Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8065 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8065 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME nato in Albania il 19/09/1974, avverso la sentenza in data 01/04/2022 della Corte di appello di Bari, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal presidente NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 1° aprile 2022 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza in data 11 maggio 2017 del Tribunale di Foggia ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato del capo C), limitatamente al reato dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, e per I reati del capo D) e del capo G) per essere estinti per intervenuta prescrizione, e ha ridotto la pena per i residui reati ad anni 6, mesi 6 di reclusione ed euro 85.000 di multa.
2. L’imputato ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi. Eccepisce con il primo la violazione di norme processuali e la violazione di legge per inutilizzabilità delle intercettazioni e della perizia che le aveva trascritte pe mancata indicazione in perizia del nome della traduttrice e per mancata specificazione dei criteri seguiti nella traduzione (all’udienza la traduttrice aveva dichiarato di aver proceduto alla traduzione letterale); con il secondo la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al divieto di applicazione della presunzione di secondo grado e alla prova dei reati dei capi B), C), D), G); con il terzo la violazione di legge e il vizio di motivazione perché si trattava di cosiddetta droga parlata e non era stata raggiunta la prova dell’esistenza dello stupefacente; con il quarto il vizio di motivazione per omessa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; con il quinto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al diniego delle generiche e all’entità degli aumenti per la continuazione.
Presenta due motivi nuovi, insistendo sulle irregolarità formali della perizia con riferimento alla mancata indicazione dell’interprete e alla mancata verbalizzazione delle sue attività (primo motivo) e sull’errata identificazione della sua persona (secondo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il primo motivo è inconsistente. L’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, traduzione e trascrizione delle conversazioni, non è causa di inutilizzabilità dei risultati di tali operazioni, essendo tale sanzione prevista solo per i casi tassativamente indicati dall’art. 271 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 7030 del 16/01/2020, Polak, Rv. 278659; Sez. 5, n. 15472 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272683). In linea con tali principi la Corte territoriale ha evidenziato che, all’udienza del 19 settembre 2013, il perito NOME COGNOME era stata autorizzata dal Tribunale a farsi coadiuvare da un interprete in lingua albanese; alla successiva udienza del 24 aprile 2014 l’interprete NOME era stata sentita e aveva dichiarato di aver tradotto i dialoghi captati in senso letterale. In nessuno dei due momenti il difensore ha sollevato eccezioni. In continuità con la strategia processuale seguita, nel primo motivo di ricorso e nel primo motivo nuovo, ha formulato delle censure formali non prospettando ragioni di incompatibilità dell’interprete né criticando il suo lavoro, contestando e proponendo delle traduzioni delle intercettazioni alternative.
3.2. Il secondo motivo, che tratta anche dei reati per cui è stata accertata l’estinzione per intervenuta prescrizione, è generico. Il ricorrente, per un verso,
ha contestato l’attribuzione di reati di stupefacente quando non vi era stato alcun sequestro e, per altro verso, ha contestato la sua identificazione a partire dalle intercettazioni. Il tema dell’identificazione è stato poi oggetto del secondo motivo nuovo. La risposta è nelle pag. 9 e seg. della sentenza impugnata. Le conversazioni intercettate per telefono e in ambientale hanno costituito un formidabile spunto investigativo per i Carabinieri che hanno potuto esperire fruttuosi servizi di appostazione e pedinamento. E’ stata acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen. la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in altro giudizio nei confronti di NOMECOGNOME concorrente dell’imputato nei reati dei capi B) e C). Per l’episodio del 18 gennaio 2012, in cui NOME COGNOME era stato arrestato con 75 chili di marijuana, egli era stato considerato concorrente perché a bordo di un veicolo civetta e aveva concordato l’applicazione della pena di anni 4 di reclusione. La sua identificazione era da ritenersi certa sulla base dei controlli effettuati all’aeroporto di Bari nell’episodio del 15 febbraio 2012 nonostante l’uso del nome NOME. Nelle intercettazioni l’imputato aveva chiesto all’interlocutore di sostituire i suo nome in rubrica con un nome di fantasia e di non chiamarlo con il nome vero. Il ricorrente non si è confrontato con tale approfondita motivazione e si è limitato a contestare l’interpretazione delle intercettazioni con deduzioni che esulano dalla cognizione del giudice di legittimità (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01, che ha ribadito che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite).
3.3. Il terzo motivo che, del pari, tratta anche dei reati oggetto di prescrizione, è generico. Il ricorrente ha insistito sull’insufficienza della cosiddetta droga parlata a evidenziare la sua responsabilità, ma la Corte territoriale ha dato conto in dettaglio dell’attività investigativa, del contenuto delle intercettazioni e dei servizi mirati di appostamento, perquisizione e controllo, per cui deve ritenersi pienamente assolto l’obbligo di motivazione rigorosa che è richiesto in questi casi (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251; Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299; Sez. 3, n. 16792 del 25/03/2015, COGNOME, Rv. 263356).
3.4. Immune da censure è anche la mancata riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. In ossequio al principio di diritto espresso dalla sentenza a Sezioni Unite Murolo (sent. n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076 – 01 e 02), la Corte territoriale ha valorizzato plurimi indici escludenti la fattispecie lieve. NOME era un fornitore, era in grado di procurare sostanze di vario tipo, aveva rapporti di un certo livello in Albania, come
documentato dalle intercettazioni di tenore inequivoco riportate a pag. 18 della sentenza impugnata, allorché aveva partecipato al suo interlocutore COGNOME dei suoi contatti in Venezuela e in Grecia nonché delle operazioni compiute in Albania anche grazie alla corruzione della polizia, e i suoi programmi: «qui si lavorerà pesantemente con i sacchi, in grande quantità … eroina, cocaina, tutto…e faremo soldi a paiate».
3.5. Ineccepibile infine è la motivazione relativa al diniego delle generiche per la gravità dei fatti, per le elevate quantità di stupefacente movimentate, e per l’inserimento dell’imputato a un certo livello nel settore del narcotraffico internazionale, nonché la motivazione relativa all’aumento per la continuazione di soli mesi 6 di reclusione ed euro 5.000 di multa per i fatti del capo B), bastando per l’esiguità il riferimento ai criteri dell’art. 133 cod. pen.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 24 ottobre 2024
Il Consigliere estensore