Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20936 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20936 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MARANO DI NAPOLI il 08/08/1963 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 12/12/1978 LA NOME COGNOME nato a POMPEI il 23/06/1964 COGNOME nato a NAPOLI il 13/04/1979 COGNOME NOME nato a FROSINONE il 05/08/1980
avverso la sentenza del 05/02/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che conclude per l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’entità della pena base e all’aumento per la continuazione con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, con dichiarazione di irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità e il rigetto del ricorso nel resto; per rigetto dei ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME per l’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e COGNOME.
Udito l’avv. NOME COGNOME del foro di FROSINONE, per delega orale dell’avv.
COGNOME del foro di FROSINONE, difensore di NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME del foro di NAPOLI, difensore di NOME COGNOME come da delega scritta ai sensi dell’art. 102 c.p.p. e per delega orale dell’avv. NOME COGNOME del foro di NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME del foro di NAPOLI, difensore di NOME COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
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RITENUTO IN FATTO
In data 5 febbraio 2024, la Corte di appello di Napoli in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli Nord, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a tutti gli imputati oggi ricorrenti, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio.
Il Tribunale di Napoli, sulla scorta del compendio probatorio costituito dalle trascrizioni delle intercettazioni, dalla “perizia” foni dall’informativa dei Carabinieri del R.O.N.I. del Comando provinciale di Napoli, dai provvedimenti giurisdizionali acquisiti, alcuni dei quali non ancora irrevocabili, resi nell’ambito dello stesso procedimento nei confronti dei coimputati che avevano optato per il giudizio abbreviato, dalle deposizioni rese dai testi di P.G. oltre che dai periti nominati nonché, infine, dall’esame degli imputati, aveva ritenuto provata la responsabilità dei seguenti imputati:
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art.74 d.P.R. n. 309/90 con il ruolo di partecipe, in qualità di custode del denaro delle compravendite, dello stupefacente occultato nel box di pertinenza della sua abitazione e dei libri contabili relativi alla commercializzazione dello stupefacente effettuata da NOME COGNOME e NOME COGNOME quest’ultimo suo compagno, entrambi posti in posizione di vertice con il ruolo di organizzatori e gestori della distribuzione di sostanza stupefacente nel territorio di Marano e nel frosinate (capo A);
b) NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi AD), AI) e AM) con il ruolo di intermediario svolto per la cessione da parte del COGNOME nel primo caso ad un soggetto non meglio identificato e poi ad NOME COGNOME di sostanza stupefacente. Nei primi due casi (1’11.12.2015 e il 19.12.2015) si sarebbe trattato di un chilogrammo di hashish, nel secondo, di sostanza della quale non è stato possibile identificare tipo e quantità;
c) NOME COGNOME in relazione ai reati ascritti ai capi Y) e AJ). Nel primo caso si contestava a COGNOME e COGNOME di avere acquistato sostanza stupefacente del tipo hashish (20 chilogrammi) da NOME COGNOME al fine di cederla a NOME COGNOME e NOME COGNOME che la acquistavano per rivenderla a terzi. Nel secondo caso si trattava di sostanza stupefacente dello stesso tipo che COGNOME e COGNOME avrebbero acquistato da NOME COGNOME (8 chilogrammi) cedendone una quantità imprecisata a COGNOME;
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi W) e AH) relativamente all’acquisto di sostanza stupefacente del tipo hashish del peso di 1,200 chilogrammi che COGNOME e COGNOME cedevano per il tramite di COGNOME e nel secondo caso, dell’acquisto di tre chilogrammi della stessa sostanza stupefacente, avvenuta dopo circa due settimane e che prevedeva la restituzione dello stupefacente consegnato in precedenza perché rivelatosi di scarsa qualità;
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo 3) relativamente alla cessione di un quantitativo non accertato di sostanza stupefacente del tipo marijuana a Dell’Aquila che la occultava a bordo di un’autovettura per portarla a D’Onofrio e Sepe, a Marano di Napoli.
E’ stata ritenuta accertata l’esistenza e l’operatività di una associazione dedita al narcotraffico, operante nel territorio di Marano, riuscendo anche a travalicare i confini regionali alla quale avrebbero preso parte alcuni degli imputati.
3.1. Tra costoro è stata ritenuta partecipe NOME COGNOME, compagna di NOME COGNOME, ritenuto al vertice del sodalizio, presso l’abitazione della quale, la notte del 26 e 27 gennaio 2016, venivano sequestrati 49,200 chilogrammi di hashish. La donna, oltre che occuparsi di occultare lo stupefacente, era solita parlare di affari riferiti a vendita di droga ed era destinataria della consegna di somme di denaro.
La Corte territoriale ha respinto i rilievi mossi dalla difesa dell COGNOME circa la sua esclusione dalla partecipazione al sodalizio criminoso ritenendo gli elementi probatori convergenti nel dimostrare una fattiva partecipazione di costei al programma illecito perseguito dalla consorteria ricavandolo dalle intercettazioni da cui si desumeva che la donna, lungi dall’offrire un apporto occasionale, avrebbe fornito un contributo stabile e fattivo nelle attività prodromiche, contestuali e successive alle transazioni illecite. Venivano, tuttavia, riconosciute alla COGNOME le circostanze attenuanti generiche e la pena era conseguentemente rideterminata.
3.2 COGNOME era stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo Y) ricavando, dalle intercettazioni, il suo coinvolgimento nella cessione di 20 chilogrammi di hashish a fronte di un corrispettivo di circa 15 mila euro. I fatti si svolgevano il 4 dicembre 2015 e vedevano coinvolti anche la coppia COGNOMECOGNOME e COGNOME NOME. I venditori, raggiunto l’accordo con l’acquirente COGNOME, e non avendo la disponibilità del quantitativo di
stupefacente richiesto, si attivavano per ottenerlo rivolgendosi a più persone. Nell’ultima fase, compariva il COGNOME il quale insieme a COGNOME prelevava lo stupefacente. COGNOME era stato ritenuto responsabile anche del reato di cui al capo A3), ossia la cessione di marijuana effettuata da COGNOME e COGNOME in favore del COGNOME dopo averla acquistata da NOME COGNOME. La sentenza del Tribunale muove dall’intercettazione delle conversazioni telefoniche n. 9470 e 9509 dell’8 gennaio 2016 e da quelle ambientali n. 2842 e 2844 dalle quali emergeva che il Granata risultava avere acquistato lo stupefacente da destinare a terzi.
