Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 13053 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 13053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato ad RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bari il 05/06/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha domandato l’accoglimento del ricorso; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Bari ha respinto il riesame proposto avverso l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in
carcere pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari nei confronti di NOME COGNOME 1’11 maggio 2023.
COGNOME è ritenuto gravemente indiziato della partecipazione ad un’associazione dedita al narcotraffico ai sensi dell’art. 74, commi 1, 2, 3, 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., facente capo ai vertici del RAGIONE_SOCIALE, con condotta contestata fino all’attualità, nonché dei reati scopo di detenzione e cessione di stupefacenti di varia tipologia, dettagliati nel provvisorio atto imputativo.
Ricorre l’indagato con atto del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito sintetizzati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo denuncia violazione degli artt. 266, 267 e 271 cod. proc. pen., anche in relazione all’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203.
Si assume che le intercettazioni ambientali disposte presso l’abitazione dell’indagato NOME COGNOME, di cui al RIT 494/2020, siano inutilizzabili in quanto:
difetta nel decreto autorizzativo ogni motivazione sul presupposto del fondato timore che, nei luoghi di privata dimora indicati dall’art. 614 cod. pen. per i quali l’attività captativa è stata autorizzata, si stesse svolgendo l’attività criminosa. Non può operare, nella specie, il regime derogatorio previsto dall’art. 13 d.l. n. 152 del 1991, in quanto non vi è stata originariamente formale contestazione di una fattispecie di reato associativa. La captazione veniva difatti richiesta e autorizzata per reati di detenzione ed utilizzo di sostanze esplosive e di danneggiamento, entrambi aggravati dal metodo mafioso, in relazione all’attentato dinamitardo ai danni dell’autovettura del brigadiere COGNOME, che aveva svolto indagini nei confronti dei pregiudicati di RAGIONE_SOCIALE contigui al RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
Viene richiamato, a supporto di tali deduzioni, quanto affermato da Sez. 1, n. 34895 del 30/03/2022, COGNOME, Rv. 283499, secondo cui la nozione di criminalità organizzata includerebbe – con riguardo alla materia delle intercettazioni tutti i reati di tipo associativo, anche comuni, correlati ad attività criminose più diverse, con esclusione delle ipotesi di mero concorso nei delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolarne l’attività pronuncia. In tal senso – si sostiene – deve essere interpretato il principio di diritto enunciato da Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, non correttamente inteso nella parte in cui sembra ricomprendere nella nozione di criminalità organizzata, di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-
quater cod. proc. pen., fattispecie ontologicamente non riconducibili al paradigma associativo;
difetta nel decreto autorizzativo l’ulteriore presupposto della necessità di svolgere indagini, il quale, stante il carattere intrusivo del mezzo di ricerca della prova, richiede un collegamento dell’ipotesi di reato originaria con la persona del soggetto intercettando. Nella specie, NOME COGNOME era estraneo all’attentato dinamitardo ai danni del carabiniere come ha comprovato l’esito complessivo delle investigazioni – e le possibili azioni ritorsive alle quali ha fatto riferimento la persona offesa in denuncia avrebbero al più potuto essere ricondotte al padre di lui, NOME COGNOME;
il Tribunale ha impropriamente richiamato l’art. 266, comma 2-bis, cod proc. pen., introdotto dall’art. 4, d. Igs. n. 217 del 2018, in quanto tale norma: 1) attiene al captatore informatico; 2) non è applicabile alla fattispecie, tenuto conto della norma transitoria di cui all’ art. 9 del d.lgs suindicato, in forza del quale le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e si applicano ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.
2.2. Il secondo motivo (n. 3 del ricorso) denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen., in relazione all’art. 74 d.P.R. 9 ottobr 1990, n. 309, nonché mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Il Tribunale del riesame non ha precisato se i residui elementi investigativi fossero idonei a sorreggere l’ipotesi d’accusa (c.d. prova di resistenza).
La collaboratrice di giustizia NOME COGNOME non ha indicato COGNOME tra i partecipi del sodalizio e non lo ha riconosciuto nelle fotografie dell’album postole in visione dagli inquirenti, sicché non può identificarsi nel ricorrente il “bambino” che avrebbe dovuto consegnare il danaro ad NOME COGNOME.
