Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14653 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14653 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA.
sul ricorso proposto da:
a norma den’art. 52 digs 196/03 in quanto:
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avverso la sentenza del 19/07/2023 della CORTE di ASSISE di APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n
137/2020.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di assise di appello di Milano con sentenza del 19/7/2023 – in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 12/12/2022, che aveva condannato NOME RNOME alla pena di anni undici mesi due di reclusione per il reato di c:ui all’art. 630 cod pen. – riconosceva la circostanza attenuante di cui all’art. 311 cod. pen. e rideterminava la pena in anni otto di reclusione.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. Evidenzia all’uopo che la Corte territoriale ha fondato l’esclusione dell’invocata circostanza attenuante sulle seguenti circostanze di fatto: i) l’imputato era a conoscenza della pianificazione del sequestro sin dalla settimana precedente; li) in una occasione si è trovato solo, insieme ad I C.A. 1, con il soggetto sequestrato; iii) in un’altra occasione ha portato cibo ed acqua alla persona offesa; iiii) il C.A. ha riferito nell’immediatezza dei fatti che una parte del riscatto doveva essere divisa tra lui ed il ricorrente per il contributo da loro offerto. In merito, osserva che l conoscenza della pianificazione del sequestro non può far escludere la minima rilevanza del contributo, atteso che al più trattasi di una ipotesi di connivenza non punibile; che è illogica e contraddittoria la valorizzazione della circostanza che il R.M. si sia trovato solo con il sequestrato, tenuto conto che era ospite del CA. che ha avuto nella vicenda per cui si procede un ruolo assolutamente passivo e che non emerge dagli atti che abbia sorvegliato la persona offesa; che l’aver portato cibo ed acqua al soggetto tenuto in ostaggio dai coimputati non può escludere la minima entità del concorso, trattandosi dell’unica condotta materiale contestata al ricorrente; che, infine, in relazione all’ultimo punto, l motivazione è contraddittoria, atteso c:he attribuisce attendibilità alla dichiarazione del C.A. mentre in altra parte della sentenza si legge che il coimputato è del tutto inattendibile; che un ulteriore profilo di contraddittoriet sì palesa in relazione al compenso che il RNOMEMNOME avrebbe ricevuto, che una volta è individuato in una somma di denaro ed un’altra nell’aver ricevuto sostanza stupefacente del tipo cocaina a titolo gratuito.
2.1 Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 568, comma 4, cod. proc. pen. e 99 cod. pen. Rileva che la Corte territoriale ha giudicato infondata la richiesta di esclusione della recidiva per carenza di interesse, tenuto conto che il giudice di prime cure l’ha ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti generiche, per cui non ha avuto incidenza sul trattamento sanzionatorio; che, invece, tale statuizione è errata, in quanto la recidiva produce effetti ulteriori rispetto al mera commisurazione della pena; che, invero, l’applicazione della circostanza aggravante in discorso, nel caso di futura sottoposizione del ricorrente a procedimento penale, lo esporrebbe alla contestazione della recidiva reiterata, da cui derivano rilevanti conseguenze processuali e penitenziarie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
1.1 II primo motivo non è consentito, in quanto costituito da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fon
probatorie, estranee al sindacato di legittimità. Peraltro, detto motivo è reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
Va, poi, evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., oltre che con riferimento alla affermazione della responsabilità dell’imputato, costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l’ulteriore parametro costituito dal fat che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01).
Tanto premesso, si osserva che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sezione 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 01; Sezione 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01; Sezione 4, n. 35683 del 10/07/2007, COGNOME, Rv. 237652 – 01). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sezione 2, n. 5336 del 9/1/2018, COGNOME., Rv. 272018 – 01; Sezione 6, n. 19710 del 3/2/2009, Buraschi, Rv. 243636 – 01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero dì una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo e la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.),, il vizio di travisamento della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrent rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
In altri termini, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Sezione 2, n. 9106 del 12/2/21, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sezione 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01), il sindacato del giudice di legittimità sul
discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (nell’affermare tal principio, la Corte ha precisato che il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l’esistenza di “atti del processo” non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l’atto processuale cui intende far riferimento, l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati, nonché dell’esistenza effettiva dell’atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest’ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione).
1.1.1 Non è dunque sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante e con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi dì segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. È, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. Ir giudice di legittimità è, pertanto,
chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”.
1.1.2 Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, invero, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati d giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispettino sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera dell’art. 8 della L. n. 46 del 2006, «mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare glì elementi di prova valutati dal giudice di merit ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano» (Sezione 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1.3 Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né i giudice di legittimità può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al
contro
llo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenz alle regole della logica, oltre che del diritto e all’esigenza della completezza espositiva (Sezione 6, n. 40609 del 01/10/2008, COGNOME, Rv. 241214 – 01).
1.1.4 Nel caso di specie, le risposte alle doglianze avanzate dalla difesa si rinvengono nella lettura congiunta delle due sentenze di merito, che hanno evidenziato, come l’apporto fornito dal R.M. al sequestro di NOME non possa esser considerato marginale, tenuto conto che almeno in una occasione è rimasto a sorvegliare l’ostaggio unitamente al coimputato COGNOME , che in altra occasione ha portato cibo ed acqua al sequestrato, che a lui era destinata una parte del riscatto, come riferito dal C.A. . Orbene, già solo le prime due circostanze portano ad escludere la minima rilevanza del contributo offerto dall’odierno ricorrente.
