Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21919 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21919 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
– Presidente –
NOME
UP – 21/05/2025 R.G.N. 10980/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pollena Trocchia il giorno 30/6/1984 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME COGNOME nato a Pomigliano d’Arco il giorno 26/1/1991 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza in data 16/12/2024 della Corte di Appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che e stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi; udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16 dicembre 2024 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza in data 15 settembre 2022 del Tribunale di Fermo ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al reato di lesioni personali volontarie aggravate (capo D della rubrica delle imputazioni) per essere lo stesso estinto per prescrizione ed ha confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità di entrambi gli imputati in relazione al reato di concorso (tra loro e con NOME COGNOME in rapina aggravata di cui agli artt. 110 e 628, commi 1 e 3 n. 1, cod. pen. ai danni della azienda RAGIONE_SOCIALE (capo C) e, previa rideterminazione del trattamento sanzionatorio ed eliminazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici nei confronti del solo COGNOME, li ha condannati a pena ritenuta di giustizia.
I fatti-reato in contestazione risalgono 25 giugno 2013.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati,
deducendo:
2.1. per COGNOME:
2.1.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 268, 271 e 191 cod. proc. pen.
Deduce, in particolare, la difesa del ricorrente, l’inutilizzabilità delle intercettazioni in atti per difetto di motivazione del decreto emesso dal Pubblico Ministero in data 10 giugno 2013 con il quale veniva data esecuzione alle operazioni di intercettazione mediante uso di impianti diversi rispetto a quelli nella disponibilità della Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Fermo, non potendosi al riguardo ritenere sufficiente la motivazione con la quale veniva meramente indicata l’inidoneità degli impianti nella disponibilità del predetto Ufficio Giudiziario.
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che l’inutilizzabilità delle intercettazioni farebbe venir meno ogni elemento probatorio nei confronti del COGNOME ed aggiunge che non sarebbe dato comprendere da quale atto processuale la Corte di appello avrebbe dedotto che le registrazioni e le captazioni sarebbero avvenute all’interno degli Uffici della Procura della Repubblica.
2.1.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, commi 1 e 2, 533comma 1 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello non avrebbe dato idonea risposta alle deduzioni difensive prospettate con l’atto di gravame in relazione al contenuto delle captazioni telefoniche richiamando in modo sbrigativo e superficiale il contenuto delle stesse e limitandosi a ritenere fondata l’interpretazione fornita dalla P.G. in relazione ai dialoghi intercettati sebbene non vi sia alcun riscontro al riguardo.
Gli stessi inquirenti non sarebbero, infatti, stati in grado di individuare il giorno dei sopralluoghi, nØ di comprendere che cosa stavano progettando i soggetti interessati.
A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che:
la stessa Corte di appello avrebbe riconosciuto in sentenza che il telefono cellulare attribuito al COGNOME in occasione sia dell’evento rapina, sia dei presunti sopralluoghi, non ricollegava l’imputato al luogo del commesso delitto;
la Corte di appello si sarebbe limitata nella motivazione della sentenza impugnata a riprodurre in forma riassuntiva la sentenza di primo grado senza aggiungere nulla di nuovo e, soprattutto, senza specificare le ragioni per la quali ha ritenuto corretta l’interpretazione delle conversazioni intercettate come operata dalla P.G.
non vi sarebbe neppure certezza che il COGNOME unitamente al COGNOME, il 20 giugno 2013 si recò a Montegragnaro per effettuare un sopralluogo, anche perchØ il costante monitoraggio dei soggetti al tempo indagati non ha consentito di accertare nei giorni successivi a tale data l’effettiva esecuzione di tale attività;
non Ł stato accertato che l’autovettura intestata all’imputato e ritenuta dai Giudici di merito utilizzata per commettere la rapina fosse presente in località prossime al luogo dell’evento delittuoso.
2.1.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche che sarebbe stato giustificato solo con riferimento all’assenza di una condotta processuale valutabile positivamente.
2.2. per Montanera:
2.2.1. Violazione di legge per mancanza di elementi di riscontro alle prove assunte dal Pubblico Ministero.
2.2.2. Nullità dell’ordinanza autorizzativa delle intercettazioni per difetto di motivazione ed illegittimità delle intercettazioni eseguite mediante dispositivi noleggiati presso società private.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che difetterebbe nel caso in esame una motivazione adeguata del decreto di noleggio delle apparecchiature utilizzate non essendo stato specificato per quale ragione le apparecchiature presenti presso la Procura della Repubblica non erano idonee.