COGNOME non ha intrattenuto rapporti con esponenti del sodalizio all’infuori di NOME COGNOME e non ha arrecato alcun contributo alla realtà associativa in quanto tale.
I reati scopo, avendo ad oggetto quantitativi imprecisati di sostanze stupefacenti, avrebbe dovuto essere riqualificati nella fattispecie di cui al comma quinto dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3. Il terzo motivo (n. 4 del ricorso) denuncia inosservanza o erronea applicazione di legge nonché illogicità della motivazione, con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., tanto nella forma del c.d. metodo mafioso, quanto nella forma dell’attività agevolativa.
Quanto al metodo, esso è stato ritenuto in ragione della violenza “capitalizzata” in conseguenza di un numero di pregressi delitti di matrice mafiosa, ai quali tuttavia
COGNOME è rimasto estraneo, e comunque non riconducibili al sodalizio, in tal modo facendosi applicazione di un principio di c.d. territorialità mafiosa.
Nemmeno può ritenersi sussistente la finalità agevolativa essendo dissolto o comunque non più operativo il RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso RAGIONE_SOCIALE, in tesi favorito.
In ogni caso non è dimostrato che la volontà agevolativa rappresentasse il fine specifico dell’azione del COGNOME, in violazione dei principi affermati da Sez U n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01, per le quali la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tip mafioso ha natura soggettiva, inerendo ai motivi a delinquere.
2.4. Il quarto motivo (n. 5 del ricorso) denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’art. 125 cod. proc. pen. con riferimento all’art. 309 cod. proc. pen., in quanto la motivazione sulla aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. risulta meramente apparente.
La consapevolezza da parte del ricorrente di agire nel contesto mafioso, con condivisione del metodo e finalizzazione dei risultati della propria condotta alla consorteria, è stata valutata “altamente probabile”, ma non è stata accertata con criterio di rigore, anche alla luce dei principi affermati dalla sentenza delle Sezion Unite Chioccini, essendo stato NOME COGNOME, referente diretto di COGNOME, prosciolto dal reato di associazione mafiosa.
2.5. Il quinto motivo (n. 6 del ricorso) denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen. in relazione alle esigenze cautelari, nonché mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Le esigenze da cautelare sono state enunciate nella ordinanza genetica in termini “cumulativi” e generici per tutti gli indagati. Il Tribunale del riesame h integrato la relativa motivazione, così violando il principio che non consente la eterointegrazione, in fase di impugnazione, di una motivazione solo apparente.
Il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è nel suo complesso infondato per i motivi che di seguito si espongono.
Il primo motivo non può trovare accoglimento.
2.1. La difesa deduce la non riconducibilità dei reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per i quali è stata autorizzata l’attività captat
secondo la disciplina speciale di cui all’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, alla categoria dei reati di criminalit organizzata
A supporto delle proprie tesi richiama i principi affermati da Sez. 1, n. 34895 del 30/03/2022, COGNOME, Rv. 283499, la quale ha proposto una lettura della sentenza Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266906 che collide con il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella medesima decisione, principio in forza del quale “In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ai fini dell’applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall’art. 13 del D.L. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen. nonché quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”.
In particolare, nella sentenza COGNOME si è argomentato che la sentenza COGNOME non ha inteso discostarsi da precedenti pronunce del Giudice di legittimità, secondo le quali la mera contestazione dell’aggravante mafiosa non determinerebbe l’automatico inserimento del reato cui essa accede nella cornice dei diritti di criminalità organizzata: le Sezioni Unite COGNOME avrebbero accolto la nozione di criminalità (c.d. sociologica) delineata .da precedenti arresti nomofilattici, in particolare da Sez. U, n. 37501 del 15/07/2010, NOME, Rv. 247994, per le quali la nozione di criminalità organizzata evoca il paradigma del reato associativo, con la conseguenza che il richiamo operato dall’art. 13 alle ipotesi di reato evocate dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater cod. proc. pen. non dovrebbe estendersi ai reati monosoggettivi ovvero ai reati in concorso quand’anche aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991.
La questione è tuttavia superata dall’art. 1 del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, il quale recita: «Le disposizioni di cui all’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 45 quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo», norma sopravvenuta al deposito del ricorso ma entrata in vigore prima della udienza di discussione dinanzi a questa Corte.