La Corte territoriale ha respinto le censure mosse dalla difesa del Granata ritenendo non necessaria la rinnovazione istruttoria richiesta quanto al capo Y) poiché il Collegio, in sentenza, dava atto di aver proceduto in camera di consiglio all’ascolto della conversazione in cui si percepiva la frase NOME “con le lenti”, espressione questa che era riportata nell’informativa acquisita con il consenso delle parti e non, invece, nella trascrizione operata dal perito trascrittore. Quanto al capo A3) la Corte territoriale respingeva l’assunto difensivo secondo cui l’assoluzione in separato giudizio di COGNOME avrebbe dovuto determinare l’assoluzione anche per il COGNOME ritenendo provato che la coppia COGNOME/COGNOME avesse comunque rifornito il ricorrente al quale, tuttavia, venivano concesse le circostanze attenuanti generiche in relazione all’epoca di commissione dei reati e al corretto comportamento processuale.
3.3 COGNOME è stato condannato in relazione al capo W) per l’acquisto in concorso con Dell’Aquila e COGNOME di kg. 1,700 di hashish come risultava dalle captazioni attivate nei confronti di Dell’Aquila, condannato con separato giudizio per avere preso parte all’associazione con il ruolo di corriere. COGNOME era, altresì, condannato per il reato di cui al capo AH) laddove gli si contestava la cessione di kg. 3 di hashish consegnati a Dell’Aquila il 18 dicembre 2015, anche in sostituzione della prima partita di droga ceduta, risultata di scarsa qualità.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio espresso in punto di responsabilità rispetto ai reati di cui ai capi W) e AH) e respinto i motivi di appello circa la nullità della sentenza, per essere la motivazione mutuata dall’informativa, circa l’esatta identificazione dell’imputato e la riconducibilità allo stesso delle condotte contestate. Anche in questo caso, tuttavia, la Corte territoriale ha riconosciuto le circostanze
attenuanti generiche e rideterminato la pena (anni tre di reclusione ed euro 5.000 di multa).
3.4. Quanto a COGNOME è stata ritenuta provata dal giudice di primo grado la responsabilità in relazione ai reati di cui ai capi AD), AI) e AM). COGNOME, pur non essendo direttamente sottoposto a intercettazioni, veniva registrato nei contatti e negli incontri con COGNOME e COGNOME ed emergeva così il suo ruolo di intermediario nelle cessioni di droga di cui ai detti capi di imputazione, ricevendo nelle rispettive occasioni il compenso di 50 euro.
E’ stato, inoltre, confermato il suo ruolo di mediatore nel passaggio di stupefacente dal venditore all’acquirente, respingendo le censure mosse con l’atto di appello. La rideterminazione della pena per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ha determinato, in capo al Coppeto, la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
3.5. Le Mura era condannato per il reato di cui al capo 3) della rubrica relativo alla cessione di sostanza stupefacente del tipo marijuana alla coppia COGNOME/COGNOME. Il riferimento è alle conversazioni captate la notte tra il 29 e il 30 ottobre 2015 finalizzate a organizzare degli incontri, uno dei quali presso l’abitazione di Le Mura, aventi come finalità il procacciamento dello stupefacente.
Anche con riferimento all’imputato COGNOME, la Corte ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza per “carenza grafica” della motivazione oltre che la mancanza di prova del coinvolgimento del COGNOME, richiamando i contatti telefonici intercorsi tra il 20 e il 30 ottobr 2015 aventi ad oggetto la programmazione di incontri oltre che risultati delle intercettazioni che denotavano l’intervenuto passaggio di droga e di denaro. Anche in questo caso la pena è stata rideterminata per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Avverso la sentenza sono stati proposti ricorsi nell’interesse degli imputati sopra indicati.
4.1. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato ad un unico motivo con il quale si deduce vizio di motivazione, mancanza, contraddittorietà e illogicità della stessa in relazione alla richiesta esclusione della partecipazione al sodalizio criminoso. La COGNOME, compagna del COGNOME, è stata ritenuta partecipe per essersi occupata di occultare il denaro e la droga. Costei, sull’auto dell’allora compagno
era solita parlare di affari riferiti alla vendita della droga con tal imputati. La Corte di appello, ripercorrendo lo schema già delibato dal giudice di primo grado, ha affermato che la COGNOME avrebbe partecipato al sodalizio sulla scorta di alcune intercettazioni ambientali che, peraltro, sarebbero state fraintese. Poiché nel procedimento in esame, stralcio del principale a carico del COGNOME, sono confluite centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali in nessuna delle quali risulta provato l’intervento della COGNOME, mai citata da altri coimputati, avrebbe dovuto ricavarsi che la COGNOME si interfacciava esclusivamente con il compagno, subendone passivamente i comandi.
La Corte poi afferma che la COGNOME offriva consigli al compagno in merito alle attività logistiche utilizzando un passaggio (pag. 25) in cui si parla di contrabbando di sigarette, che esula dal presente processo e dal quale non può inferirsi la partecipazione della donna al sodalizio criminoso. Ancora la Corte territoriale evoca l’intercettazione n. 3358 allorquando COGNOME parlava di un regalo in denaro da fare alla COGNOME e COGNOME rispondeva di non preoccuparsi che la donna “viveva appresso” a lui. Non si è considerato che la COGNOME conviveva in casa propria con il COGNOME il quale usava l’abitazione in libertà, fatto questo che si è ritorto contro di lei. La Corte non fornisce prove concrete da cui desumere la coscienza e volontà della COGNOME di porsi al servizio dell’associazione. Si sostiene che la condotta posta in essere dalla COGNOME mirasse alla crescita personale ed economica del compagno, pur inserito in ambienti malavitosi piuttosto che al supporto sinergico e fattuale al programma criminoso di una associazione dedita al narcotraffico.
4.2. E’ stato proposto ricorso nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE articolando tre motivi.
4.2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il giudizio di responsabilità espresso quanto al capo Y) è fondato sull’uso illegittimo delle conversazioni compendiate nell’informativa di P.G. acquisita al fascicolo del dibattimento benché della stessa fosse consentita la lettura solo nella parte descrittiva.