A ciò si aggiunge che l’imputato ed il suo difensore sarebbero stati privati della possibilità di verificare la legittimità e la correttezza del provvedimento con il quale furono adottate tali modalità, nØ sarebbe provata l’affidabilità degli impianti privati utilizzati, con conseguente rischio di manipolazione delle prove e, infine, sarebbero stati violati i principi di parità tra accusa e difesa e quelli dettati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di giusto processo in caso di intercettazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Manifestamente infondati sono il primo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME ed il secondo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME che appaiono meritevoli di trattazione congiunta.
Osserva, innanzitutto, il Collegio che appare a dir poco incomprensibile il riferimento (contenuto nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato COGNOME) al tempo dell’emissione del contestato decreto del Pubblico Ministero ed al rapporto con la ‘riforma Orlando’ in quanto la norma qui di interesse – nella specie l’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. – vigente all’epoca in cui furono disposte le intercettazioni Ł rimasta inalterata anche dopo la c.d. ‘riforma Orlando’ di cui alla l. 23 giugno 2017, n. 103.
E’ poi sufficiente leggere la norma citata per rendersi conto di come la norma in esame che testualmente recita «le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria» fa riferimento al luogo di installazione degli impianti – «installati nella … Procura della Repubblica» e non certo alla proprietà degli stessi.
Correttamente la Corte di appello (pag. 8 della sentenza impugnata) ha dato atto che il contestato provvedimento del Pubblico Ministero del 10 giugno 2013 non ha riguardato il luogo di svolgimento delle operazioni di intercettazione ma, molto piø semplicemente, si Ł trattato di un decreto di noleggio delle apparecchiature stante l’inidoneità di quelle nella disponibilità dell’Ufficio Giudiziario.
Vale pertanto (e soprattutto valeva anche al momento in cui le operazioni di furono effettuate) anche nel caso di intercettazioni telefoniche il principio giurisprudenziale, correttamente richiamato dalla stessa Corte territoriale, in materia di intercettazioni ambientali secondo il quale «In tema di intercettazioni di conversazioni ambientali, il decreto che dispone l’esecuzione delle operazioni con l’utilizzo di impianti noleggiati da imprese private, ed installati presso i locali della Procura della Repubblica, non deve essere motivato quanto alla ricorrenza di eccezionali ragioni di urgenza e alla insufficienza o inidoneità degli impianti, in quanto assume rilievo, agli effetti di cui all’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., solo il luogo di utilizzo degli impianti, e non il titolo della loro disponibilità» (Sez. 1, n. 2707 del 24/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280972 – 01).
E’ qui solo il caso di ricordare che il medesimo principio di diritto era stato enunciato da questa Corte di legittimità anche in epoca precedente all’esecuzione delle operazioni di intercettazione in
esame (si vedano per tutte Sez. 4, n. 33645 del 15/06/2010, Cosimi, Rv. 248400 – 01 e Sez. 1, n. 6905 del 11/11/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 229989 – 01).
Inconferente Ł, pertanto, la giurisprudenza richiamata nel ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME che riguarda il ben diverso caso di intercettazioni effettuate con impianti diversi da quelli collocati presso la Procura della Repubblica.
Del tutto prive di elementi di riscontro sono poi le affermazioni contenute in entrambi i motivi di ricorso nelle quali si ipotizza che le operazioni di intercettazione telefonica menzionate in atti e di raccolta dei relativi dati potrebbero essere state eseguite in luoghi diversi dalla Procura della Repubblica e con impianti non idonei a garantirne la genuinità dei dati ottenuti.
Si tratta all’evidenza di mere ipotesi difensive sfornite di qualsiasi elemento idoneo a dimostrarne la fondatezza e, del resto, le difese dei ricorrenti non hanno in alcun modo documentato di avere fatto accertamenti sul punto, cosa che avrebbero ben potuto fare richiedendo di fornire loro l’idonea documentazione circa la natura e la tipologia degli impianti noleggiati e circa la loro collocazione al momento della captazione delle conversazioni.
Nessuna violazione del diritto di difesa e/o del principio della parità delle parti processuali risulta pertanto ravvisabile nel caso in esame e, per quel che piø conta in questa sede, non risulta sussistere alcun elemento che possa portare a ritenere l’inutilizzabilità ai fini probatori delle conversazioni intercettate ai sensi dell’art. 271 cod. proc. pen.