Ritiene il Collegio di condividere l’opzione già espressa da questa Corte, laddove ha precisato che la disposizione ha natura di norma interpretativa e, come
tale, è applicabile retroattivamente (Sez. 2, n. 47643 del 28/09/2023, Putignano, Rv. 285524).
In tal senso depongono anzitutto la voluntas legis, che risulta dalla relazione illustrativa del disegno di legge relativo alla conversione del decreto legge n. 105 del 2023, avendo il legislatore inteso operare un allineamento di sistema, a fronte delle ambiguità interpretative suscitate da una disposizione quella dell’art. 13 cit. polisemica; obiettivo realizzato valorizzando, tra le var interpretazioni sostenute, quella che dà rilevanza anche al collegamento fattuale del reato indiziato con associazioni criminali organizzate. Il legislatore del 2023 ha operato un ragionevole bilanciamento tra l’interesse pubblico alla repressione dei reati ed il diritto all’inviolabilità delle comunicazioni, in piena adesione agli obiet perseguiti dalla normativa speciale del 1991, che intese rendere pienamente funzionale lo strumento intercettativo in contesti criminali in cui, in ragion dell’influenza anche indiretta esercitata dal crimine organizzato, la ricerca della prova, affidata a mezzi diversi, risulta maggiormente difficoltosa.
2.2. Trovando dunque applicazione, nella vicenda al vaglio di questo Collegio, il regime derogatorio di cui all’art. 13, secondo la interpretazione sopra specificata, restano assorbite le ulteriore deduzioni, tra cui quella sull inapplicabilità ratione temporis del disposto di cui all’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., .relativo ai procedimenti iscritti dopo la data del 31 agosto 2020, alla luce della norma transitoria di cui all’art. 9 d. Igs. n. 217 del 2018.
Tale disposizione è stata richiamata dal Tribunale solo ad adiuvandum, in quanto ha recepito il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite COGNOME (nel senso in cui sarebbe stato successivamente precisato dal citato d.l. n. 105 del 2023).
2.3. Sempre con riguardo al decreto autorizzativo di intercettazione ambientale di cui al RIT 494/2020, emesso il 2 marzo 2020, non si ravvisano le dedotte carenze motivazionali sul collegamento dei fatti per cui è stata richiesta l’intercettazione ambientale e la persona di NOME COGNOME, nei cui confronti essa è stata autorizzata, in violazione del principio di proporzionalità del mezzo di ricerca della prova. Il Tribunale ha spiegato, in termini logicamente ineccepibili, che dalla denuncia sporta dalla persona offesa COGNOME erano emersi elementi per ritenere che gli attentatori fossero esponenti del RAGIONE_SOCIALE e che, nel medesimo contesto era stato fatto il nome di NOME COGNOME, figlio di NOME, il quale era un elemento di spicco di quel sodalizio ed all’epoca ristretto in carcere (v. pag. 29 e ss.).
Nemmeno può assumere rilevanza il dato che NOME COGNOME sia risultato, all’esito delle indagini, estraneo all’attentato dinamitardo ai danni del COGNOME, occorrendo rapportarsi, per l’apprezzamento degli indizi sulla base dei quali è stata resa l’autorizzazione ad intercettare, al momento genetico, in cui la captazione è stata
richiesta e autorizzata (v. Sez. 1 n. 12749 del 19/03/2021, Cusumano, Rv. 280981 – 01, in parte motiva; Rv. 210045; Rv. 207364).
2.4. Da ultimo, è il caso di precisare, quanto alla dedotta inutilizzabilità della intercettazioni che, essendo il compendio indiziario costituito anche da altri elementi di prova (tra cui le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ed alt intercettazioni, rispetto a quelle del decreto RIT censurato) il ricorso è aspecifico. E’ orientamento consolidato, invero, che, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo d impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 de 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 – 01).
Tale onere dimostrativo non è stato assolto dal ricorrente.
3. Il secondo motivo, inerente alla gravità indiziaria del reato associativo, è infondato.
La difesa pone una serie di questioni – al di là di quelle afferenti alla c.d. prova di resistenza, per cui si rinvia al paragrafo che precede – che attengono alla ricostruzione dei fatti ed alla loro corrispondenza alle emergenze investigativa.
I principi al riguardo sono noti.
