LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Insubordinazione con ingiuria: la Cassazione decide

Un militare è stato condannato per insubordinazione con ingiuria per aver usato toni beffardi e offensivi in una chat WhatsApp con un superiore per motivi di servizio. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, specificando che né il rapporto confidenziale né il fatto di essere fuori servizio escludono il reato. È stata inoltre negata l’assoluzione per particolare tenuità del fatto a causa della gravità e della persistenza della condotta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Insubordinazione con Ingiuria: Offese su WhatsApp al Superiore Sono Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5820 del 2025, ha affrontato un caso di insubordinazione con ingiuria, chiarendo importanti principi sulla disciplina militare nell’era digitale. La decisione conferma che offendere un superiore tramite messaggi, anche se fuori servizio e in un contesto apparentemente informale, integra pienamente il reato, e difficilmente può essere considerato un fatto di ‘particolare tenuità’.

I Fatti del Caso

Un militare veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di insubordinazione con ingiuria. L’episodio si era verificato attraverso una conversazione su WhatsApp con un suo superiore gerarchico. Il motivo della discussione era la pianificazione dei turni di servizio, durante la quale il militare aveva utilizzato toni beffardi ed espressioni offensive, ritenute lesive del prestigio e della dignità del superiore.

Il militare ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Mancanza dell’elemento soggettivo: Sosteneva di non aver agito con l’intenzione di offendere, ma di aver semplicemente manifestato un ‘comprensibile e umano disappunto’ per la revoca di un giorno di riposo. A suo dire, il rapporto confidenziale preesistente con il superiore avrebbe dovuto escludere l’intento offensivo.
2. Erronea applicazione della legge: Contestava il mancato proscioglimento per ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.), evidenziando come la stessa Corte d’Appello avesse ridotto la pena riconoscendo una modesta gravità del fatto, dettato da uno stato d’ira per un danno subito.

La Valutazione della Cassazione sulla Insubordinazione con Ingiuria

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che il loro compito non è riesaminare le prove, ma verificare la logicità della motivazione della sentenza impugnata, che in questo caso è stata ritenuta corretta e priva di contraddizioni.

La Configurazione del Reato

La Corte ha ribadito che il reato di insubordinazione con ingiuria si configura con qualsiasi atto o parola di disprezzo verso il superiore o con l’uso di un tono arrogante. Tali comportamenti sono contrari alle esigenze della disciplina militare, che tutela non solo la persona del superiore, ma anche il suo ruolo e l’autorità che rappresenta.

Nel caso specifico, il contenuto dei messaggi – che includeva accuse di favoritismo, turpiloquio e un tono palesemente arrogante – è stato considerato oggettivamente grave e ben al di là di una semplice manifestazione di disappunto. La Corte ha sottolineato che tale disappunto avrebbe potuto essere espresso in modi rispettosi, senza mettere in discussione l’autorità e il prestigio del superiore.

L’Irrilevanza del Rapporto Confidenziale e dello Stato ‘Fuori Servizio’

Un punto cruciale della sentenza è la valutazione del contesto. I giudici hanno stabilito che la ‘confidenza’ concessa dal superiore (come l’uso del ‘tu’) non autorizza in alcun modo a venir meno al rispetto dovuto al grado gerarchico. Questo rispetto è un requisito fondamentale e ineliminabile della disciplina militare. Allo stesso modo, il fatto che il militare fosse libero dal servizio al momento dello scambio di messaggi è stato ritenuto irrilevante, poiché la conversazione verteva su questioni di servizio e disciplina.

La Particolare Tenuità del Fatto: un Concetto Diverso dalla ‘Minore Gravità’

La Corte ha respinto anche il secondo motivo, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. La motivazione è netta: il diniego è stato giustificato dalla gravità complessiva della condotta. Il militare, infatti, aveva proseguito con le offese nonostante i tentativi del superiore di calmare la situazione e i suoi richiami a un comportamento corretto. Questo atteggiamento di sfida e il successivo tentativo di cancellare i messaggi sono stati visti come indici di una condotta non ‘tenue’.

I giudici hanno inoltre operato una distinzione fondamentale: la valutazione di ‘minore gravità’ che ha portato alla riduzione della pena è diversa dal concetto di ‘particolare tenuità del fatto’. La prima può dipendere da fattori soggettivi, come lo stato d’ira del reo (art. 133 c.p.), mentre la seconda richiede un’analisi oggettiva della condotta, che in questo caso non era affatto di minima entità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso sulla base di principi consolidati. In primo luogo, ha affermato che la valutazione delle prove è di competenza esclusiva dei giudici di merito e che la Cassazione può solo controllare la logicità del ragionamento. In secondo luogo, ha definito chiaramente i contorni del reato di insubordinazione, confermando che l’intento offensivo (dolo generico) sussiste quando si è consapevoli di rivolgersi a un superiore per questioni di servizio usando espressioni lesive. Infine, ha precisato che la concessione di attenuanti o la riduzione della pena non implica automaticamente che il fatto sia di ‘particolare tenuità’ ai fini del proscioglimento.

Conclusioni

La sentenza ribadisce la rigidità della disciplina militare e la sua applicabilità anche nelle comunicazioni digitali e informali. L’uso di chat come WhatsApp non crea una ‘zona franca’ dove il rispetto gerarchico può essere ignorato. Anche un rapporto confidenziale non autorizza a superare i limiti imposti dalla disciplina. La decisione serve da monito: la manifestazione di un dissenso, per quanto legittimo, deve sempre avvenire nel rispetto dei ruoli e delle persone, specialmente in un contesto ordinato gerarchicamente come quello militare. La persistenza in un atteggiamento offensivo, inoltre, preclude la possibilità di beneficiare della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Usare un tono irrispettoso in una chat di lavoro con un superiore è reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, usare toni beffardi ed espressioni ingiuriose in una conversazione via WhatsApp con un superiore, per motivi legati al servizio, integra il reato di insubordinazione con ingiuria, poiché lede il prestigio e la dignità del ruolo gerarchico.

Essere fuori servizio o avere un rapporto confidenziale con il superiore esclude il reato di insubordinazione con ingiuria?
No, la sentenza chiarisce che queste circostanze sono irrilevanti. Il reato sussiste se l’offesa riguarda il servizio o la disciplina, indipendentemente dal fatto che il militare fosse libero dal servizio o che avesse un rapporto informale con il superiore. Il dovere di rispetto verso il superiore gerarchico rimane un requisito ineliminabile.

Se un reato è di ‘minore gravità’ può essere archiviato per ‘particolare tenuità del fatto’?
Non necessariamente. La Corte distingue nettamente i due concetti. Una valutazione di ‘minore gravità’, che può portare a una riduzione della pena, può basarsi su elementi come lo stato d’animo dell’imputato. L’assoluzione per ‘particolare tenuità del fatto’ richiede invece una valutazione complessiva della condotta, che deve essere minimamente offensiva. In questo caso, la persistenza nell’atteggiamento offensivo ha escluso tale possibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati