Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5088 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 5088  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata ad Andria il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza dell’ 08/06/2023 del Tribunale di Bari letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso:
sentito l’ avvocato COGNOME, in sostituzione dell’avvocato COGNOME, nell’interesse d NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso e, in subordine, con riferimento al primo motivo, ha chiesto di rimettere alle Sezioni unite la questione relativa all’inutilizzabilità delle intercettazioni alla luce dell’art. 1 d I. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con la I. del 9 ottobre 2023, n. 137 di cui contesta la legittimità costituzionale in relazione all’art. 15, comma secondo, Cost.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe il Tribunale di Bari, decidendo sulla richiesta di riesame, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere,
applicata alla ricorrente dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, per il reato di cui alli art. 74, commi 1,2, 3 e 4 d.P.R. n. 309 del 1990 aggravato anche dall’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 1) quale partecipe del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE operante ad Andria con il compito di gestire il traffico di stupefacenti anche quale intermediaria con i fornitori calabresi e diritto di periodica percezione di una quota degli illeciti profitti per conto del marito detenuto NOME COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore, articolando cinque motivi, di seguito indicati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. coord. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 266, 267 e 271 cod. proc. pen. per inutilizzabilità dell intercettazioni ambientali eseguite sul NUMERO_DOCUMENTO presso l’abitazione privata del coindagato NOME COGNOME, ritenute erroneamente confermate dalle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia NOME COGNOME, prive di attendibilità e riscon individua lizza nti .
Il ricorso ha riportato il contenuto della memoria difensiva depositata al Tribunale del riesame in cui si contesta la sussistenza delle condizioni di applicazione del regime derogatorio previsto dall’art. 13 d. I. n. 152 del 1999 nonché l’assenza delle ragioni sottese alla necessità di procedere all’intercettazione ambientale. Infatti, nella specie, il fatto storico delle imputazio provvisorie riguardava il reato di detenzione e utilizzo di sostanze esplosive ed il delitto di danneggiamento, aggravati dal metodo mafioso, tanto da difettare il presupposto del fondato motivo che nell’abitazione di NOME COGNOME si stesse svolgendo l’attività criminosa e in assenza della formale contestazione della fattispecie associativa alla luce della delimitazione operata dalla sentenza della Corte di cassazione numero 34895 del 30 marzo 2022. Il Tribunale del riesame ha erroneamente rigettato l’eccezione rilevando l’applicabilità del nuovo regime di cui all’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen., entrato in vigore il 1 settembre 2020, visto che il decreto autorizzativo di cui si eccepisce l’inutilizzabilità è sta emesso il 2 marzo 2020 cioè in un procedimento la cui iscrizione è certamente anteriore.
Il ricorso, inoltre, contesta il requisito della necessità di svolgere indagini ed il collegamento tra l’originaria contestazione cautelare (relativa all’attentato dinamitardo in danno del carabiniere COGNOME, aggravato dal metodo mafioso), per la quale il pubblico ministero aveva richiesto le intercettazioni all’interno dell’abitazione di NOME, che all’epoca si trovava agli arresti domiciliari, e l fattispecie associativa contestata al COGNOME.
Infatti, i decreti autorizzativi erano privi di una motivazione che comprovasse il coinvolgimento di NOME nell’attentato, come peraltro dimostrato con gli esiti del primo periodo di intercettazione, ciononostante il Tribunale del riesame, con argomenti apparenti ed inconferenti, aveva evidenziato come i presupposti indiziari per l’autorizzazione delle intercettazioni risultassero dalla denuncia della vittima chi aveva fatto riferimento non a NOME COGNOME ma al padre NOME.
2.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e 74 d. P.R. n. 309 del 1990 in quanto il provvedimento impugnato si era limitato a ritenere sussistente la piattaforma indiziaria della partecipazione associativa in base alle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia NOME COGNOME, prive di attendibilità e riscon individualizzanti, visto che la percezione di somme di denaro a sostegno suo e della famiglia non risultava provato e che comunque poteva costituire una mera forma di assistenza in favore di soggetti non partecipi del sodalizio.