La difesa aveva chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale contestando il ricorso del Tribunale all’uso della fonia quale prova per individuare il ricorrente in quel NOME che concorre nel conteggio del denaro a bordo dell’auto in uso a Sepe e D’COGNOME. LA Corte territoriale nel rigettare il motivo si sarebbe limitata a richiamare la sentenza n. 46566/2017 della Suprema Corte e a ridurre la doglianza
difensiva alla mera critica della utilizzabilità dei supporti quale prova, discapito della perizia trascrittiva. La Corte sarebbe incorsa nel medesimo errore metodologico in cui è incappato il Tribunale, ritenendo la valenza probatoria dei supporti contenenti conversazioni intercettate e ritenendo legittimo l’ascolto delle stesse senza considerare che la prova deve formarsi nel contraddittorio delle parti. Un ulteriore vulnus motivazionale è rappresentato dalla mancata indicazione degli strumenti tecnici usati per l’ascolto. Dell’intero materiale intercettivo, costituito centinaia di conversazioni telefoniche e ambientali di cui è stata disposta la trascrizione solo per il passaggio che riguarda l’individuazione del ricorrente, si è reso necessario il riascolto che avrebbe dovuto essere disposto in udienza, ricorrendo a mezzi adeguati o affidando a un perito, un ulteriore incarico di trascrizione.
4.2.2. Con il secondo motivo la difesa si duole dell’apparente motivazione posta a fondamento del giudizio di responsabilità espresso con riferimento al reato di cui al capo AJ)
Si lamenta, innanzitutto, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in quanto a COGNOME era stato contestato l’acquisto da COGNOME e COGNOME di una quantità imprecisata di stupefacente del tipo marijuana che questi ultimi avrebbero a loro volta acquistato dal coimputato COGNOME. Nel corso delle indagini non è stato possibile accertare l’esistenza e la disponibilità dello stupefacente né da parte del COGNOME né da parte di COGNOME e COGNOME, eccezion fatta per un campione; né dalle immagini è stato possibile documentare uno scambio tra questi ultimi e l’odierno ricorrente. Tutto ciò va rapportato alla sentenza irrevocabile di assoluzione dell’imputato NOME è stato assolto, sul presupposto che mancasse la prova non solo della cessione della droga a Sepe e D’Onofrio ma anche la disponibilità della stessa da parte del COGNOME. La sentenza rappresenta un accertamento del fatto da cui non si può prescindere e tanto il Tribunale quanto la Corte, errando, hanno valutato come irrilevante sia l’effettiva disponibilità da parte del primo fornitore sia l’individuazione dello stesso perché senza sostanza non ci poteva essere trattativa. Detta doglianza non ha trovato risposta. Entrambi i giudicanti hanno ritenuto provata l’astratta ipotesi accusatoria nella modalità dell’accordo sull’acquisto, piuttosto che nella consegna effettiva come contestato nel capo di impugnazione. Dalla conversazione riportata non si ricava neppure che l’accordo tra le parti si sia perfezionato in quanto al contatto è seguito non un appuntamento ma un preallarme al
NOME come mera eventualità. In concreto manca la prova che il campione sia stato mostrato e apprezzato dal COGNOME.
4.2.3. Con il terzo motivo si contesta il trattamento sanzionatorio anche in ragione dell’aumento di pena apportato per la continuazione tra i reati.
4.3.E’ stato proposto ricorso nell’interesse di COGNOME affidandolo a cinque motivi.
4.3.1. Con il primo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo AD), avente ad oggetto la cessione di un chilogrammo di hashish suddiviso in due panetti. Si contestava a COGNOME di avere svolto un ruolo di intermediazione nella cessione di un chilogrammo di hashish mettendo a disposizione la propria officina. La Corte non indica in che cosa sia consistita la partecipazione del COGNOME né spiega da cosa derivi la sua consapevolezza o, ancora, la causale della elargizione di 50 euro senza specificazione alcuna. COGNOME, come risulta dalla informativa era dipendente e non titolare dell’officina, dunque, non si comprende come potesse mettere la struttura a disposizione dato che, tra l’altro, in sentenza viene indicato un bar quale luogo di scambio. Ripercorrendo la frase intercettata tra COGNOME e COGNOME, in cui si afferma “gli ho dato 50 euro a NOME, gli ho detto NOME stanno 100 euro di guadagno, te li stiamo dando a te lo sai perché? Siccome sei un compagno, ti stai mettendo a disposizione” si rileva l’inverosimiglianza dell’affermazione secondo cui un chilogrammo di hashish consenta il guadagno di soli cento euro. E’, dunque, probabile che la frase si riferisse all’attività di meccanico svolta dal ricorrente. Non è dato sapere chi fosse l’acquirente né è certo che COGNOME abbia ricevuto tale somma di denaro men che meno che la persona che COGNOME stava per presentare avesse intenzione di acquistare droga. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.3.2. Con il secondo motivo si contesta la mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto alla responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato di cui al capo AI). La condanna si fonda sulla intercettazione di una conversazione registrata il 19.12.2015 nella quale il COGNOME invita il Sepe a prendere un caffè e subito dopo COGNOME contatta tale NOME riferendogli “il tipo di sostanza”. Dopo l’incontro sarebbe giunto l’imputato il quale avrebbe ricevuto l’importo di 50 euro. A fronte del motivo di appello proposto, il giudice ha omesso di fornire una motivazione logica e coerente con quanto accertato. Si evidenzia che COGNOME e COGNOME parlavano liberamente con l’acquirente,
identificato nel COGNOME e davano l’impressione di conoscersi. Non vi era, dunque, alcuna necessità di intermediari. COGNOME non era presente allo scambio ma giungeva dopo che COGNOME si era allontanato. La conversazione con il COGNOME riguarda la riparazione dell’auto di un tale NOME che non aveva ancora pagato la cifra pattuita per la riparazione dell’auto tanto che COGNOME lo contattava dicendogli che l’auto era pronta. Poiché COGNOME diceva a COGNOME che “non stanno facendo niente” e “non è neppure il nostro” non è improbabile che i cinquanta euro costituiscano una parte del denaro che NOME avrebbe dovuto dare al meccanico.
