Interesse a impugnare: la Cassazione chiarisce quando cessa con il fine pena
Un principio fondamentale del nostro sistema processuale è che non si agisce in giudizio per mere questioni di principio. È necessario avere un interesse a impugnare che sia concreto, attuale e giuridicamente rilevante. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 33839/2024) torna su questo tema in relazione a una richiesta di liberazione anticipata presentata quando la pena era già stata interamente scontata, offrendo spunti cruciali sulla natura di questo requisito.
Il caso: ricorso per un “credito di pena” a pena già scontata
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto avverso un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Catania. Quest’ultimo aveva dichiarato il “non luogo a provvedere” su un reclamo in materia di liberazione anticipata, poiché il ricorrente aveva già terminato di scontare la propria pena.
Nonostante l’avvenuta liberazione, l’interessato decideva di ricorrere in Cassazione. La sua tesi era di avere ancora un interesse alla decisione nel merito. Sosteneva, infatti, che l’eventuale concessione della liberazione anticipata gli avrebbe generato un “credito di pena”. Tale credito, secondo la sua prospettazione, avrebbe potuto essere utilizzato in futuro, per fungibilità, per ridurre l’esecuzione di altre pene detentive che gli fossero state inflitte.
La decisione della Corte: l’interesse a impugnare deve essere attuale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il fulcro della decisione risiede nella natura stessa dell’interesse ad agire e a impugnare, che deve sempre possedere i caratteri della concretezza e dell’attualità.
La concretezza e l’attualità dell’interesse
La Suprema Corte ha ribadito che l’interesse deve esistere non solo al momento in cui si propone l’impugnazione, ma deve persistere fino al momento della decisione. Lo scopo della liberazione anticipata è, per sua natura, quello di anticipare la fine della pena. Una volta che la pena è stata completamente espiata, viene meno lo scopo stesso del beneficio e, di conseguenza, l’interesse del condannato a ottenerlo.
L’eventuale decisione favorevole non potrebbe più incidere in modo effettivo sulla sua situazione giuridica, poiché il risultato pratico a cui mirava (uscire prima dal carcere) è già stato raggiunto per il semplice decorso del tempo.
L’impossibilità della fungibilità per reati futuri
La Corte ha smontato anche l’argomento principale del ricorrente, relativo alla creazione di un “credito di pena”. I giudici hanno chiarito che l’interesse non può basarsi su prospettive astratte e future, come la possibilità di compensare pene per reati non ancora commessi.
Richiamando l’art. 657, comma 4, del codice di procedura penale, la Cassazione ha sottolineato che i periodi di detenzione valutabili per il calcolo della pena devono sempre seguire la commissione del reato, mai precederla. Pertanto, l’idea di accumulare un “bonus” da scontare su ipotetiche condanne future è giuridicamente infondata e non può costituire un interesse valido a sostenere un’impugnazione.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si basano su un’interpretazione rigorosa dei principi processuali. L’interesse a impugnare non è un concetto astratto, ma un presupposto processuale che garantisce l’efficienza del sistema giudiziario, evitando che le corti si pronuncino su questioni puramente teoriche o ipotetiche. La liberazione del condannato per espiazione della pena fa venir meno l’oggetto stesso della contesa, rendendo inutile qualsiasi pronuncia sulla liberazione anticipata. La pretesa di un “credito di pena” per reati futuri è stata respinta in quanto contraria ai principi fondamentali del diritto penale, secondo cui la pena segue il reato e non può essere “accantonata” preventivamente.
Le conclusioni
In conclusione, la sentenza conferma che l’avvenuta espiazione della pena estingue l’interesse del condannato a ottenere una decisione sulla liberazione anticipata. L’impugnazione diventa inammissibile per carenza di un interesse concreto e attuale. Questa decisione rafforza il principio secondo cui i benefici penitenziari sono strettamente legati all’esecuzione della pena in corso e non possono essere proiettati in una dimensione futura e incerta, come quella di futuri e ipotetici reati. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.
È possibile ricorrere per la liberazione anticipata dopo aver già scontato la pena?
No, secondo la Corte di Cassazione non è possibile. Una volta che la pena è stata interamente scontata, viene meno l’interesse concreto e attuale a ottenere un beneficio che ha come scopo proprio quello di anticipare la fine della detenzione. Il ricorso, pertanto, viene dichiarato inammissibile.
Il beneficio della liberazione anticipata non goduto può diventare un “credito di pena” da usare in futuro?
No. La Corte ha stabilito che non è possibile creare un “credito di pena” da utilizzare per compensare pene relative a reati non ancora commessi. L’interesse a impugnare non può basarsi su prospettive astratte e future, e i periodi di detenzione valutabili possono solo seguire la commissione di un reato, mai precederla.
Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile per mancanza di interesse?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, a causa della colpa nell’aver presentato un’impugnazione priva dei presupposti di legge, può essere condannato a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33839 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33839 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Modica il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/01/2024 del Tribunale di sorveglianza di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procura AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilit
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Catan dichiarava il non luogo a provvedere sul reclamo di NOME COGNOME in tema liberazione anticipata, causa l’intervenuta espiazione della pena.
Ricorre l’interessato per cassazione, con rituale ministero difensi denunciando la violazione degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. e 69-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), e deducendo di avere tuttora interesse definizione del procedimento in quanto dalla concessione della liberazio anticipata deriverebbe un “credito di pena” che, per fungibilità, potrebbe det dall’esecuzione di pene detentive future.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha di recente ribadito (Sez. 1, n. 50481 del 09/10/2019 Frisari, Rv. 277825-01) che l’intervenuta liberazione del condannato, intervenuta espiazione della pena, determina il venir meno dell’interesse ottenere la liberazione anticipata, o a coltivare il relativo giud impugnazione.
Il requisito dell’interesse deve infatti configurarsi in termini di concre attualità, e quindi deve sussistere sia al momento della proposizi dell’impugnazione, sia in quello della sua decisione, affinché questa possa av un’incidenza effettiva sulla situazione giuridica del condannato in rapporto sua pretesa di anticipare la data del suo fine pena.
L’interesse in questione non può essere neppure sostenuto da astratt prospettive di fungibilità (Sez. 1, n. 10863 del 10/01/2020, COGNOME), te anche conto che i periodi di detenzione valutabili ai sensi dell’art. 657, com cod. proc. pen. non possono precedere il reato, ma solo seguirlo, con conseguenza che tale disciplina non può essere applicata a reati che n risultano ancora commessi, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 17531 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284435-01; Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272101-01; Sez. 1, 8109 dell11/02/2010, COGNOME, Rv. 246383-01).
4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Cort sentenza n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 29/05/2024