Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28016 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28016 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Siracusa il 16/07/1970
avverso l’ordinanza emessa il 15/04/2025 dal Tribunale del riesame di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 aprile 2025 il Tribunale del riesame di Catania dichiarava inammissibile, per carenza di interesse, il reclamo presentato da NOME COGNOME finalizzato a ottenere la disapplicazione della disciplina sul trattenimento della corrispondenza applicabile ai detenuti sottoposto al regime speciale di cui all’art. 41-bis legge 26 giugno 1975, n. 354 (Ord. pen.), sulla base della quale erano stati, dapprima, trattenuti e, successivamente, restituiti un telegramma e una cartolina indirizzati a un soggetto sottoposto come il reclamante al medesimo regime differenziato all’interno della Casa di reclusione di L’Aquila.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, per avere il Tribunale del riesame di Catania escluso di potere disapplicare, nel caso di specie, la disciplina sul trattenimento della corrispondenza applicabile ai soggetti sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis Ord. pen., trascurando di considerare le implicazioni che il reclamo comportava sulle comunicazioni di tale popolazione carceraria, su cui la decisione censurata si soffermava assertivamente.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
Osserva il Collegio che la disciplina del trattenimento della corrispondenza, in entrata o in uscita, dei detenuti, è contenuta nell’art. 18-ter Ord. pen., così come novellata dalla legge 8 aprile 2004, n. 95, che si applica anche ai soggetti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., il cui comma 2-quater, lett. e), prevede la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza.
L’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e), Ord. pen., in particolare, non prevede un esplicito obbligo motivazionale che, però, deve ritenersi immanente, in conseguenza della previsione dell’art. 15 Cost., che stabilisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza possano essere limitati solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria.
Occorre precisare ulteriormente che l’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e), Ord. pen., è stata introdotta allo scopo di porre rimedio alla situazione che, in costanza di applicazione della previgente normativa, aveva portato a diverse pronunce di condanna emesse dalla Corte EDU nei confronti dello Stato italiano, motivate dall’assenza di un’apposita disciplina in ordine alla durata delle misure di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, ai motivi che potevano giustificarle e alle modalità di esercizio della facoltà di valutazione spettante alle autorità competenti in materia.
In questa cornice normativa, non può non rilevarsi che la motivazione eccessivamente sintetica del provvedimento impugnato, ai limiti dell’assertività, sembrerebbe orientare la decisione in senso favorevole alle censure difensive, che, sul punto, appaiono del tutto pertinenti.
Tuttavia, nel valutare le censure difensive non può non rilevarsi che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare, richiesta dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione dell’impugnazione e requisito soggettivo del relativo diritto, deve essere individuata in una prospettiva utilitaristica, costituita da una finalità negativa, consistent nell’obiettivo di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, nonché da una finalità positiva, consistente nel conseguimento di un’utilità ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto dell’impugnazione, a condizione che la stessa sia logicamente coerente con l’ordinamento giuridico (tra le altre, Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251693 – 01).
Ne discende che il requisito dell’interesse a impugnare deve configurarsi in termini di concretezza e attualità, oltre che sussistere sia nel momento della proposizione del gravame sia in quello della sua decisione, perché questa possa avere un’effettiva incidenza sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell’impugnazione (tra le altre, Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269199 – 01).
Tale requisito, quindi, presuppone la valutazione della persistenza di un interesse all’impugnazione, la cui attualità, in capo ad NOME COGNOME doveva ritenersi sussistente all’atto della proposizione del ricorso per cassazione e non doveva essere venuta meno per la mutata situazione, di fatto o di diritto, relativa alla corrispondenza controversa, rappresentata da un telegramma e una cartolina indirizzati a un soggetto sottoposto, come il ricorrente, al regime differenziato all’interno della Casa di reclusione di L’Aquila.
Ricostruita in questi termini la nozione di interesse a impugnare, deve rilevarsi che il telegramma e la cartolina in questione erano stati restituiti ad
NOME COGNOME corrente, prima della celebrazione dell’udienza del 15 aprile
2025, svoltasi davanti al Tribunale del riesame di Catania, con la conseguente carenza di interesse sottostante al ricorso per cassazione oggetto di vaglio, che
non risulta connotato da concretezza e attualità (Sez. U, n. 6624 del
27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, cit.).
4. Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in tremila
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 luglio 2025.