È pacifico nella giurisprudenza di legittimità come il controllo dei provvedimenti di applicazione delle misure limitative della libertà personale impone a questa Corte di legittimità il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate. Esula tuttavia dal perimetro del giudizio di legittimità il controllo di quell censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano dato logica contezza degli elementi indiziari sulla base dei quali viene ritenuta l’intraneità di COGNOME al sodalizio.
La deduzione per cui il soggetto che avrebbe dovuto consegnare ad NOME COGNOME il danaro non può essere il bambino indicato nel colloquio, in quanto la collaboratrice di giustizia, NOME COGNOME, avrebbe dovuto riconoscerlo in foto, è inammissibile perché non devoluta negli stessi termini al Tribunale; in ogni caso, si tratta di quaestio facti che attiene alla interpretazione del contenuto dei colloqui ed implica un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, precluso in questa Sede di legittimità.
Nella ricostruzione del ruolo di COGNOME nell’ambito della consorteria, l’ordinanza non evidenzia lacune argomentative , né illogicità.
Pur operando alle strette dipendenze di NOME COGNOME, dal quale percepiva uno stipendio di 1000 euro mensili, egli nondimeno interagiva costantemente anche con NOME COGNOME, cui era sottoposto gerarchicamente e con alcuni spacciatori; si occupava della distribuzione dello stupefacente e della raccolta e ridistribuzione dei proventi di vendita, anche ai sodali detenuti (cd. spartenza). Particolarmente significativa la telefonata in cui NOME COGNOME si riferisce a NOME COGNOME, dandogli istruzioni per il tramite di COGNOME su come si dovesse incrementare la quantità di stupefacenti da smerciare, onde evitare che gli acquirenti stabili si rivolgessero ad altro sodalizio, secondo la strategi condivisa dai vertici, a cui occorreva dare attuazione.
Nel contesto criminale in cui i fatti si svolgono, è del tutto infondata l pretesa di riqualificazione dei reati scopo ai sensi dell’art. 73, comma 5, sent. d.P.R. n. 309 del 1990, per non essere stati accertati i quantitativi di sostanza di volta in volta oggetto di cessione. Ai fini del riconoscimento di tale fattispecie che, secondo la prospettazione difensiva, potrebbe refluire anche sulla qualificazione del reato associativo, occorre considerare il consolidato indirizzo della giurisprudenza, che impone di valutare in modo non atomistico mezzi, modalità e circostanze di commissione, oltre a qualità e quantità dell’oggetto delle future cessioni, e di apprezzare la condotta complessivamente tenuta dall’agente non sulla base del solo parametro quantitativo, bensì alla stregua di tutti gli indic richiamati dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (in tal senso Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076; Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278615; Sez. 6, n. 3616 del 15/11/2018, dep. 2019, Capurso, Rv. 275044).
I motivi di cui ai capi 3 e 4, relativi alla aggravante di cui all’art. 4 bis.1 cod. pen, possono essere trattati congiuntamente.
4.1. Il ricorso sul punto non è supportato da interesse.
Costituisce ius receptum che, nel procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto ed attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura. (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Renna, Rv. 284489 – 01, con riguardo a fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno de sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata).
Nel caso di specie, la esclusione dell’aggravante non incide sulla durata dei termini di custodia e, avuto riguardo al titolo di reato contestato, non sarebbe idonea a far venir meno la presunzione relativa.
5. E’ infondato il motivo relativo alle esigenze cautelari.
E’ presente nella ordinanza genetica una motivazione, facente riferimento alle prosecuzione delle attività criminali degli indagati nonostante le limitazioni della libertà personale imposte ad alcuni dei correi, quale elemento qualificante del periculum libertatis. Per quanto laconica essa sia, non può dirsi . una motivazione apparente, né può dedursi una apparenza – come argomenta il ricorrente – dal fatto che le medesime considerazioni siano state riferite, in termini cumulativi, anche ad altri sodali.
Legittimamente il Tribunale ha integrato tale motivazione, evidenziando che il ruolo fiduciario di COGNOME rispetto a soggetti aventi una posizione di spicco nel sodalizio, nonostante la sua incensuratezza, fonda il ragionevole convincimento della ultrattività della partecipazione anche rispetto all’epoca di cessazione delle indagini.
La insussistenza di elementi idonei a vincere la presunzione di adeguatezza è dunque congruamente argomentata.
Alla luce di tutto quanto precede consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. pen.
Alla Cancelleria sono demandati gli adempimenti comunicativi di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 30/11/2023