4.3.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione con riferimento al giudizio espresso in relazione al capo AM). Anche in questo caso la motivazione è fondata solo sulla consegna a Coppeto di 50 euro Ancora una volta non si comprende il motivo per il quale il ricorrente avrebbe dovuto fare da intermediario tra COGNOME e COGNOME e il COGNOME che conoscevano e che nei messaggi inviatigli, COGNOME chiama “amore”. Evidenzia la difesa che COGNOME è stato assolto dalla Corte di appello di Napoli dal reato in questione sul presupposto che non sarebbe emerso il quantitativo di stupefacente acquistato il che non consente di escludere che la droga fosse destinata all’uso personale. Non si comprende, secondo la difesa il motivo per il quale la somma di 50 euro non possa essere imputato a titolo di acconto alla riparazione dell’auto Mercedes del Sepe, per un totale di 600 euro, dato che come riferito dal mar.11o Menale detta auto era stata ferma in riparazione.
4.3.4 Con il quarto motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione nell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Non si comprende da cosa COGNOME avrebbe dovuto ricavare la consapevolezza che i coimputati COGNOME e COGNOME avessero un’ampia disponibilità di sostanze stupefacenti. Quanto al ritenuto ruolo non marginale rivestito nelle vicende COGNOME è evidente che costui non aveva alcun potere decisionale, non svolgeva alcuna attività rilevante, non presenziava agli scambi né parlava della commercializzazione. La sentenza è contraddittoria laddove per un verso descrive il ruolo marginale di un intermediario che riceve 50 euro e poi lo considera elemento di rilievo, senza il quale l’affare non si sarebbe concluso.
4.3.5. Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. La Corte pur concedendo le circostanze attenuanti generiche ha irrogato una pena sproporzionata al fatto senza motivare
fatta eccezione per il riferimento alla “gravità della condotta, tenuto conto del fatto che il COGNOME svolgeva regolare attività lavorativa”:
4.4. E’ stato proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME articolando un unico motivo con il quale si contesta il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 richiamando giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che ai fini dell’accertamento del fatto di lieve entità il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norm in una valutazione globale e unitaria dei diversi indicatori della lieve entità del fatto. Nel caso in esame non vi è prova né della quantità né del principio attivo; si tratterebbe solo di marijuana; non vi sono stati sequestri. I giudici di secondo grado fanno solo riferimento a contatti telefonici tra l’imputato e il coimputato dell’Aquila registrati il 20 e il ottobre 2015 e ad una intercettazione del 5 novembre 2015 in cui il Sepe e il COGNOME parlavano di un tale COGNOME che si accompagnava a NOME il quale era andato a riscuotere i soldi dell’erba e nel corso della quale non si specifica mai l’eventuale dato quantitativo della droga.
4.5. E’ stato proposto ricorso nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE affidandolo a cinque motivi di ricorso.
5.4.1 Con il primo si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione. Secondo la difesa la Corte ha obliterato le plurime emergenze probatorie da cui emergeva l’estraneità del Verdicchio nelle vicende di narcotraffico oggetto del processo. La Corte che pure avrebbe potuto integrare la motivazione di primo grado della quale era stata eccepita la nullità della motivazione, a tanto non ha provveduto, limitandosi ad affermare che la sentenza di primo grado si fonda sugli elementi emersi dall’istruttoria dibattimentale e su quelli acquisiti con il consenso delle parti, senza dare conto di quali fossero. Vi è, inoltre, un travisamento delle prove nella parte in cui la Corte territoriale afferma che si era proceduto a una perizia fonica, mai compiuta. La Corte confonde la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero con la perizia di cui all’art. 220 cod. proc. pen.
4.5.2. Con il secondo motivo si censura la sentenza nella parte in cui, a fronte delle censure mosse con l’atto di appello con le quali si lamentava che il Tribunale non avesse indicato gli argomenti dotati di efficacia persuasiva che lo avevano condotto ad affermare la responsabilità dell’imputato, in relazione ai reati di cui ai capi W) e AH),
benché assolto tanto dai reato associativo di cui al capo A) quanto dai reati satellite di cui ai capi C) e G) per non essere stato provato che la voce intercettata al momento delle cessioni fosse la sua. La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado ritenendo l’identificazione dell’imputato dimostrata dalla “perizia fonica” oltre che dal fatto che prima della consegna del 18 novembre il Dell’Aquila contattava ripetutamente l’utenza intestata alla RAGIONE_SOCIALE senza ricevere risposta, società per la quale prestava attività lavorativa COGNOME. Il ragionamento della Corte territoriale muove dalla premessa che Dell’Aquila contatta a novembre 2015, il giorno prima della cessione, l’utenza intestata alla soc. coop. NOME e non riceve risposta; ad aprile 2016 Dell’Aquila contatta tale utenza per l’acquisto di materiale edile; sull’utenza, ad aprile risponde COGNOME e la conversazione tra i due sarebbe confidenziale. Da tali premesse la Corte ha dedotto che COGNOME era presente al momento della cessione dello stupefacente del 28/30 novembre 2015. Inoltre non può inferirsi dalla telefonata avvenuta che COGNOME fosse l’esclusivo utilizzatore dell’utenza intestata alla cooperativa e dunque nel novembre 2015. Né la Corte spiega le ragioni per le quali COGNOME con quella telefonata intendesse contattare proprio NOME COGNOME e non il fratello NOME con il quale erano stati registrati tentativi di contatto oltre ch l’invio di sms. Le conversazioni captate depongono al contrario nel senso che gli episodi di cessione coinvolgono solo il fratello del ricorrente.