La valutazione di manifesta infondatezza attinge anche il secondo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME e sopra riassunto al par. 2.1.2.
Sul presupposto che nel caso in esame in ordine all’affermazione della penale responsabilità degli imputati ci si trova in presenza di una c.d. ‘doppia conforme’ e che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595), deve essere evidenziato che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre, detta motivazione, non Ł certo apparente, nØ ‘manifestamente’ illogica e tantomeno contraddittoria.
I Giudici di entrambi i gradi del merito con motivazioni che tra loro si integrano così a giungere ad un unico corpo motivazionale, facendo – come detto – legittimo uso delle conversazioni intercettate e richiamando gli altri dati acquisiti in sede di giudizio, hanno spiegato in modo congruo e logico, oltre che esente da travisamenti probatori (che neppure le difese dei ricorrenti hanno specificamente indicato), le ragioni per le quali, attraverso la conseguenzialità delle stesse conversazioni intercettate ed il loro contenuto in epoca anteriore e successiva alla consumazione dell’evento delittuoso sono riusciti a ricostruire i ruoli degli imputati nell’azione stessa, a partire dagli accordi per i sopralluoghi e fino a giungere alla distribuzione di piccola parte dei beni sottratti (emblematici sono al riguardo gli elementi indicati alle pagine 17 e 18 della sentenza del Tribunale a loro volta richiamati nella sentenza di appello).
Per contro deve osservarsi che i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tentano in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità Ł infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli
adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
A quest’ultimo proposito Ł appena il caso di evidenziare che la difesa del ricorrente COGNOME non indica un solo elemento in base al quale il contenuto delle conversazioni intercettate – che bene ha avuto a disposizione per il pieno esercizio dell’attività difensiva sia attraverso la possibilità di ascoltarle direttamente, sia attraverso l’esame delle trascrizioni delle stesse ritualmente eseguito sarebbe interpretabile diversamente rispetto a quanto hanno fatto dapprima la Polizia Giudiziarie e poi i Giudici di entrambi i gradi di merito e, del resto, sono principi consolidati quelli secondo i quali «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01), e «In materia di intercettazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite ( ex ceteris : Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
Da ultimo ed in relazione al motivo di ricorso in esame formulato dalla difesa dell’imputato COGNOME deve evidenziarsi che parte ricorrente contesta la mancata risposta da parte della Corte di appello ai propri motivi di gravame ma in realtà non indica alcun elemento specifico avente carattere di decisività tale da consentire di ritenere che la valutazione effettuata sul punto dai Giudici del merito sia stata viziata dal travisamento o dal trascurato esame di elementi probatori.
E’, infatti, principio consolidato quello secondo il quale nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (in questo senso v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105; Sez. 4, n. 1149 del 24.10.2005, dep. 2006, COGNOME, Rv 233187).
Manifestamente infondato Ł, altresì, il terzo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME nel quale parte ricorrente si duole del mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche.
Già il Tribunale aveva adeguatamente motivato al riguardo evidenziando che «alcuna valenza
positiva ha la sostanziale incensuratezza dell’imputato COGNOME a fronte di dati che evidenziano come lo stesso sia stato capace di commettere fatti di violenza con armi e sia inserito in contesti criminali estremamente modulari nella organizzazione di illeciti particolarmente offensivi e in grado di introdurre nel mercato criminale ogni tipologia di refurtiva».
La Corte di appello (pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata) ha, a sua volta, ribadito l’assenza di elementi di positiva valutazione al riguardo.
Osserva innanzitutto l’odierno Collegio che «Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioŁ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piø incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260054) e ricorda che «Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non Ł piø sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610).
Nessun vizio Ł quindi ravvisabile sul punto nella sentenza impugnata.
Deve, infine, essere dichiarato inammissibile per assoluta genericità il primo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME nel quale parte ricorrente ha dedotto una violazione di legge per mancanza di elementi di riscontro alle prove assunte dal Pubblico Ministero senza in alcun modo confrontarsi con il contenuto della sentenza impugnata in tal modo incorrendo nella violazione del combinato disposto di cui all’art. 591, comma 1, lett. c) in relazione all’art. 581, comma 1, lett. b), e d), cod. proc. pen.
Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 21/05/2025 Il Consigliere estensore NOME
Il Presidente NOME COGNOME