2.3. Il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen., contestato in relazione al reato associativo sia nella forma della finalità agevolativa che in quella del metodo mafioso, senza che ve ne fossero i presupposti di fatto e di diritto nei termini indicati dal giurisprudenza di legittimità. Quanto alla forza intimidatrice del vincolo associativo, il provvedimento impugnato, con un generico richiamo alla natura ambientale dell’aggravante, si è, invero, limitato ad indicare elementi di fatto di non univoco significato, risalenti a trent’anni prima la consumazione dei delitti.
Quanto all’impiego del metodo mafioso li fatti evidenziati non hanno alcuna connessione con il delitto di cui al capo 1 trattandosi di litigi inerenti questio personali, privi di minacce (come l’episodio relativo a COGNOME), ed estranee al programma associativo; in ogni caso nessuno degli episodi richiamati ha mai coinvolto la ricorrente.
2.4. Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, e 309 cod. proc. pen. e 416-bis.1 cod. pen. per motivazione apparente in quanto il provvedimento impugnato non ha motivato, se non in modo assertivo, circa la consapevolezza e la volontà della ricorrente di agevolare l’associazione mafiosa e di essere consapevole dell’impiego del metodo mafioso, considerato che non è emersa alcuna conversazione in cui si rendesse protagonista di atteggiamenti intimidatori.
2.5. Il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’ art. 274 cod. proc. pen. /sostenendosi che il Tribunale ha valutato le esigenze cautelari in modo cumulativo e in assenza di motivazione.
In data 6 novembre 2023 sono pervenute due memorie.
Nella prima viene approfondito il tema dell’utilizzabilità delle intercettazioni acquisite con il NUMERO_DOCUMENTO alla luce del d.l. n. 105 del 2023 sostenendosi, innanzitutto, la non qualificabilità dei delitti contestati alla ricorrente come criminalità organizzata , non bastando a tal fine la sola contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che prescinde dall’esistenza di un qualsiasi collegamento con una stabile organizzazione; in secondo luogo, dopo avere delineato lo stato della giurisprudenza e della dottrina sulla definizione di criminalità organizzata, la difesa sostiene la tesi che il d.l. n. 105 del 2023 e la legge di conversione abbiano valenza innovativa e non interpretativa escludendo, di conseguenza, e«etti sananti delle prove acquisite sotto la vigenza della precedente normativa; in terzo luogo si censura il decreto autorizzativo del Giudice per le indagini preliminari in assenza di qualsiasi rapporzo tra il soggetto intercettato (NOME COGNOMECOGNOME e i fatti oggetto delle indagini.
La seconda memoria difensiva, invece, riguarda la chiamata di correo di NOME COGNOME, sulla quale, sostiene la difesa, il Tribunale non ha operato la necessaria valutazione di attendibilità, intrinseca ed estrinseca, delle dichiarazioni rese oltre che di credibilità soggettiva, visto che la collaborazione è intervenuta dopo l’esecuzione del provvedimento cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Il primo motivo deduce questioni concernenti le intercettazioni, ambientali e con captatore informatico, poste a fondamento del quadro indiziario che ha determinato l’emissione del titolo cautelare.
2.1. Per rispondere alle doglianze è opportuno delineare lo sviluppo dell’attività investigativa che ha condotto all’emissione della misura cautelare confermata dal provvedimento impugnato.
A seguito di un attentato dinamitardo ai danni del vice brigadiere dell’arma dei Carabinieri NOME COGNOME, questi veniva sentito a sommarie informazioni denunciando di avere svolto indagini che avevano condotto all’arresto di appartenenti all’associazione mafiosa facente capo alle famiglie RAGIONE_SOCIALE e al sequestro di armi e droga, ritenendo, pertanto, í propositi vend cativi e ritorsivi ,in particolare per le attività compiute nei confror7ti di NOME COGNOME, della famiglia COGNOME e di NOME NOME, padre di NOME già condannato quale partecipe
di un’associazione dedite al narcotraffico e all’epoca ristretto in regime di detenzione domiciliare.
In forza di detti elementi, il Pubblico ministero il 2 marzo 2020 otteneva dal Giudice per le indagini preliminari decreto autorizzativo per disporre sia intercettazioni ambientali tra presenti nell’abitazione di NOME – all’epoca in regime di detenzione domiciliare, sia con uso del captatore informatico, sulla base di imputazioni contro ignoti per delitti in materia di armi, aggravati dall’art. 416 bis.1 cod. pen..