4.5.3 Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e il travisamento delle prove. La Corte territoriale non ha preso in esame gli argomenti difensivi con i quali era stato dedotto che le emergenze acquisite consentivano di ritenere provato il coinvolgimento del solo NOME COGNOME come si ricavava dalle intercettazioni riportate a pag. 8 del ricorso. E’ tra l’altro emersa la prova della presenza di un altro fratello più grande, NOMECOGNOME gravato da precedenti specifici che, all’atto dell’esecuzione della ordinanza cautelare è stato trovato in possesso di stupefacente dello stesso tipo di quello per il quale si è proceduto laddove la Corte ha ricavato il coinvolgimento del “fratello più grande” dal fatto che NOME NOME ha un fratellastro di nome NOME, destinatario delle precedenti forniture del 20 e del 26 ottobre 2015, come si legge nell’informativa. Eppure NOME NOME è stato assolto non solo dal reato associativo ma anche dai reati contestati ai capi C) e G). Inoltre è emerso il coinvolgimento di altri soggetti che risiedono nella zona di Frosinone e uno di questi abita in una zona in cui
si trova la cella agganciata dal cellulare di Dell’Aquila al momento in cui avvenivano le cessioni. La Corte territoriale, oltre a non confrontarsi con una serie di elementi che costituivano prove decisive a sostegno dell’atto di appello ha fondato la propria pronuncia di condanna su dati probatori che il Tribunale non aveva esaminato e cioè: a) l’interlocutore anonimo delle conversazioni nn. 5563 e 5564 sarebbe stato COGNOME Emanuele; 2) che prima della consegna dello stupefacente del 18.11.2015 Dell’Aquila avrebbe contattato l’utenza intestata alla soc. coop. NOME senza ricevere risposta; 3) che COGNOME prestava attività lavorativa presso la detta società; 4) che dell’Aquila, ad aprile 2016, contattava NOME COGNOME sull’utenza intestata alla società cooperativa; 5) che nella conversazione n. 565 si fa riferimento ad un “fratello più grande” che deve identificarsi nell’odierno ricorrente. Si tratta di un travisamento delle emergenze processuali laddove si assume che l’imputato sarebbe stato identificato in maniera certa. Le conversazioni nn. 5563 e 55694 afferivano all’acquisto di pannelli coibentati, merce venduta dalla cooperativa RAGIONE_SOCIALE come confermato dal m.11o COGNOME. Tutti i contatti telefonici sono intercorsi tra Dell’Aquila e COGNOME NOME e mai con NOME né è stato accertato che costui fosse l’esclusivo utilizzatore dell’utenza intestata alla cooperativa RAGIONE_SOCIALE. Inoltre il consulente tecnico della difesa aveva appurato che la voce anonima delle conversazioni di cui ai progr.5563 e 5594 presentava delle affinità timbriche alla voce del Verdicchio ma era “distante” dalla stessa motivo per cui concludeva che non poteva a costui essere ricondotta.
Quanto al capo AH) deduce la difesa che anche in questo caso, COGNOME contattava prima COGNOME e lo richiamava anche dopo l’episodio di cessione. Ciò avrebbe dovuto indurre i giudici di merito ad escludere il coinvolgimento del ricorrente.
4.5.4. Con il quarto motivo si osserva che è stato accertato che la droga ceduta il 28 novembre 2015 era di pessima qualità, tanto che veniva restituita. Da ciò doveva discendere che non vi era prova dell’efficacia drogante della stessa. Nonostante ciò i giudici di merito hanno ritenuto di condannare l’imputato pur in assenza del rinvenimento della droga e della possibilità di valutarne l’efficacia drogante.
4.5.5. Con il quinto motivo si contesta la motivazione posta a fondamento del rigetto della richiesta volta a inquadrare il fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, co. 5 d.P.R. n. 309/90.
All’udienza, le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va innanzitutto rilevato che la sentenza di appello oggetto dei ricorsi in relazione alla affermazione della responsabilità degli imputati costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Gup, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sezione 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01).
Questa Corte ha affermato che deve essere esclusa la sussistenza del vizio di travisamento della prova che, come è noto, non solo richiede che vengano specificamente e puntualmente indicati gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione, rispetto ad essi sia immediatamente apprezzabile, a nulla rilevando eventuali minime incongruenze (Sez. 3 n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 01) e che richiede che gli argomenti spesi dalla difesa siano dotati di una capacità dimostrativa che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno incompatibilità tali da vanificarlo sotto il profilo logico motivazionale.
Il controllo demandato a questa Corte, per sua natura è destinato a tradursi in una valutazione di carattere unitario e globale sulla esistenza della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Rimane, infatti, preclusa al giudice di legittimità, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione dei fatti, preferiti rispetto a quello adottati dai giudici di merito, perché magari ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
3. I ricorsi sono inammissibili.
Va preliminarmente rilevato che i reati per i quali si è proceduto non risultavano prescritti al momento della decisione poiché, come si ricava dalla stessa sentenza pronunciata dalla Corte territoriale, deve
tenersi conto del periodo di sospensione della prescrizione in primo grado pari a mesi sette e giorni dieci in primo grado e sessanta nel giudizio di appello.
La Corte territoriale ha esaminato le convergenti risultanze istruttorie condividendo, per la parte che qui rileva, l’apprezzamento già operato dal Tribunale e confutando le obiezioni difensive.
La GLYPH sentenza GLYPH impugnata GLYPH ha GLYPH identificato l’esistenza di GLYPH una associazione dedita al narcotraffico confermata, peraltro, dalla sentenza definitiva pronunciata nei confronti dei coimputati che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, in grado di procurarsi ingenti quantitativi di droga attraverso diversi canali di approvvigionamento con una stabile organizzazione per lo smercio delle partite di droga acquistata, con base a Marano di Napoli facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME, operante anche nella zona del frosinate.
Le prove sono costituite soprattutto dalle numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali di cui è stata offerta una dettagliata e puntuale ricostruzione.
Sul fondamento di responsabilità preme ricordare che, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti può essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263544; Sez. 4, n. 48008 del 18/11/2009, Rv. 245738; Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, Rv. 279251), quali, come avvenuto nel caso di specie, le intercettazioni.
Sul punto va ricordato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
I rilievi formulati nei ricorsi non sono idonei a disarticolare i dat oggettivi che si ricavano dai ragionamenti esplicativi resi dal Tribunale prima e dalla Corte di merito poi, da leggersi unitariamente a fronte del fatto che si versa quanto agli odierni imputati in ipotesi di c.d. doppia conforme e che si risolvono in non consentite censure in fatto alle quali è
stata data risposta congrua, oltre che nella rilettura di passaggi di conversazioni intercorse tra i protagonisti delle vicende passate in rassegna.
Sovente i motivi di ricorso si risolvono in una analisi atomistica di questioni di merito, che rimangono precluse dinanzi a questa Corte di legittimità che non risultano idonee a disarticolare i passaggi logico argomentativi attraverso i quali si snodano le sentenze di merito.
4.11 ricorso proposto nell’interesse della COGNOME è manifestamente infondato. Contrariamente a quanto assume la difesa, la ricorrente non è stata ritenuta intranea all’associazione solo in quanto compagna del COGNOME ma perché, dal compendio intercettivo, è emersa una piena condivisione dei traffici illeciti di costui, delle scelte strategiche oltre della risoluzione dei problemi via via sorti, in sede esecutiva.
