Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33702 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/20211a CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sulle conclusioni del Pubblico Ministero
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Catania il 10 maggio 2023 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall’imputato, con cui il Tribunale di Ragusa il 27 giugno 2019, all’esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto NOME COGNOME responsabile del reato di tentativo aggravato dalla violenza sulle cose di furto in abitazione di trenta mattoni, costituenti il pavimento di una villa del settecento (capo A dell’editto), e di detenzione a fine di cessione di 586,7 grammi di hashish e di 9,5 grammi di marijuana (capo B, qualificato come violazione dell’art. 73, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), fatti entrambi commessi il 24 ottobre 2019, in conseguenza condannandolo, ritenuto più grave il reato di cui al capo A), con l’aumento per la continuazione con l’ulteriore illecit ed operata la diminuzione per il rito, alla pena di giustizia.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a due motivi con i quali denunzia violazione di legge.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto illegittimamente ed erroneamente si sarebbe mancato di prosciogliere l’imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Infatti sottolinea il ricorrente – in atti manca la querela, il luogo ove è avvenuto i tentativo di furto sarebbe una casa abbandonata e non recintata, di proprietà di una società, non si sarebbe in presenza di una privata dimora e l’imputato si sarebbe limitato a tentare di asportare mattoni che erano già staccati.
2.2. Con il secondo motivo censura violazione dell’art. 179 cod. proc. pen.: infatti al momento della richiesta e dell’ammissione al rito abbreviato, il fascicolo era privo della consulenza del P.M. sulla sostanza in sequestro, consulenza che è stata acquisita dal Giudice con ordinanza del tutto illegittimamente adottata addirittura dopo la chiusura del dibattimento e a discussione già avvenuta, in chiara violazione – si assume – dell’art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo cui il giudice utilizza per la decisione gli atti contenuti nel fascicolo di cu all’art. 416, comma 2, cod. proc. pen., la documentazione di cui all’art. 419, comma 3, cod. proc. pen. e le prove assunte nell’udienza, sicchè l’intervento istruttorio non già meramente integrativo ma, in realtà, sostitutivo da parte del giudice si è risolto, in definitiva, nella violazione del diritto di difesa.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Corte di cassazione (nella requisitoria scritta del 15 giugno 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni.
2.Quanto al primo motivo (con cui si lamenta violazidne dell’art. 129 cod. proc. pen., per non avere i giudici prosciolto l’imputato), è appena il caso di osservare: che la Difesa si limita ad affermare che l’immobile era abbandonato, senza in alcun modo; che il furto in abitazione è procedibile di ufficio, A11.4,-ZikELL-0 non a querela; che il ricorso è comunque costruito in fatto, su proposizioni meramente avversative, anche quanto al mancato impiego di violenza sulle cose, mentre alla p. 1 della sentenza di primo grado si legge che gli agenti di polizia giudiziaria hanno sentito «chiaramente rumori di picconate provenienti dall’interno della casa».
In relazione al secondo motivo (con cui si censura violazione di legge processuale, per avere acquisito la consulenza sulla natura della sostanza in sequestro dopo la chiusura del dibattimento), si osserva essere pacifico che il Tribunale nel caso di specie abbia acquisito la consulenza tecnica del P.M. sulla sostanza soltanto dopo la chiusura della discussione del processo, poiché ciò risulta dalla lettura di p. 1 della sentenza di primo grado.
Occorre, poi, tenere presente il principio – opportunamente – richiamato dal P.G. di legittimità nella requisitoria, secondo cui «In tema di giudizio abbreviato, anche non condizionato, il potere di integrazione probatoria “ex officio” non necessita di una specifica motivazione e non è soggetto a limiti temporali, potendo intervenire in ogni momento e fase della procedura, anche nel corso della discussione o addirittura dopo il termine di essa, qualora il giudice ravvisi l’indispensabilità di un approfondimento del “thema probandum”, ossia dei fatti oggetto di imputazione. (In motivazione, la Corte ha precisato che il “thema probandum” non coincide con i mezzi di prova o di ricerca della stessa attivati dalle parti)» (Sez. 5, n. 18264 del 29/01/2019, S, Rv. 276246).
In ogni caso, alla p. 2 della sentenza di primo grado si legge, testualmente, quanto segue: «Il rapporto di prova può essere utilizzato nell’ambito del giudizio abbreviato per la norma dianzi richiamata (art. 441 c.p.p.), anche tenuto conto della circostanza per cui le stesse parti hanno dichiarato nel verbale di udienza del 4.4.2019 l’assenso all’utilizzo del risultato degli esami tossicologici che sarebbero successivamente pervenuti».
Trattandosi di un passaggio rilevante della decisione con il quale il ricorrente non si confronta, l’impugnazione risulta essere aspecifica.
Essendo, dunque, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ex art. 616 cod. proc. pen. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000), alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria nella misura, che si ritiene congrua e conforme a diritto, indicata in dispositivo.
Motivazione semplificata, dovendosi fare applicazione di principi già reiteratamente affermati dalla RAGIONE_SOCIALE e condivisi dal Collegio, ricorrendo le condizioni di cui al decreto del Primo Presidente n. 84 dell’8 giugno 2016.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/07/2024.