Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43207 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43207 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Lamezia Terme il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/5/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile; udito l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28 maggio 2024 il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento emesso il 17 aprile 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui è stata applicata a NOME COGNOME la misura
cautelare degli arresti domiciliari per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, poiché, in assenza di autorizzazione, il 23 ottobre 2021 aveva ceduto a NOME COGNOME sostanza stupefacente del tipo cocaina, pari a grammi 50, a fronte del pagamento del corrispettivo di circa euro 3.000.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizi della motivazione, per essere stato ritenuto sussistente il reato ascritto all’indagato, pur non essendovi riscontro investigativo.
2.2. Vizi della motivazione, in quanto, al fine di ritenere la cessione di 50 grammi di sostanza del tipo cocaina, sarebbero state valorizzate conversazioni da cui non si desumerebbe tale dato. Il Tribunale del riesame non avrebbe fatto proprio l’insegnamento della Corte di legittimità, secondo cui la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, ma, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbiano fatto seguito il sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti di denaro o altre indagini di riscontro e controllo, il giudice di merito è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con cui è risalito alle diverse qualità e tipologie di droga movimentata.
2.3. Vizi della motivazione per essere stato ritenuto sussistente il pericolo di recidivanza, pur a fronte di fatti accaduti tre anni orsono e di precedenti penali del ricorrente non concernenti reati dello stesso genere per cui oggi è processo.
Il 2 ottobre 2024 è pervenuta memoria nell’interesse del ricorrente, con cui si è censurata la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 90 in luogo dell’art. 73, comma 5, d.P.R. cit.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, in quanto fondato su motivi nel complesso infondati.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di
merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 – 01).
Correlativamente, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni della decisione e di controllare la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è immune da vizi sindacabili in questa sede.
Il primo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto entrambi afferenti alla sussistenza dei gravi di indizi di colpevolezza per il reato ascritto al ricorrente, non sono consentiti.
Il Tribunale ha desunto i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente dal compendio investigativo acquisito e, in particolare, da una serie di conversazioni intercorse il 23 ottobre 2021 tra NOME COGNOME e l’indagato, da cui si evinceva che quest’ultimo aveva ceduto 50 grammi di stupefacente a NOME COGNOME, il quale era rimasto inadempiente e aveva suscitato l’ira del creditore, che aveva manifestato la volontà di recuperare il quantum dovuto con la forza.
Da successive conversazioni captate il Collego della cautela ha desunto che la sostanza ceduta era cocaina.
Va osservato al riguardo che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, nel caso di reati in materia di stupefacenti, non è determinante il sequestro o il rinvenimento di sostanze di tale natura, potendosi fare riferimento a prove di altro genere, a cominciare dalle intercettazioni telefoniche o ambientali (Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME, Rv. 279251 – 01; Sez. 2, n. 19712 del 6/2/2015, COGNOME, Rv. 263544 – 01; Sez. 4, n. 48008 del 18/11/2009, COGNOME, Rv. 245738 – 01).
D’altro canto «in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità». Evidentemente il giudice «deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilítà dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione (In questi termini: Sez. U, n. 22471
del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01. La Corte ha chiarito che, qualora la conversazione captata non sia connotata da queste caratteristiche – per l’incompletezza dei colloqui registrati, per la cattiva qualità dell’intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, per la non sicura decifrabilità del contenuto o per altre ragioni – non per questo si ha un’automatica trasformazione da prova a indizio, in quanto è il risultato della prova che diviene meno certo, con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti).
In buona sostanza gli elementi raccolti nel corso delle operazioni di intercettazione possono costituire prova diretta della colpevolezza, senza necessità di riscontri.
Ciò premesso, è agevole rilevare che, nel caso in disamina, i Giudici della cautela si sono specificamente attenuti nella valutazione delle intercettazioni telefoniche a tali criteri, avendo analizzato le conversazioni in relazione alla qualità dei soggetti intercettati e al contesto in cui si inserivano i colloqui, indicati dell’utilizzo di un linguaggio agevolmente decriptabile.
Di contro, avverso le argomentazioni del provvedimento impugnato il ricorrente ha proposto censure generiche, tese ad ottenere una non consentita rivalutazione del materiale posto a fondamento della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
La doglianza sulla qualificazione giuridica del fatto, formulata nei motivi aggiunti, è infondata.
Deve ribadirsi che, per l’inquadramento del fatto nell’alveo dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, deve farsi riferimento ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell’azione ovvero alla quantità e qualità delle sostanze. Tale valutazione deve riguardare sincronicamente tutti gli elementi, al fine di giungere a un giudizio di minima offensività, fermo restando che il fatto non può dirsi lieve allorché anche solo uno di quegli elementi osti a quel giudizio di minima offensività (in tal senso Sez. U, n. 35737 del 24/6/2010, Rico, Rv. 247911 – 01; Sez. 3, n. 32695 del 27/3/2015, NOME, Rv. 264491 – 01; Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, Rv. 256610 – 01).
Nel caso in esame, dalla lettura dell’ordinanza impugnata si evince che è stata esclusa la lieve entità del fatto in ragione del quantitativo ceduto e del contesto criminale di consumazione del reato, così facendosi corretta applicazione dei menzionati criteri ermeneutici.
5. Il secondo motivo è privo di specificità.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ha affermato che la distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura custodiale non era affatto dirimente a fronte del contesto di consumazione del reato addebitato, concernente l’esazione di crediti di matrice illecita, derivanti dall’attività di spacci di stupefacente di quantità considerevoli, nonché della storia giudiziaria del ricorrente, gravato da numerosi e gravi precedenti penali (furto in abitazione 2005, rapina in concorso – 2007, porto illegale di armi – 2005, estorsione tentata – 2006, evasione – 2009, furto – 2020), che ne lumeggiava una personalità del tutto proclive a delinquere.
Secondo il Tribunale, quindi, il presidio del domicilio coatto era necessario per recidere i legami e le cointeressenze che l’indagato aveva dimostrato di avere con il contesto criminale e criminogeno di riferimento, non essendo a questo fine adeguate misure non custodiali, dalla cui applicazione gli deriverebbe un’eccessiva libertà di azione e comunicazione.
Con tale apparato giustificativo il ricorrente non si è adeguatamente confrontato, posto che, nella sostanza, si è limitato a ribadire quanto già dedotto dinanzi al Tribunale ovvero ha contestato in maniera assertiva il ragionamento articolato dal Collegio del riesame, senza, però, evidenziare profili di effettiva illogicità.
6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente, secondo quanto previsto dall’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.