. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 322 e 591 cod. proc. pen., in quanto il COGNOME, sebbene abbia agito in proprio e non in qualità di legale rappresentante della società proprietaria del sito https://www.rome-museum.com/it/biglietti.colosseo.php, oggetto di sequestro, sarebbe comunque legittimato alla restituzione del bene, essendo titolare di un diritto proprio e di un interesse qualificato, alla luce del disposto di cui all’art. 2475-bis cod. civ. e della posizione di socio unico di tale società;
2.3. la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., laddove il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non ha indicato le ragioni di diritto e gl elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, idonea a consentire la restituzione del bene in proprio favore, posto che dagli atti risulta inequivocabilmente che il COGNOME è l’amministratore unico della società.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, essendo strettamente collegati – è inammissibile.
Il Tribunale cautelare si è appellato al costante orientamento espresso da questa Corte di legittimità, che il Collegio condivide e che intende ribadire, secondo cui l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (tra le più recenti, cfr. Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, Di, Rv. 281098; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 276545; Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 274992, che ha ritenuto immune da censure l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità della richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo di una società a responsabilità limitata, presentata dall’indagato in proprio e non quale legale rappresentante della stessa mediante un difensore munito procura speciale; Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, COGNOME e altri, Rv. 271231, che ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso dell’indagato per la restituzione di beni in sequestro di proprietà di una società in accomandita, in quanto, sebbene egli ne fosse il legale rappresentante, aveva presentato il ricorso in proprio).
A tale conclusione si è giunti sulla base del dato testuale dell’art. 322 cod. proc. pen. in tema di riesame dei provvedimenti cautelari reali, secondo cui “contro il decreto di sequestro emesso dal giudice l’imputato ed il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324”.
In conformità al condivisibile orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al previgente art. 343-bis cod. proc. pen. del 1930 (Sez. 3, n. 470 del 07/03/1986, COGNOME, Rv. 172572), deve ritenersi, sulla base della pressoché omologa formulazione delle corrispondenti disposizioni processuali (l’art. 343-bis cod. proc. pen. del 1930, da un lato, e l’art. 322 cod. proc. pen. vigente, dall’altro), che, nell’indicazione dei soggetti legittimati, ” persona… che avrebbe diritto alla… restituzione” non si pone in posizione alternativa rispetto agli altri soggetti indicati, ma costituisce una espressione sintetica riferibile a tutti i soggetti legittimati alla restituzione (argumenta ex art. 323 cod. proc. pen.), sicché l’imputato e l’indagato, in quanto tali, non possono chiedere il riesame in base ad un loro preteso interesse, ma solo in quanto provino di aver diritto alla restituzione del bene della vita che sia stato oggetto del vincolo imposto a seguito dell’emanazione di un provvedimento cautelare reale.
Da ciò consegue, in primo luogo, che l’interesse concreto ed attuale alla proposizione del GLYPH gravame deve corrispondere al GLYPH risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e va pertanto individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 267672; Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266713; Sez. 2, n. 50315 del 16/09/2015, COGNOME, Rv. 265463; Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015, COGNOME, Rv. 263799; Sez. 1, n. 7292 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259412).
In secondo luogo, affinché il provvedimento sia riesaminabile, è necessario che il decreto di sequestro abbia disposto il vincolo sul bene della vita (determinato o determinabile e/o appartenente ad un soggetto determinato o determinabile) del quale si intende ottenere la restituzione con la richiesta di riesame, perché se il provvedimento cautelare reale non ha disposto in tal senso e la cosa sia stata ugualmente sequestrata sottoponendosi a vincolo beni che il decreto di sequestro escluderebbe di apprendere, in quanto in esso non ricompresi, lo scollamento tra il comando giuridico contenuto nel decreto di sequestro e la sua esecuzione non investe un vizio genetico del provvedimento cautelare, quanto la sua esecuzione, ed il rimedio, in tali casi, sta nel chiedere da parte di chi abbia un diritto sul bene il dissequestro al pubblico ministero e non nel proporre istanza di riesame, perché non si tratta di attaccare un vizio genetico del provvedimento cautelare ma di un errore commesso nella fase esecutiva di esso e il tribunale del riesame, nel chiudere la fase rescindente per dar vita a quella rescissoria, fasi che il mezzo di impugnazione entrambe richiede, non potrebbe mai annullare o riformare un provvedimento che non abbia ordinato il sequestro di un bene che l’impugnante pretende venga restituito dal tribunale, censurando un provvedimento che non l’ha disposto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’art. 322 cod. proc. pen. implica che i soggetti legittimati (“l’imputato ed il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”) possano conseguire, a seguito del riesame, la restituzione del bene e che quest’ultimo, ontologicamente o in quanto appartenente ad un determinato soggetto, sia effettivamente stato sottoposto a vincolo con il provvedimento cautelare reale che si impugna.
Tale consolidato orientamento non si pone in contrasto con il principio, affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui la valutazione dell’interesse ad impugnare, sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l’impugnante, va operata con riferimento alla prospettazione
rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, in motivazione).
Al contrario, proprio in applicazione del principio affermato delle Sezioni Unite, nel caso che ci occupa è manifesta la mancanza di interesse del ricorrente, che agisce in proprio e non, come avrebbe dovuto, quale legale rappresentante della società proprietaria dei beni oggetto del provvedimento ablativo, per l’assorbente ragione che, in ipotesi, l’eliminazione del decreto di sequestro avrebbe come unico effetto quello di sciogliere il vincolo ablativo con conseguente restituzione di detti beni alla società, senza alcun vantaggio per il ricorrente medesimo nella veste di indagato.
Ciò posto, neppure è ipotizzabile che l’interesse dell’indagato possa essere sostenuto sulla base delle ripercussioni derivanti dall’eventuale disarticolazione, in sede di impugnazione cautelare, del fumus delicti, giacché un’eventuale pronuncia favorevole non determinerebbe alcun effetto giuridico vincolante nel giudizio di merito, stante l’autonomia del giudizio cautelare (Sez. 5, n. 22231 del 17/03/2017, COGNOME, Rv. 270132).
La ragione di ciò risiede nello scopo cui tendono i procedimenti incidentali, che è quello di assicurare una pregnante ed incisiva tutela dei diritti di libertà personale o reale attinti da un provvedimento giurisdizionale, e non di porsi come incombenti diretti ad anticipare impropriamente la pronuncia di merito, tipica della fase cognitiva e perseguita, quale che sia l’esito del giudizio cautelare, esclusivamente dal procedimento principale.
In definitiva, stante l’assenza di un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, il ricorso deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 17/04/2025.