Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10052 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10052 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Palermo, il 17/03/1995 avverso l’ordinanza del 12/07/2024 del Tribunale della Libertà di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate, ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020, dal procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
intempestive le conclusioni scritte del difensore dell’indagato, in quanto pervenute il 12 novembre 2024;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 luglio 2024 il Tribunale della Libertà di Messina, rigettata l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME ha confermato l’ordinanza emessa il precedente 1 giugno 2024 con cui il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Messina aveva applicato (tra gli altri) all’odierno ricorrent la misura degli arresti donniciliari, aggravata dal divieto di comunicazione, in relazione al reato di cui all’art. 416, commi 1, 2 e 3, cod.pen., di cui al capo 32 dell’incolpazione provvisoria.
Avverso tale ordinanza ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell’indagato, affidandolo a tre motivi.
3.1. Col primo motivo di ricorso il difensore deduce la violazione della norma processuale in materia di utilizzabilità di intercettazioni in altro procedimento (art. 270 cod proc pen), con conseguente erronea applicazione della norma penale in tema di partecipazione al sodalizio criminoso, venendo meno il quadro di gravità indiziaria in conseguenza di tale inutilizzabilità patologica.
3.2. Col secondo motivo contesta il quadro di gravità indiziaria a carico del ricorrente quale partecipe del sodalizio, denunciando omessa o contraddittoria motivazione circa il reale contributo fornito e lo stabile inserimento nella organizzazione.
3.3. Col terzo motivo eccepisce erronea applicazione di legge penale per violazione dei presupposti di cui all’art 274 cod proc pen, per insussistenza del pericolo di reiterazione, essendo il ricorrente non più detenuto nell’istituto di pena dove si sarebbe consolidata l’attività criminosa anche alla luce del tempo trascorso dalle condotte sub iudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato. Lamenta il ricorrente, col primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 270, comma 1, 266, comma 1, lett a, cod.proc.pen. e 416 comma 2, cod.pen. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto del disposto normativo secondo il quale, a mente dell’art. 266, comma 1, lett a, cod.proc.pen., le intercettazioni sono consentite nei procedimenti relativi ai delitti non colposi per i quali è prevista l pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni,
determinata a norma dell’art 4; la pena per il reato di cui all’art. 416 comma 2 è contenuta entro i cinque anni; ne consegue che, per l’accertamento del reato contestato all’odierno ricorrente, non possono utilizzarsi le intercettazioni disposte in altri procedimenti, come affermato dal Tribunale.
1.1. Si osserva che le intercettazioni acquisite da altro procedimento seguivano, al momento della acquisizione, la disciplina processuale antecedente all’ultima riforma dell’art. 270 cod proc pen, per cui esse potevano essere acquisite anche in relazione alla necessità di accertamento dei reati previsti nell’art. 266, comma 1, cod proc pen, fra i quali si può annoverare anche il reato di associazione per delinquere punito con la pena da tre a sette anni.
Se vero, peraltro, che il ricorrente è attinto da contestazione relativa al ruolo di mero partecipe al sodalizio, per la quale la pena edittale sarebbe inferiore al quadro edittale dell’art 266, comma 1, cod proc pen, il disposto della norma è volto a censire la circostanza che nel diverso procedimento fosse iscritto un titolo di reato che consentisse le intercettazioni telefoniche, non già che in quel procedimento ad ogni singolo soggetto iscritto fosse attribuito un titolo di reato che consentisse l’intercettazione.
E il Tribunale ha fatto buon governo del disposto normativo ove ha osservato che nel procedimento di che trattasi sono iscritti, con posizione qualificata di capi e organizzatori, alcuni membri del sodalizio, così che nel procedimento le intercettazioni potevano essere acquisite e utilizzate nei confronti di tutti i soggetti che, quanto meno rispetto al medesimo reato, sono da ritenersi concorrenti o partecipi.
2. Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato.
2.1. In relazione al vizio motivazionale della ordinanza del tribunale del riesame in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, va premesso come questa Corte abbia ripetutamente affermato che in sede di giudizio di legittimità sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione. Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, a una diversa valutazione dello spessore degli indizi e delle esigenze cautelari (Fattispecie relativa a ricorso avverso misura di coercizione personale; cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, COGNOME; sez.II, 20.2.1998 n. Martorana n.1083). In particolare è stato affermato dal giudice di legittimità in relazione alla impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, 18795 del 02/03/2017 Cc. (dep. 18/04/2017 ) Rv. 269884 – 01 ; sez.V, 8.10.2008 n.46124 COGNOME; sez.VI, 8.3.2012 n.11194).
2.2. Quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza» questa Corte (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576) ha più volte chiarito che la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura, invero, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I det indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Ne deriva, quindi, che «ai fini delle misure cautelari, gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiest per il giudizio di merito dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora, Cass., Sez. IV, 4 luglio 2003, COGNOME; nonché, più di recente, Sez. IV, 21 giugno 2005, Tavella)».
2.3. Il collegio riafferma che la cifra costitutiva del reato associativo, il discrimen tra reato associativo e concorso di persone nel reato continuato risiede nel fatto che in quest’ultimo l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno che li prevede tutti (Sez. 6, n. 36131 del 13/05/2014, COGNOME, Rv.260292 – 01). Ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere, legittimamente il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, dell’indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti i reati fine ad opera di soggetti stabilmente collegati (tra le altre: Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540 – 01). Dalla giurisprudenza della Cassazione emerge, dunque, che le condotte di partecipazione e promozione delle associazioni criminose possono essere provate attraverso i reati fine, sempre che le modalità con cui gli stessi vengono progettati e consumati, le relazioni tra i concorrenti, gli strumenti apprestati per la lor costituzione siano indicativi della sussistenza di una organizzazione stabile ed
autonoma, dotata di una capacità progettuale che persiste anche “oltre” la consumazione dei reati-scopo.