Ebbene, a fronte di una motivazione congrua, analitica ed esaustiva, del tutto esente da qualsivoglia vizio logico, la difesa si è limitata a rìpropor doglianze, già avanzate ai giudici di appello, con le quali ha continuato nell’opera di parcellizzazione del materiale probatorio ed ha cercato di fornire una lettura in fatto alternativa a quella fatta propria dai giudici di entrambi i gradi di merito.
1.2 Coglie nel segno il secondo motivo.
Va premesso che nella giurisprudenza di legittimità sul tema dell’interesse ad impugnare nei termini espressi nella doglianza difensiva si contrappongono due indirizzi. Secondo un primo orientamento, è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato preordinata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia stata già ritenuta sub-valente rispetto alle riconosciute attenuanti, in considerazione dell’assenza di effetti pregiudizievoli per l’imputato (tra le altre, Sezione 2, n. 3880 del 24/11/2022, NOME, Rv. 284309 – 01; Sezione 1, n. 43269 del 25/9/2019 Rv. 277144 01; Sezione 4, n. 20328 del 11/1/2017, Rv. 269942 – 01; Sezione 4, n. 27101 del 21/4/2016, NOME, Rv. 267442 – 01; Sezione 2, n. 38697 del 24/6/2015, NOME, Rv. 264803 – 01; Sezione 3, n. :16717 del 9/3/2011, NOME, Rv. 250000 – 01). Si ritiene, invero, che la facoltà di attivare i procedimenti d gravame non sia assoluta e indiscriminata, ma subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulti idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata renda possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso (Sezioni Unite, n. 10372 del 27/9/1995, COGNOME, Rv. 202269 – 01).
Secondo l’opposto indirizzo, sussiste l’interesse all’impugnazione dell’imputato proposta al fine di ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, anche quando con il provvedimento impugnato gli siano state concesse circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza su tale aggravante,
poiché costituisce suo diritto vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestatagli, specie laddove si consideri che il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti sulla determinazione della pena, ma lascia inalterata la valutazione deteriore del fatto e della personalità dell’imputato (da ultimo, Sezione 5, n. 24622 del 9/5/2022, COGNOME, Rv. 283259 – 01; tra le tante conformi, Sezione 1, n. 35429 del 24/6/2014, COGNOME, Rv. 261453 – 01; Sezione 1, n. 27826 del 13/6/29013, COGNOME, Rv. 255991 – 01; Sezione 6, n. 19188 del 10/1/2013, P., Rv. 255071 – 01; Sezione 6, n. 3174 del 11/1/2012, COGNOME, Rv. 251575 – 01; Sezione 5, n. 37095 del 22/4/2009, Rv. 246580 – 01).
Orbene, ritiene il Collegio che occorra dar seguito a quest’ultimo orientamento, che risulta maggiormente convincente: non può, invero, revocarsi in dubbio che l’imputato abbia diritto a vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestatagli, anche in considerazione del fatto che il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti diretti solo sul determinazione della pena, lasciando inalterata la valutazione deteriore del fatto e della personalità dell’imputato, che resta connotata in termini di maggior disvalore in presenza della recidiva. Non solo, perché quel che più conta è che tale circostanza aggravante non limita i suoi effetti al trattamento sanzionatorio, ma incide significativamente anche sul trattamento penitenziario, precludendo l’accesso ai benefici previsti dall’ordinamento penitenziario (si pensi, ad esempio, alle misure alternative alla detenzione, ai permessi premio, al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione, divieto di concessione di seconda mìsura alternativa, ai sensi dell’art. 58-quater, comma 7-bis, ord. pen.) ed incidendo negativamente, altresì, sulle condizioni per la riabilitazione, a norma dell’art. 179, comma secondo, cod. pen. e sulla estinzione della pena per decorso del tempo, ai sensi degli artt. 172, comma settimo e 173, comma primo, cod. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dunque, il ricorrente ha interesse ad impugnare la sentenza di secondo grado anche per contestare la recidiva, benché ritenuta minusvalente nel giudizio di bilanciamento, atteso che la sua applicazione, pur non incidendo sulla determinazione della pena, nel caso di futura sottoposizione a procedimento penale, lo esporrebbe alla contestazione della recidiva reiterata, con tutte le conseguenze negative che ne discendono.
Del resto, le Sezioni Unite COGNOME hanno specificato che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole ed hanno fondato la carenza di interesse ad impugnare sull’assenza di qualsiasi profilo di concretezza della pretesa sottesa all’impugnazione, riconoscendo viceversa detto interesse in «presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice
risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante». Ebbene, tale lesione è certamente ravvisabile nel caso della recidiva per i motivi sopra sintetizzati.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata in parte qua con rinvio ad altra sezione della Corte dì assise di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva’ con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto. Così deciso in Roma, il giorno 7 marzo 2024.