Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5820 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 17/01/2025
R.G.N. 37569/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato a MODUGNO (BA) il 26/11/1984 avverso la sentenza del 10/07/2024 della CORTE MILITARE APPELLO di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Militare NOME COGNOME che, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 10 luglio 2024 la Corte militare di appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza emessa in data 12 dicembre 2023 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Verona, ha condannato NOME COGNOME alla pena di mesi due di reclusione militare, con i doppi benefici di legge, per il reato di insubordinazione con ingiuria commesso il 16 gennaio 2023 in danno di un superiore, usando nei suoi confronti, in una conversazione via whatsapp per ragioni di servizio, toni beffardi ed espressioni ingiuriose, idonei a ledere il prestigio e la dignità del medesimo.
La Corte di appello ha ribadito che la condotta Ł stata tenuta nei confronti di un superiore gerarchico, ledendone perciò il prestigio e la dignità, essendo irrilevante il fatto che l’imputato fosse, in quel momento, libero dal servizio, e per un motivo inerente il servizio e la disciplina, cioŁ la pianificazione dei turni dei militari del plotone a cui entrambi appartenevano. Ha confermato l’insussistenza di scriminanti e la non modesta gravità del fatto, ma ha ridotto la pena, nella misura indicata.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
La motivazione della sentenza impugnata Ł illogica e contraddittoria. Il reato di insubordinazione con ingiuria sussiste nel caso di utilizzo di un tono arrogante o di parole di disprezzo, che siano effettivamente lesive del prestigio e dell’onore della vittima, mentre nel caso di specie il ricorrente ha solo esternato un comprensibile e umano disappunto, per essersi visto sottratto un giorno di riposo. In lui era assente il necessario elemento soggettivo, perchØ con il suo superiore esisteva da tempo un rapporto confidenziale, e quindi egli non riteneva che le espressioni usate fossero ingiuriose, mentre la sentenza, erroneamente, non ha valutato l’incidenza di tale confidenzialità nell’elemento psicologico del reato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in ordine al diniego del proscioglimento per la particolare tenuità del fatto.
La Corte di appello ha negato l’assoluzione ai sensi dell’art. 131bis cod. pen. ripetendo la sussistenza di tutti gli elementi del reato, mentre tale istituto interviene dopo che la sussistenza del reato Ł stata accertata e si basa, quindi, su altri elementi. La Corte non ha tenuto conto del fatto che il ricorrente non Ł un delinquente abituale, che il titolo di reato consente l’applicazione del beneficio, e che, dal messaggio finale inviato al superiore, risulta evidente che la conversazione si Ł conclusa in modo pacifico. La sentenza stessa, contraddittoriamente, ha riconosciuto che il fatto era di modesta gravità, tanto da meritare una riduzione della pena, e che era dettato da uno stato d’ira determinato da un danno subito, quale la soppressione di un giorno di riposo, e dall’intima convinzione del ricorrente che tale danno fosse ingiusto, ma pur attribuendo al fatto un minore disvalore non ha concesso il proscioglimento per la sua particolare tenuità.
Il procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto di entrambi i motivi del ricorso.
In data 07 gennaio 2025 il ricorrente ha depositato una memoria, con la quale ha ribadito la fondatezza di entrambi i motivi del proprio ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, in entrambi i suoi motivi, e deve essere rigettato.
Il primo motivo Ł ai limiti della inammissibilità, contenendo deduzioni e contestazioni che attengono piø a questioni di fatto che ad interpretazioni in punto di diritto. Il ricorrente, infatti, contesta la valutazione delle prove contenuta nella sentenza impugnata, e di fatto ne chiede una valutazione diversa.
Questa Corte, però, ha piø volte affermato che «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione Ł normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema
logico in sØ compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità Ł limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sØ e per sØ considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa Ł “geneticamente” informata, ancorchØ questi siano ipoteticamente sostituibili da altri» (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Pertanto «esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchØ tale attività Ł riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’ iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione» (Sez. 6, n. 1354 del 14/04/1998, Rv. 210658).