Il Tribunale prima e la Corte poi hanno messo in evidenza che la COGNOME non solo era disponibile a detenere all’interno dell’abitazione ben 49 chilogrammi di sostanza stupefacente ma era custode del denaro (si pensi al richiamo operato ai 4.500 euro rinvenuti in occasione della perquisizione che ha condotto al suo arresto) e ad occuparsi delle annotazioni “contabili”, come si ricavava dalle annotazioni sulla agenda di sua proprietà.
Già il primo giudice, passando in rassegna le conversazioni intercettate ha ricostruito anche l’episodio in cui Dell’Aquila, senza che la ricorrente venisse prima avvisata, veniva mandato dal COGNOME a consegnarle del denaro mettendo così in luce, peraltro, come la COGNOME non solo nella circostanza avesse piena consapevolezza dell’attività illecita svolta dal compagno, insieme a COGNOME ma anche del COGNOME stesso oltre che di Dell’Aquila il quale spiegava alla donna le ragioni per le quali quel denaro era meno di quanto avrebbe dovuto essere dato che alcune persone “lo avevano lasciato appeso”. Nell’occasione la COGNOME si confrontava anche con COGNOME ed era pronta a intervenire fornendo il proprio contributo allorquando il COGNOME la informava della necessità di dovere occultare l’autovettura carica di stupefacente.
Il ricorso con tutto questo non si confronta limitandosi a muovere censure che sono reiterative dei motivi proposti con l’atto di gravame, motivatamente respinti dalla Corte territoriale che, peraltro, attengono al merito della vicenda senza che alcuno degli argomenti proposti scalfisca l’oggettività degli apporti forniti alla consorteria criminale oltre che al
consapevolezza di contribuire con gli stessi al mantenimento della associazione.
A tale proposito va rammentato che il reato di partecipazione alla associazione dedita al narcotraffico è reato a forma libera che può assumere contenuti variabili ed è sufficiente qualsiasi condotta, idonea ad arrecare un contributo causale rispetto all’evento tipico, purché caratterizzata, come nel caso in esame dalla apprezzabilità e dalla concretezza per l’esistenza o per il rafforzamento dell’associazione (Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, Rv. 281736; Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Rv. 282139).
A fronte della motivazione posta dalla Corte distrettuale, confermativa della sentenza di primo grado, quanto alla adesione della ricorrente al sodalizio, la tesi proposta non offre una prospettiva idonea a sovvertire il giudizio espresso né la dimostrazione di una evidenza, “travisata” dai giudici di secondo grado, dotata di univoca e immediata valenza esplicativa e, comunque, tale da disarticolare l’impianto motivazionale posto a fondamento del giudizio espresso.
Del pari inammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
5.1. Con riferimento al primo motivo, la Corte, con motivazione adeguata al dettato normativo, non manifestamente illogica e aderente ai principi giurisprudenziali in subiecta materia ha rilevato che la prova non è costituita dalle trascrizioni che altro non sono che la trasposizione grafica del contenuto delle bobine oltre che dai verbali. Non è, dunque, precluso il loro utilizzo indipendentemente dalla trascrizione procedendo all’ascolto diretto o disponendo, ove lo si ritenga assolutamente necessario – il che non è avvenuto nel caso di specie – disponendo una perizia. Nè d’altra parte è consentito alla parte di dedurre l’inutilizzabilit delle intercettazioni non accompagnando l’argomento relativo alla difformità tra il contenuto delle intercettazioni e il contenuto trascritt (Sez. 6 n. 13213 del 15/03/2016, COGNOME non massinnata)
Questa Corte, in proposito, ha avuto modo di affermare che la trascrizione delle registrazioni telefoniche si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico e l’attivit trascrittiva è attinente ad un mezzo di ricerca della prova e non rappresenta un mezzo di assunzione anticipata della prova stessa; pertanto, il rinvio dell’art. 268, comma 7, cod. proc. pen. all’osservanza
delle forme, dei modi e delle garanzie, previsti per le perizie, è solo funzionale ad assicurare che la trascrizione delle registrazioni avvenga nel modo più corretto possibile. Ne consegue che non può essere sollevato un problema di utilizzabilità delle trascrizioni, ma si può unicamente eccepire la mancata corrispondenza tra il contenuto delle registrazioni e quello risultante dalle trascrizioni come effettuate (Sez. 1 n. 7342 del 06/02/2007, COGNOME, Rv. 236361; Sez. 5, n. 47270 del 15/07/2019, Rv. 277649 -01 che prevede l’utilizzo dei brogliacci della polizia senza che questo determini l’inutilizzabilità delle conversazioni valorizzate nel provvedimento giudiziario).
Di recente, inoltre, è stato ribadito che in tema di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni è sempre consentito al giudice l’ascolto in camera di consiglio delle registrazioni ritualmente acquisite e trascritte, contenute su supporti analogici o digitali e l’utilizzo ai fini della decision dei risultati dell’ascolto medesimo, anche a seguito del rigetto della richiesta della difesa di audizione dei nastri in dibattimento, non essendo ravvisabile alcuna violazione del diritto al contraddittorio (Sez. 2, n. 37089 del 17/03/2023, Procopio, Rv. 284795).
In-ossequio ai principi sopra riportati la Corte territoriale ha proceduto all’ascolto diretto della “fonia” dando atto che si evinceva “chiaramente” il riferimento a “NOME con le lenti”.
D’altra parte, a ben vedere, la difesa, nel lamentarsi dell’ascolto diretto avvenuto in camera di consiglio, non mette in luce alcun elemento dal quale dovrebbe trarsi che la Corte non avrebbe ricostruito l’episodio nel modo corretto quanto alla interpretazione dell’ascolto.
Per converso le sentenze di merito ricostruiscono in maniera logica l’episodio in questione facendo espresso richiamo alle emergenze intercettive dalle quali si evinceva che il cessionario della droga era “NOME con le lenti” il quale veniva definito “il numero uno sopra a questo fatto, sopra all’erba”, Veniva messo peraltro in evidenza come i contatti con COGNOME fossero avvenuti tramite un telefono intestato a un cittadino pakistano, che veniva trovato in possesso del ricorrente in occasione del suo arresto. un numero di telefono intestato a un cittadino pakistano che veniva trovato in possesso del ricorrente in occasione del suo arresto.