Nel corso di dette intercettazioni, anziché emergere elementi per individuare gli autori dell’attentato dinamitardo, era emerso un ricco compendio indiziario in ordine all’esistenza del RAGIONE_SOCIALE dedito al traffico di stupefacenti nel territo di Andria.
Il ricorso sostiene, tuttavia, che mancassero i presupposti per svolgere le intercettazioni poste a base della misura cautelare applicata alla ricorrente in quanto svolte secondo il regime derogatorio previsto per i delitti di criminalità organizzata dal momento che quelli per i quali le intercettazioni erano state autorizzate non rientravano in detta categoria.
2.2. Prima di affrontare la questione, è necessario delineare il quadro, giuridico ed interpretativo, dell’intercettazione di comunicazioni tra presenti (ambientale o mediante l’installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico) nei procedimenti per delitti di “criminalità organizzata”.
Come è noto, per questi trova applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 151 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione degli stessi e prescindendo dalla dimostrazione che in essi vi sia un’attività delittuosa in atto. Diversamente, ai sensi dell’art. 26 comma 2, cod. proc. pen., se detti delitti avvengono in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 cod. pen., le intercettazioni tra presenti sono consentite solo se vi sia fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo l’attività criminosa.
A fronte dell’indeterminatezza del dato normativo di cui all’art. 13 e dell’assenza di una nozione giuridica unitaria di “criminalità organizzata”, in sede applicativa si è posto il problema di individuare, in termini di certezza, la categoria dei delitti riconducibili a tale nozione al fine di delimitare l’area operativa del speciale regime derogatorio.
Pr risolvere il contrasto insorto con riferimento all’utilizzo del captatore informatico in questo tipo di delitti, sono intervenute le Sezioni Unite COGNOME che, aderendo ai principi già statuiti dalle sentenze Petrarca (Sez. U, n. 17706 del 22 marzo 2005) e NOME (n. 17706 del 22 marzo 2005), hanno accolto una definizione ampia di «delitti di criminalità organizzata», in una prospettiva
teleologica volta a valorizzare gli obiettivi perseguiti dalla norma al fine d consentire l’uso di uno strumento efficace di repressione di reati più gravi.
La sentenza COGNOME ha, dunque, sancito il seguente principio di diritto: «per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., ma anche quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, ex art. 416 cod. pen., correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato» (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266906-01).
Sulla base di tale pronuncia, il regime clerogatorio previsto dall’art. 13 cit. dalla giurisprudenza successiva è ritenuto applicabile, oltre che ai reati associativi, anche ai reati monosoggettivi indicati all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., aggravati dal metodo mafioso, dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa e per finalità di terrorismo.
Con la sentenza n. 34895 del 2022 la I Sezione della Corte di Cassazione ha, tuttavia, diversamente interpretato la decisione delle Sezioni Unite, ritenendo che la parte enunciativa della pronuncia richiamasse l’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., riferibile «ai delitti associativi annoverati in quell’elenco, e no anche, ai delitti non associativi, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività de associazioni previste nel suddetto articolo» (Par. 6.4 di Sez. 1, n. 34895 del 30/03/2022, COGNOME, Rv. 283499).
Secondo tale pronuncia, pertanto, ai fini dell’art. 13, dl. n. 152 del 1991, i delitti riconducibili alla nozione di criminalità organizzata richiedono, quale indefettibile elemento, una fattispecie associativa, anche comune, non potendo, in assenza di questa, ritenersi consentito disporre le intercettazioni ai sensi della citata disposizione.
Nonostante il menzionato orientamento sia rimasto isolato, per timore di una situazione di incertezza in ordine all’esatto ambito applicativo dell’art. 13 è stato emanato il d. I. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con la I. del 9 ottobre 2023, n. 137, che senza modificarlo direttamente è intervenuto per definirne con precisione il perimetro di applicazione.
Con l’art. 1, comma 1, d.l. n. 105 del 2023, infatti, senza fornire una definizione della locuzione «delitti di criminalità organizzata», il legislatore h stabilito in termini univoci che l’art. 13 include anche i reati monosoggettivi indicat all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater cod. proc. pen., e cioè i delitti di cui all’art. 452-quaterdecies e 630 cod. pen. nonché ogni altro delitto commesso con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste da tale disposizione.