La motivazione della sentenza impugnata non presenta i vizi di illogicità e contraddittorietà dedotti dal ricorrente, in quanto valuta le frasi da lui rivolte al suo superiore gerarchico alla luce della interpretazione giurisprudenziale del reato ritenuto sussistente dal giudice di primo grado. Questa Corte ha costantemente ribadito che «Nel reato militare di insubordinazione con ingiuria, integra l’offesa all’onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore nonchØ l’uso di tono arrogante, perchØ contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il soggetto di grado piø elevato deve essere tutelato, non solo nell’espressione della sua personalità umana, ma anche nell’ascendente morale di cui ha bisogno per un degno esercizio dell’autorità del grado e della funzione di comando» (Sez. 1, n. 12313 del 19/02/2020, Rv. 278699, citata dallo stesso ricorrente). La sentenza impugnata ha, in modo logico e conforme alle risultanze processuali, valutato che rientrassero in tale concetto di insubordinazione il tono palesemente arrogante usato dal ricorrente, l’accusa di favoritismo, il turpiloquio, seppure occasionale, l’esortazione a comportarsi da uomo, il pretendere di far valere la propria anzianità anagrafica. Si tratta di valutazioni che non presentano la manifesta illogicità lamentata, dal momento che il contenuto complessivo dei messaggi scambiati dal ricorrente con il superiore risulta, oggettivamente, ben piø grave e offensivo della mera esternazione di un ‘comprensibile ed umano disappunto’, secondo l’interpretazione riduttiva contenuta nel ricorso, ben potendo tale disappunto essere manifestato senza mettere in dubbio la correttezza del comportamento del superiore e senza sminuirne il prestigio derivante dalla superiorità gerarchica.
La motivazione della sentenza non Ł illogica neppure con riferimento alla valutazione della sussistenza del necessario dolo: la norma richiede solo un dolo generico, ed esso Ł stato ritenuto presente stante la evidente volontarietà e consapevolezza dell’uso dei termini e del tono contestati, la loro oggettiva portata offensiva, la consapevolezza del ricorrente di rivolgersi ad un superiore in relazione ad una questione di servizio. E’ logica e non contraddittoria anche la valutazione della irrilevanza della confidenza che il superiore aveva palesemente consentito al ricorrente, autorizzandolo all’uso del ‘tu’, non potendo tale concessione escludere il doveroso rispetto da osservare verso il superiore gerarchico, requisito ineliminabile della disciplina militare.
3. Anche il secondo motivo di ricorso Ł infondato.
La giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 13681 del 25/02/2106, Tushaj, Rv. 266590, ha precisato che «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo». La sentenza impugnata si Ł conformata a questo principio, in quanto ha approfonditamente valutato la possibile sussistenza di tale causa di proscioglimento, e l’ha esclusa ritenendo la condotta del ricorrente non particolarmente
tenue, stante la prosecuzione delle frasi offensive nonostante la disponibilità manifestata dal superiore per risolvere le difficoltà del ricorrente e nonostante i richiami del medesimo a tenere un atteggiamento corretto e rispettoso, il tono arrogante, l’atteggiamento di sfida e di disconoscimento dell’autorità del superiore gerarchico e delle esigenze del servizio e della disciplina militare; ha valorizzato anche, in termini negativi, il successivo tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità cancellando, in parte, i messaggi scambiati con il superiore. Tale valutazione attiene, così come richiesto dalla norma, alla gravità della condotta e alla non esiguità del danno, prendendo in considerazione anche la condotta susseguente al reato, secondo l’integrazione disposta dall’art. 1, comma 1, lett. c) n. 1, d.lgs. n. 150/2022: la motivazione, pertanto, Ł completa e logica, e non suscettibile di censura da parte del giudice di legittimità.
Non sussiste alcuna contraddizione tra il diniego del proscioglimento ai sensi dell’art. 131bis cod. pen. e la valutazione di minore disvalore del fatto, che ha giustificato la riduzione della pena irrogata dal giudice di primo grado. Il concetto di ‘particolare tenuità del fatto’ Ł diverso dalla generica valutazione della sua maggiore o minore gravità, al punto che questa Corte ha sempre ritenuto compatibile il diniego del proscioglimento per tale causa con il riconoscimento di una attenuante prevista normativamente o delle attenuanti generiche (si vedano Sez. 5, n. 17246 del 19/02/2020, Rv. 279112; Sez. 3, n. 18155 del 16/04/2021, Rv. 281572; Sez. 1, n. 51261 del 07/03/2017, Rv. 2711262; Sez. 6, n. 46255 del 18/10/2016, Rv. 268481). La sentenza impugnata, poi, ha ritenuto che il disvalore del fatto fosse diminuito per lo stato di agitazione indotto nel ricorrente dalla specifica causa scatenante dei messaggi ingiuriosi, cioŁ la perdita di un giorno di riposo a seguito della disposizione di servizio che lo obbligava ad un rientro anticipato, in quanto tale circostanza avrebbe influito sulla sua condotta provocando una reazione istintiva, e perciò occasionale e non meditata. La valutazione di minore gravità del fatto, pertanto, Ł formulata sulla base del criterio stabilito dall’art. 133, comma 2, cod. pen., cioŁ la capacità a delinquere del reo, giudicata di minima entità, criterio che non rientra tra gli elementi di valutazione ai fini dell’applicazione del proscioglimento per la particolare tenuità del fatto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 17/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME