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Intercettazioni estere: la Cassazione e la prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato detenuto per traffico di stupefacenti, il quale contestava l’utilizzabilità delle prove derivanti da intercettazioni estere su una rete di comunicazione criptata. La sentenza stabilisce che, in base al principio di mutuo riconoscimento europeo, il giudice italiano non deve riverificare la sussistenza dei gravi indizi secondo la legge nazionale per ammettere tali prove, ma solo controllare che il reato contestato consenta le intercettazioni in Italia. L’analisi sulle intercettazioni estere è stata centrale. La Corte ha inoltre ritenuto irrilevanti i nuovi elementi addotti dalla difesa per attenuare la misura cautelare, confermando la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Intercettazioni Estere: La Cassazione sui Dati Criptati e il Principio di Mutuo Riconoscimento

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, si è pronunciata su una questione di cruciale importanza nel panorama giuridico attuale: l’utilizzabilità delle prove raccolte tramite intercettazioni estere, specialmente quando queste riguardano sistemi di comunicazione criptati. La decisione offre chiarimenti fondamentali sul bilanciamento tra le garanzie procedurali nazionali e i principi di cooperazione giudiziaria europea, delineando i confini del controllo del giudice italiano su attività investigative condotte all’estero.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto sottoposto a custodia cautelare in carcere per reati di eccezionale gravità, tra cui associazione a delinquere finalizzata al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. La difesa aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale del riesame che negava la sostituzione della misura carceraria con gli arresti domiciliari. Il ricorso si fondava su due argomenti principali:

1. Inutilizzabilità delle prove: Si contestava l’uso dei risultati di un’attività di intercettazione svolta in Francia su una piattaforma di comunicazione criptata. Secondo la difesa, tale attività non rispettava il principio di “doppia conformità” richiesto da una nota sentenza della Corte di Giustizia Europea, in quanto mancava una valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti del singolo individuo, come previsto dall’art. 267 del codice di procedura penale italiano.
2. Inadeguatezza della misura cautelare: La difesa sosteneva che la misura carceraria fosse diventata eccessiva alla luce di nuove circostanze, quali il trasferimento dell’intero nucleo familiare dell’imputato in un’altra regione e l’ottenimento di un lavoro lecito da parte della moglie.

La Questione delle Intercettazioni Estere e la Difesa

Il fulcro del ricorso verteva sull’interpretazione delle norme che regolano l’acquisizione di prove dall’estero. La difesa, richiamando una pronuncia della Corte di Giustizia UE, sosteneva che l’utilizzabilità delle intercettazioni dovesse essere subordinata a una doppia verifica di conformità: non solo alla legge del Paese che ha eseguito l’intercettazione (in questo caso, la Francia), ma anche a quella del Paese dove si trovava l’utente intercettato (l’Italia). Di conseguenza, si lamentava che il Tribunale non avesse verificato la presenza dei “gravi indizi” a carico del ricorrente, requisito indispensabile per la legge italiana per disporre un’intercettazione.

La Decisione della Cassazione sulle Intercettazioni Estere

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata e rigorosa della normativa europea e nazionale in materia. I giudici hanno chiarito che il principio del mutuo riconoscimento, che è alla base della cooperazione giudiziaria europea e dello strumento dell’Ordine Europeo di Indagine (OEI), limita il potere di sindacato del giudice dello Stato di emissione (l’Italia) sulla regolarità dell’atto compiuto nello Stato di esecuzione.

Il Principio del Mutuo Riconoscimento

La Corte ha stabilito che, quando le prove sono già state raccolte da un’autorità straniera e vengono trasmesse tramite OEI, il giudice italiano non deve effettuare una nuova e autonoma valutazione dei presupposti che avevano legittimato l’atto investigativo all’estero, come i gravi indizi di colpevolezza. Il controllo è limitato a una verifica più generale e astratta: accertare se il reato per cui si procede in Italia è tra quelli per i quali la legislazione nazionale consente il ricorso alle intercettazioni. Poiché i reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti rientrano ampiamente in questa categoria, il requisito era soddisfatto.

La Questione della Misura Cautelare

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La Corte ha considerato la motivazione del Tribunale del riesame logica e completa. I nuovi elementi presentati dalla difesa (trasferimento, lavoro della moglie) sono stati giudicati insufficienti a modificare il quadro cautelare. Data la gravità dei reati contestati, il ruolo di partecipe dell’imputato nell’associazione criminale e l’operatività di una duplice presunzione di pericolosità sociale, la vicinanza a una caserma dei carabinieri o il tempo trascorso in detenzione (poco più di un anno) non erano elementi in grado di far ritenere superate le esigenze cautelari.

Le Motivazioni della Sentenza

La ratio della decisione risiede nell’esigenza di non vanificare il sistema di cooperazione giudiziaria europea, fondato sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri. Pretendere un controllo pieno e duplicato sui presupposti di un’indagine svolta all’estero significherebbe svuotare di significato l’Ordine Europeo di Indagine. La disciplina attuativa della direttiva europea prevede un unico sbarramento all’utilizzabilità delle intercettazioni estere: quando queste sono state disposte per un reato per il quale l’ordinamento italiano non le avrebbe mai consentite. La Corte ha inoltre ribadito che l’onere di dimostrare una concreta violazione dei diritti fondamentali della difesa grava sulla parte che la eccepisce, non essendo sufficiente un generico richiamo alle norme procedurali interne.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: le prove digitali provenienti da intercettazioni estere, anche su piattaforme criptate, sono pienamente utilizzabili nel processo penale italiano se acquisite tramite i canali della cooperazione europea e se relative a reati che permettono tale mezzo di ricerca della prova in Italia. Per le difese, ciò significa che contestare l’ammissibilità di tali prove diventa più complesso: non basta invocare la mancata applicazione di requisiti procedurali italiani, ma è necessario allegare e provare una specifica e sostanziale violazione dei diritti fondamentali, come il diritto a un equo processo.

Quando l’Italia acquisisce prove da un’intercettazione estera, il giudice deve verificare i ‘gravi indizi di colpevolezza’ come farebbe per un’indagine nazionale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, in base al principio di mutuo riconoscimento europeo, il controllo del giudice italiano è limitato a verificare se il tipo di reato per cui si procede consente le intercettazioni secondo la legge italiana, senza riesaminare nel merito i presupposti specifici (come i gravi indizi) che hanno portato all’autorizzazione nel paese estero.

Le conversazioni su piattaforme criptate, intercettate all’estero, sono utilizzabili come prova in un processo in Italia?
Sì, sono generalmente utilizzabili. La sentenza conferma che tali dati, se acquisiti tramite un Ordine Europeo di Indagine, sono considerati prove già raccolte legittimamente da un’autorità estera. La loro ammissibilità è quindi valutata secondo le regole per le prove provenienti da altri procedimenti, e spetta alla difesa dimostrare un’eventuale violazione dei diritti fondamentali.

Il trasferimento della famiglia e un nuovo reddito lecito sono sufficienti per ottenere la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che per reati di particolare gravità, come l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, tali elementi non sono sufficienti a superare la presunzione di pericolosità sociale e a giustificare un’attenuazione della misura cautelare, data la persistenza delle esigenze di tutela della collettività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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