5.2. E’ parimenti inammissibile il secondo motivo con cui si deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen senza, tuttavia, tenere conto dei principi consolidati che sul punto questa Corte di legittimità ha enunciato secondo cui l’indagine volta ad accertare la violazione del
suddetto principio non può risolversi in un mero confronto letterale tra la contestazione e la sentenza poiché la violazione non sussiste allorquando l’imputato, attraverso l’iter del processo, non si sia trovato nella condizione di difendersi in relazione all’oggetto della imputazione (Sez. U. n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264438).
Nel solco tracciato dalle Sezioni Unite di questa Corte è stato ripetutamente affermato che per aversi mutamento del fatto è necessaria una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispcie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge sicché si configuri una incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui derivi un reale pregiudizio dei diritti di difesa.
E’ stato affermato che «il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, descritti e ritenuti, non sia possibil individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi, sicché il mutamento, ritenuto in sentenza, del dato qualitativo e quantitativo della sostanza stupefacente oggetto di contestazione, a fronte dell’identità del nucleo essenziale della condotta (nella specie, trasporto di ovuli di sostanza stupefacente occultati nell’intestino dall’imputato) non viola il principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen., non incidendo tale diversità in modo significativo sul fatto e non pregiudicando le possibilità di difesa dell’imputato, ove lo stesso non ne sia stato a conoscenza sulla base degli atti di indagine» (Sez. 3 n. 7146 del 04/02/2021, Rv. 281477 – 01) .
Diversamente, quando la descrizione del fatto rispetto al quale l’imputato si trovi in rapporto di incompatibilità, eterogeneità ed eccentricità rispetto alla originaria accusa, poiché in tal caso, pur avendo avuto accesso al materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto come descritto nel capo d’imputazione che costituisce specifica rappresentazione della condotta che gli viene addebitata (Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Col Rv. 256785).
Nel caso in esame nelle sentenze conformi, avuto riguardo alla ampia e argomentata ricostruzione della vicenda che ha riguardato l’imputato, non si ravvisa il vizio dedotto come pure compiutamente è stata motivata la irrilevanza della assoluzione del coimputato NOME in procedimento separato.
A ben vedere dalla formulazione del capo Aj) a COGNOME era stato contestato l’acquisto di marijuana da COGNOME e da COGNOME, mentre COGNOME veniva individuato come colui che a costoro l’aveva in precedenza ceduta.
Come già evidenziato dal giudice di prime cure, dal materiale intercettivo nel primo caso si sarebbe evinta la cessione di una ingente quantità di hashish del peso di venti chilogrammi a fronte di 14.850 euro intercorsa tra COGNOME e COGNOME e COGNOME NOME, in occasione della quale interveniva, sia pure nelle battute finali il Granata per conto di un soggetto rimasto non identificato. Nel secondo caso, in maniera fortuita COGNOME e COGNOME ottenevano la possibilità di commercializzare una partita di marijuana di ottima qualità denominata “green passion” che decidevano di offrire a COGNOME che avrebbe potuto “fiutare” l’affare, come effettivamente avveniva. In proposito esaminando le conversazioni la Corte territoriale ha rappresentato la soddisfazione del duo COGNOME e COGNOME dopo l’incontro con il COGNOME con il campione di marijuana in tasca, a conferma dell’accordo perfezionato.
Non si ravvisa alcun vulnus difensivo dato che la vicenda aveva trovato ampia trattazione nel giudizio di primo grado dove l’imputato aveva potuto muovere le proprie osservazioni, nella sentenza di primo grado avverso le quali l’imputato ha articolato le proprie censure e che deve essere letta in uno alla sentenza impugnata (Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278093; Sez. 5, n. 19380 del 12/02/2018, COGNOME, Rv. 273204).
5.3 Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il primo giudice ha posto l’accento sulle modalità della condotta oltre che sulla gravità della stessa rapportata alla quantità di stupefacente (20 chilogrammi di hashish) mettendo in luce la “professionalità e scaltrezza” nell’agire oltre che la capacità di rapportarsi con contesti criminali in maniera seria ed efficace. La Corte ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche e ha preso le mosse dalla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 15 mila di multa, l’ha ridotta a tre anni di reclusione ed euro 10 mila di multa e ha apportato un aumento di mesi sei di reclusione ed euro 2.000 di multa.
GLYPH Anche GLYPH il GLYPH ricorso GLYPH proposto nell’interesse di GLYPH Coppeto è inammissibile.
6.1.Quanto ai primi tre motivi dedotti, non si tiene conto dell’insegnamento di questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del
giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Nel solco della dictum delle Sezioni Unite è stato ripetutamente affermato che costituisce questione di fatto rimessa alla esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
Come pure si è avuta occasione di affermare che il giudice di merito è libero di ritenere, in tema di intercettazioni, che l’espressione adoperata assuma, nel contesto del dialogo, un significato criptico, specie allorquando non palesi un senso logico nel contesto in cui è usato o quando dall’intero compendio probatorio, determinati termini vengano utilizzati per indicarne altri, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650).
E’ poi il caso di ricordare che tra le condotte illecite descritte dall’art. 73 d.P.R. 309/1990 rientra anche quella di intermediazione e con la quale si intende punire l’attività illecita di chi agisce al fine provocare l’acquisto, la vendita o la cessione di droga da parte di terzi (Sez. 6 n. 46367 dell’11/10/2023, S., Rv. 285882).
Le sentenze conformi hanno atto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra richiamati offrendo, dalla lettura del materiale acquisito, un percorso logico giuridico che evidenzia il ruolo di mediatore del COGNOME, in cambio della somma di denaro di 50 euro, ricevuta di volta in volta. La Corte territoriale, replicando ai motivi di appello, h congruamente ritenuto che i dialoghi captati avessero ad oggetto sostanza stupefacente, a dispetto dell’allusività dei termini utilizzati e rispetto ai quali, peraltro, non è stata offerta una concreta e seria lettura alternativa.
Così, quanto al capo AD) la Corte territoriale argomenta che non si comprende perché si sarebbe dovuto parlare di “roba fetente” per riferirsi alla riparazione di un’auto né perché si sarebbe dovuto “dividere” il guadagno rispetto a lavori di meccanica, peraltro, mai dimostrati attraverso documentazioni che attestino una eventuale riparazione.
La Corte di appello, poi, non ha mancato di evidenziare che, contrariamente a quanto assume la difesa, COGNOME arriva durante
l’appuntamento procurato con il COGNOME e che nel corso dei dialoghi non si fa mai riferimento alla riparazione di automobili.