Inoltre, in base al comma 2 dell’art. 1, ila disposizione del primo comma si applica «anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore» del decretolegge.
La relazione illustrativa del disegno di leggile di conversione ha evidenziato che la nuova disciplina mira a rafforzare gli strumenti di contrasto con riferimento a reati di particolare gravità e che l’estensione della disciplina prevista all’art. 1 d.l. n. 152/91 «realizza un allineamento di sistema, in quanto relativo ad istituti comuni alle investigazioni in materia di criminalità organizzata. L’inclusione dei reati di criminalità organizzata e di quelli indicati nell’articolo 1 in esame ne catalogo previsto dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen. rende irragionevole il disallineamento della disciplina in materia di intercettazioni, determinando la necessità di introdurre senza ritardo la norma in commento, per garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale, anche in ragione dei numerosi procedimenti in corso in cui si registrano indirizzi non univoci».
In definitiva la novella si è limitata a recepire e codificare l’indiriz interpretativo fatto propria dalle Sezioni Unite, dalla sentenza COGNOME in poi, secondo cui i delitti indicati nel primo comma dell’art. 1, dl. n. 105 del 2023 sono tutti ricompresi nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen.
A conferma di quanto sopra, il comma 2 dell’art.1 detta i   poi ( una disciplina transitoria che stabilisce l’applicazione della disposizione anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
Il problema posto dal ricorso riguarda l’inquadramento dell’art. 1, comma 1, come disposizione di interpretazione autentica o, viceversa, novativa.~D, dal momento che la soluzione assume ricadute rilevanti in ordine alla sua efficacia retroattiva e, dunque, all’effetto sui procedimenti pendenti nei quali, prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione, siano state effettuate intercettazioni sulla base della disciplina speciale relativa ai delitti di cui all’art comma 1, d.l. n. 103 del 2023.
Se la disposizione si limita, infatti, a delineare il contenuto che la norma aveva sin dall’origine è evidente la sua natura di interpretazione autentica dalla norma preesistente, con conseguente efficacia retroattiva; se, al contrario, ha un contenuto innovativo, essa può valere solo per l’avvenire.
Poiché l’intervento normativo è stato motivato dalla finalità di selezionare uno dei possibili significati che possono ricavarsi dalla disposizione interpretata, così superando le incertezze interpretative relative all’ambito di applicabilità dell’art. 13 ed evitando che esse avessero ricadute nei procedimenti in corso, si ritiene che la disposizione debba essere qualificata come meramente interpretativa, volta cioè
a delimitare l’ambito applicativo dell’art. 13, d.l. n. 152/91, in maniera del tutt coincidente con quello definito dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni unite.
La Corte Costituzionale, proprio per evitare abusi della funzione legislativa in chiave interpretativa a danno del potere giudiziario, ha imposto precisi limiti a questo tipo di strumento legislativo che non solo deve essere retroattivo, ma può essere adottato «non soltanto in presenza ch incertezze nell’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, c rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (Corte cost. n. 271 del 2011). Inoltre, «il legislatore può emanare norme che precisino il significato di preesistenti disposizioni anche se non siano insorti contrasti giurisprudenziali…, ma sussista comunque una situazione di incertezza nella loro applicazione…., essendo sufficiente che la scelta imposta rientri tra le possibili varianti di senso del testo interpretato e sia compatibile con la sua formulazione» (Corte cost. n. 170 del 2008).
La Corte costituzionale oltre a fissare i presupposti per emanare una norma di interpretazione autentica, ha individuato anche i limiti generali alla sua efficacia retroattiva costituiti dai principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, di coerenza e di certezza di questo e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte cost. n. 209 del 2010), tutti principi rispettati nella specie.
Alla luce dei menzionati parametri può concludersi che la I. n. 137 del 2023 è qualificabile come legge di interpretazione autentica in quanto: a) la sua approvazione è derivata, in via diretta, dalla situazione di incertezza interpretativa derivante dalla sentenza della I Sezione 34895 del 2022 in ordine all’esatto ambito applicativo dell’art. 13 d.l. n. 152 del 1991; b) la formulazione letterale dell disposizione è ricalcata sulla precedente lettura offerta da questa Corte, con la sentenza delle Sezioni unite COGNOME.