I reati scopo costituiscono, infatti, solo un epifenomeno del potenziale criminale del consorzio, ma non lo esauriscono, dato che il pericolo correlato alla associazione persiste “oltre e dopo” la consumazione dei reati-fine: è tale pericolo che giustifica la punizione dei partecipi per una condotta che “si aggiunge” alla attività criminosa concorsuale, che si rileva nella consumazione dei reati-scopo e che, dunque, deve profilarsi come autonoma.
La diagnosi differenziale tra concorso nel reato continuato e partecipazione alla associazione per delinquere implica un giudizio di merito che impone la analisi di tutti gli indicatori della possibile autonomia del consorzio, rispetto alla sussistenza di un accordo criminoso limitato alla consumazione di uno o più reati; indicatori che devono essere accuratamente valutati soprattutto quando, come nel caso in esame, la sussistenza della associazione viene dedotta dalla consumazione seriale dei reati cui la stessa sarebbe preordinata.
2.4. Ebbene, nel caso di specie, a fronte della corposa (da pag 3 a pag 11) motivazione resa dal Tribunale circa la sussistenza ed operatività della contestata associazione, coerente coi dati investigativi, peraltro in buona parte riportati nel corpo del provvedimento, il motivo si limita a replicare, assertivamente soltanto, una pretesa contraddittorietà dell’impianto motivazionale, non peritandosi di indicarne le ragioni; e, quanto alla partecipazione alla stessa del ricorrente, la asserita non pertinenza delle risultanze delle intercettazioni, per mancata presenza di COGNOME quale diretto interlocutore, oltre alla limitata finestra temporale all’interno della quale solo due pacchi in cui sarebbero stati occultati telefoni cellulari sarebbero stati spediti al COGNOME.
2.5. Le censure non si confrontano, innanzi tutto, con la motivazione resa dal Tribunale, con la già anticipata ampiezza e coerenza logica, sicchè già solo per questo risulta inammissibile.
Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; confrmi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
2.6. Le lagnanze risultano, comunque, manifestamente infondate, ove si consideri come il Tribunale ha descritto con chiarezza come, sin dai primi di settembre 2022, fosse rodato il sistema -stabile e tutt’altro che estemporaneo e occasionale- per consentire l’ingresso clandestino, all’interno della casa circondariale, di cellulari e cavetteria, grazie all’accordo tra COGNOME Maurizio, la moglie COGNOME, il detenuto COGNOME che si avvaleva del contributo prezioso della compagnia COGNOME NOME, il detenuto COGNOME e l’odierno ricorrente Selvaggio.
Oltre alla comprovata introduzione dei cellulari del 2 e del 15 settembre 2022 rilevano, a tal fine, le telefonate -tutte indicate e valutate nella loro effica probatoria- del 31 agosto, del 6, 9, 12, 13 e 14 settembre 2022, confermate dal contenuto dell’annotazione di p.g. del 9 gennaio 2023, e dalle stesse circostanze fattuali del rinvenimento degli oggetti vietati nel pacco introdotto il 15 settembre 2022, grazie alla complicità dell’agente di polizia penitenziaria COGNOME.
Sulla scorta delle descritte emergenze il Tribunale ha, quindi, non solo delineato i requisiti della associazione di che trattasi (ha anche convincentemente respinto la rilevanza postulata dalla difesa del breve arco temporale di operatività del sodalizio), ma, anche, il ruolo ricoperto, al suo interno, da ciascuno degli associati, chiarendo l’apporto dell’odierno ricorrente in termini di contributo essenziale ed imprenscindibile alla realizzazione dei propositi criminosi della congrega, essendosi reso destinatario delle spedizioni effettuate dalla fantomatica NOMECOGNOME avendo collaborato, prima della spedizione, alle fasi prodromiche della stessa; avendo chiarito ai sodali quali fossero i controlli che venivano effettuati dalla polizia penitenziaria sui pacchi al momento dell’arrivo presso la casa circondariale.
2.7. Anche questo motivo deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, che, quindi, deve anch’esso esser dichiarato inammissibile.
In punto di adeguatezza della misura cautelare e di ricorrenza delle esigenze di cautela processuale, il Tribunale del riesame motiva ampiamente, per la natura del reato, in ordine alla adeguatezza degli arresti domiciliari con divieto di comunicare all’esterno, oltre ad evocare altri elementi che connotano negativamente la personalità dell’indagato, come la mancanza di recesso da ambienti criminali, l’intensità del vincolo associativo, la stabile dedizione a traffi illeciti, che necessitano di essere fronteggiati con un divieto comunicativo e una restrizione domiciliare rispetto alla peculiarità della condotta criminosa contestata. Inoltre, l’ordinanza risulta congruamente motivata sulla necessità della misura adotta e sulla attualità del pericolo in ragione del fatto che il sodalizio operava non
già solo all’interno del carcere ma interfacciandosi con soggetti liberi che dall’esterno facevano recapitare gli strumenti telefonici di comunicazione.
Tale circostanza è stata ritenuta con ragionamento esente da vizi, in assenza di una presa di distanza dalla associazione, elemento concreto e attuale per ipotizzare un pericolo di reiterazione.
3.1. con siffatte argomentazioni, corrette in diritto, ed aderenti alle risultanze procedimentali, il ricorso non si confronta, argomentando in maniera soltanto asseriva.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 13 novembre 2024
La Consigli9re est.