Che poi il luogo di scambio sia da individuarsi nell’officina o nei pressi del bar non è circostanza idonea a travolgere l’argomentazione posta a sostegno del giudizio espresso non foss’altro che dalla conversazione tra COGNOME e COGNOME risulta che entrambi erano “passati” all’officina. Analogamente irrilevante è il fatto che COGNOME fosse titolare o dipendente della detta officina, circostanza peraltro, meramente allegata ma non dimostrata
Con riferimento al capo AI) dai dialoghi si evince il medesimo compenso di 50 euro da corrispondere all’imputato. Nel caso in esame, peraltro, detta somma è stata pure giustificata con il dire che le richieste erano modeste (“non stiamo facendo niente… non è il nostro pure”) e non, come pure si intende sostenere con allegazioni meramente labiali, a una somma corrisposta a titolo di corrispettivo per un lavoro meccanico del COGNOME su un mezzo. E d’altra parte, se COGNOME fosse stato solo un dipendente, come pure in altri passaggi del ricorso si è sostenuto, non si comprende perché il corrispettivo dovesse essere dato a lui piuttosto che al titolare dell’officina.
Considerazioni analoghe a quelle sin qui svolte valgono con riferimento al capo AM) con riferimento alla esclusione del collegamento tra la consegna di 50 euro a COGNOME e un lavoro meccanico da costui eseguito.
La sentenza, tra l’altro, offre una motivazione affatto illogica circa l’assoluzione di COGNOME Alessandro, per la medesima imputazione, in un separato giudizio.
6.2. E’ manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso che attiene alla possibilità di riqualificare i reati contestati nel previsione di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. La Corte di appello, con motivazione lineare e coerente con il materiale acquisito ha escluso la possibilità di inquadrare le condotte nell’alveo della fattispecie invocata ponendo l’accento non solo sulla reiterazione delle condotte ma vieppiù della consapevolezza della dell’ampia disponibilità di sostanze stupefacenti da parte di COGNOME e COGNOME oltre che del ruolo non propriamente marginale ricoperto dal COGNOME, come pure si tenta di sostenere nel ricorso.
6.3. Generico e come tale inammissibile il quinto motivo di ricorso afferente il vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale ha posto l’accento, con argomenti non manifestamente
illogici, sulla gravità delle condotte poste in essere dal COGNOME, a fronte di una regolare attività lavorativa svolta.
Manifestamente infondato l’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
A fronte di una motivazione chiara e corposa vengono dedotti argomenti in fatto che non scalfiscono le acquisizioni probatorie, sulla scorta delle quali la Corte territoriale ha rigettato la richiesta riqualificare il fatto di cui al capo 3) nella previsione di cui all’art. 73, 5, d.P.R. 309/1990, evidenziando l’elevato quantitativo di droga fatto oggetto di commercializzazione che denota l’esistenza di un vasto giro di affari e costituisce sintomo di una attività ben organizzata e non certo occasionale che l’imputato apprestava, al punto da poter rifornire i venditori. La Corte territoriale, inoltre, non ha mancato di descrivere la particolare cura e professionalità nell’organizzazione dell’attività illecita e il coinvolgimento, nella vicenda in esame di coimputati appartenenti al sodalizio criminoso, che erano soliti movimentare ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
Manifestamente infondato è anche il ricorso proposto nell’interesse di Verdicchio.
8.1. Quanto al primo motivo non può non rammentarsi che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttur giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quanto, come nel caso in esame, i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
In adesione a tale pacifico principio la Corte di merito ha legittimamente integrato la motivazione della sentenza di primo grado, fornendo un’analitica spiegazione relativamente all’identificazione di COGNOME NOME e descrivendo accuratamente gli elementi probatori acquisiti a carico dell’imputato. Né il dato della mancanza di valutazione può essere desunto dalla imprecisa indicazione del “perito” piuttosto che del “consulente” avuto altresì riguardo alla circostanza la difesa non muove specifiche criticità in merito ad eventuali criticità occorse nella
identificazione del ricorrente con riferimento alle conclusioni cui si è pervenuti con l’elaborato.
8.2. Quanto al secondo e al terzo motivo valgono gli argomenti spesi al punto 6.2. sui limiti alla possibilità di censurare le intercettazion in questa sede.
A tale proposito la motivazione posta con riferimento ai capi W) e AH) da pag. 30 e ss si presenta non manifestamente illogica e immune dalle censure mosse. Questa Corte ha più volte ribadito che fuoriesce dal perimetro operativo di legittimità il controllo tra la prova e la decisione poiché esso si sostanzia nel solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non al suo contenuto valutativo.
La Corte ha evidenziato, al netto della identificazione dell’imputato mediante la consulenza fonica, la telefonata che prima della consegna dello stupefacente del 18 novembre 2015; il Dell’Aquila contattava ripetutamente l’utenza n. 3710172613 intestata alla società RAGIONE_SOCIALE, non ricevendo risposta evidenziando che si tratta proprio della società presso la quale prestava attività lavorativa COGNOME Emanuele con il quale Dell’Aquila intrattiene contattandolo sempre su una utenza in uso alla società, con tono confidenziale, nel mese di aprile 2016. Alcune conversazioni aventi ad oggetto forniture di materiale edile.
La Corte, contrariamente a quanto assume la difesa, ha anche affrontato l’argomento “dell’altro fratello del Verdicchio”, oltre NOME coinvolto nell’indagine e NOME, all’epoca tredicenne, a nome NOME ritenendolo del tutto rilevante avuto riguardo alla identificazione ritenuta certa dello stesso.
8.3. Il quarto motivo non è consentito poiché si tratta di motivo non dedotto nell’atto di appello. Sul punto, questa Corte ha affermato che non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivo di gravame dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
8.4. Il quinto motivo non si confronta con l’apparato argomentativo posto dalla sentenza impugnata a fondamento della esclusione della ricorrenza, nel caso in esame, della fattispecie di cui al quinto comma
•
dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 che fa riferimento ai quantitativi di droga trattati, alla reiterazione delle condotte, ai rapporti con i fornito
elementi questi, tutti ritenuti indicativi della non occasionalità
dell’attività illecita oltre che della capacità organizzativa dimostrata.
9. Alla inammissibilità segue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità dei rispettivi ricorsi
(cfr. Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in
favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 14 marzo 2025
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