La portata meramente ricognitiva del significato già presente nell’originaria disposizione e l’evidenza dell’occasio legis c:he l’ha determinata non possono essere messe in discussione dal dato, meramente formale, dell’assenza nel testo sia del decreto-legge che della legge di conversione dell’essere la norma di interpretazione autentica.
Né può portare ad una diversa qualificazione giuridica del comma 1 dell’art. 1, il comma 2 della medesima disposizione che non contiene una disciplina transitoria, ma si limita, da un lato, a ribadire il criterio regolatore de successione nel tempo di norme processuali, espresso dal principio tempus regit actum, in base al quale gli atti processuali sono soggetti alla normativa vigente al
momento della loro adozione, e, dall’altro lato, a regolare il regime delle intercettazioni in corso o già effettuate alla data di entrata in vigore del decreto disponendo che la loro legittimità ed utilizzabilità vadano esaminate alla stregua del comma 1, in tal modo rafforzando l’effetto retroattivo attribuito ad ogni norma di interpretazione autentica.
2.3. Una volta escluso il carattere innovativo della disciplina in esame,,non è ipotizzabile la violazione del parametro costituzionale dell’art. 15 Cost. evocato dalla difesa.
Il diritto all’inviolabilità delle comunicazioni, volto alla tutela della libe della segretezza, è soggetto a limitazioni purché disposte per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, in ragion «dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempre che l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione» (Corte cost. n. 20 del 2017).
Nel caso di specie «l’interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante» è costituito dalla repressione dei reati, specie di quelli di maggiore allarme sociale e complessità, quanto al loro accertamento, quali sono quelli di criminalità organizzata (Corte cost. n. 366 del 1991) c:osicché la norma interpretativa in esame, nella sua portata retroattiva, non può dirsi né irragionevole né lesiva di valori costituzionalmente protetti, ma pienamente conforme al quadro ordinamentale primario.
Sulla base di detti argomenti (   non si ritiene che vi siano neanche i presupposti per rimettere la questione alle Sezioni unite della Corte di cassazione come richiesto dalla difesa della ricorrente in assenza dei presupposti di cui all’art. 610, comma 2, cod. proc. pen. anche alla luce della pronuncia sopra richiamata della Sez. 2 n. 47643 del 28/09/2023, di cui si condivide integralmente l’argomentazione.
2.4. Alla stregua di tali argomenti, visto che nel presente procedimento le intercettazioni sono state disposte per delitti aggravati dall’art. 416-bis.1 cod. pen., il Tribunale del riesame ha correttamente ritenuto applicabile il regime derogatorio di cui agli art. 13 del d. I. n. del c11.1. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella I. n. 203 del 1991, incluso quello dell’acquisizione di conversazioni che si svolgono nei luoghi di privata dimora senza richiedere necessariamente che in essi vi sia attività criminosa in corso, tanto da rendere gli esiti intercettivi utilizzabili.
Il titolo di reato rende, infatti, irrilevante che il decreto autorizzativo sia st emesso il 2 marzo 2020, cioè prima dell’entrata in vigore della riforma introdotta
dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, in quanto ai procedimenti in materia di criminalità organizzata iscritti anteriormente a tale data si applicava la disciplina precedente che non prevedeva una motivazione rafforzata quanto alle ragioni del ricorso all’utilizzo del captatore informatico.
2.5. Altrettanto infondata è la questione circa l’assenza di collegamento tra l’originaria contestazione cautelare – relativa al concorso in detenzione e porto abusivo di sostanze esplosive e danneggiamento, aggravati dal metodo mafioso e la fattispecie associativa in questa sede contestata anche con riferimento alla figura di NOME COGNOME e alla necessità di svolgere nella sua casa le intercettazioni.
Sono due gli elementi rilevanti: a) a pagina 5 del decreto autorizzativo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari il 2 marzo 2020, sono riportati stralci della denuncia della vittima dell’attentato dinamitardo in cui si fa espressa menzione del RAGIONE_SOCIALE, ipotizzando intenti ritorsivi di NOME COGNOME – all’epoca in carcere -, padre di NOME COGNOME – all’epoca agli arresti domiciliari -; b) gli originari delitti in materia di armi prevedevano l’aggravante d cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che, per ragioni di logica, sottintende un contesto associativo anche considerato che dette armi sono state poi effettivamente rinvenute.
Ne consegue la piena utilizzabilità delle intercettazioni sia per i delitti connessi ex art. 12 cod. proc. pen., sia per quelli emersi ex novo rispetto a quelli ab origine iscritto in quanto rientranti, come nella specie, nei limiti di ammissibilità di c all’art. 266 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, Rv. 277395).
Il secondo motivo, sulla gravità indiziarla per il delitto associativo, è invece inammissibile perché privo di specificità, mancando qualsiasi concreto confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata, e generico. Infatti, anziché proporre censure per motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, unici vizi proponibili in questa sede, il ricorso censura il provvecimento impugnato perché fondato su valutazioni asseritamente sbagliate del compendio probatorio posto a fondamento della ritenuta appartenenza alla ritenuta associazione di tipo mafioso ipotizzato dalla pubblica accusa.
Il Tribunale ha, infatti, dato correttamente atto di due circostanze sulle quali il ricorso non si misura affatto: a) che NOME COGNOME, marito di NOME, per conto del quale la donna percepiva gli introiti periodici derivanti dalle attività illecita RAGIONE_SOCIALE, è stato condannato nel 2015 quale partecipe del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, a far data dal 2006 e sino al rinvio a giudizio avvenuto nel novembre del 2C14, con il ruolo di organizzatore; b) che la ricorrente aveva una fitta relazione cor NOME COGNOME, con il quale non parlava solo della gestione della cassa dell’associazione, ma anche
della gestione e dell’organizzazione del sodalizio, di cui la donna aveva piena conoscenza, come risulta dall’intercettazione de11111 maggio 2020 (pag. 42), oltre che della possibilità di recarsi personalmente in Calabria per acquistare lo stupefacente direttamente dei fornitori.
Contrariamente, inoltre, a quanto dedotto dal ricorso, la collaboratrice di giustizia, NOME COGNOME, entrata nel sodalizio nel 2017 inoltrato, era la moglie proprio del capo RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, cosicchè ben ne conosceva le dinamiche interne.
La circostanza che il marito di NOME NOME risulti indagato nel presente processo, dunque, è stat lEt correttamente ritenuta dal provveclimento impugnato un dato irrilevante dovendosi valorizzare la natura e la consapevolezza della natura illecita del denaro ricevuto in quanto profitto delle attività di un’associazione dedita al narcotraffico.
Il terzo motivo e il quarto motivo, possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi riguardanti l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nella sua doppia declinazione, e vanno dichiarati inammissibili per carenza di interesse.
Costituisce, infatti, orientamento costante di questa Corte quello secondo il quale in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali vi è carenza di interesse al ricorso quando l’indagato tende ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante salvo che da tale esclusione derivi, per lui, una concreta utilità, ovvero immediati riflessi sull’an o sul quomodo della misura (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284489; Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508; Sez. 6, n. 5213 dell’11/12/2018, Fucito, Rv. 275028).
Nel caso di specie già la mera partecipazione al sodalizio integra il fatto costitutivo della presunzione cautelare di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e, di conseguenza, l’esclusione dell’aggravante non produrrebbe per la ricorrente alcuna conseguenza favorevole risultando, peraltro / identico il termine di fase (Sez. 3, n. 31633 del 15/03/2019, Irabor, Rv. 276237).
5.  Il quinto motivo, sulle esigenze cautelari, è generico.
Il Tribunale ha dato atto, in modo specifico ed individualizzato, che la ricorrente, oltre ad appartenere ad una compagine RAGIONE_SOCIALE che ha posto in essere gravi delitti, è pienamente inserita nell’associazione di cui all’art. 74 d. P.R. n. 309 del 1990, aggravata dall’art. 416-bis.1 cod. pen., per la quale vale la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere (Sez. 2, n. 23935 del 04/05/2022, Rv. 283176), rispetto alla
quale la difesa non ha addotto elementi dimostrativi della recisione dei rapporti con il contesto RAGIONE_SOCIALE di riferimento.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 30 novembre 2023
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