Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16948 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16948 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di: NOME COGNOME nato a Roma il 23/11/1967; avverso la sentenza del 11/09/2024 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte trasmesse a mezzo p.e.c., in data 25/02/2025 dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
La Corte di appello di Trieste, con sentenza emessa in data 11 settembre 2024, ha confermato la sentenza deliberata dal medesimo Tribunale il 28 dicembre 2021, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di insolvenza fraudolenta contestati, avvinti dalla continuazione.
1.1. In particolare, sono contestate al ricorrente le seguenti condotte di reato: delitto di cui agli artt. 81, 641 c.p. perché, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dissimulando lo stato di insolvenza in cui versava la suddetta società, contraeva, per conto della rappresentata società, le seguenti obbligazioni con il proposito di non adempierle; in particolare in data 28 agosto 2018 stipulava un contratto di lavoro dipendente con NOME COGNOME offrendo una retribuzione annuale lorda pari ad euro 107.250, non provvedendo al pagamento dello stipendio dovuto al COGNOME per i mesi di settembre, ottobre, novembre, dicembre 2018 e gennaio 2019 – fatta eccezione per un acconto complessivo di euro 1.500 – nonché degli oneri accessori dovuti (t.f.r. e contributi previdenziali); nella stessa data stipulava un contratto di sponsorizzazione con la RAGIONE_SOCIALE contraendo l’obbligazione di versare la somma complessiva di euro 125.000 (oltre IVA), omettendo di versare l’acconto e il saldo dovuto in seguito all’emissione delle fatture n. 5/18 dd. 21.08.2018 e n. 8/18 dd. 24.09.2018.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, articolando a sostegno dell’impugnazione i seguenti argomenti di censura.
2.1. Il primo motivo di ricorso attiene alla corretta integrazione dell’elemento psicologico dei reati contestati, non potendo ritenersi dimostrato il dolo di insolvenza fraudolenta, atteso che all’agosto del 2018 l’imputato non aveva alcuna certezza dello stato di irreversibile decozione dell’impresa costituita in società di capitali. Nel corso della istruttoria sono stati invero acquisiti elementi assai concreti in senso contrario, non troverebbe infatti alcuna ratio l’assunzione del COGNOME in veste di contabile, reso edotto immediatamente delle condizioni di sofferenza dei bilanci, né la conclusione dei contratti di sponsorizzazione, atteso che -anzi- tali evidenze sarebbero indicative della convinzione dell’imputato di poter risollevare le sorti dell’impresa proprio contando sulla figura del tecnico contabile e sulla ripresa delle vendite assicurata dai contratti di sponsorizzazione.
2.2. Il secondo motivo di ricorso attinge i punti relativi alla irragionevole severità della pena ed al rifiuto di riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato; resta assorbito il secondo.
1.1. L’art. 641 del vigente codice penale punisce chiunque, dissimulando il proprio stato di insolvenza, contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla, qualora l’obbligazione non sia adempiuta. Il delitto di insolvenza fraudolenta, che è una forma di inadempimento volontario e “genetico” della obbligazione, caratterizzato da frode (che porta la condotta civilistica inadempiente nell’alveo della penalità) costuitutiva, consta di due condotte: è necessario che sia contratta un’obbligazione, con il proposito di non adempierla e con una particolare modalità comportamentale, consistente nella dissimulazione del proprio stato di insolvenza; se il contraente dissimulatore adempie l’obbligazione, prima della condanna, il reato si estingue.
Tra questi due comportamenti dell’autore si colloca l’atto di disposizione patrimoniale della vittima, viziato nel consenso dall’inganno determinante dell’agente.
1.2. Orbene, nella fattispecie, l’imputato aveva argomentato l’atto di impugnazione di merito proprio valorizzando il deficit probatorio circa il proposito iniziale di non adempiere le due obbligazioni, atteso che quando le aveva contratte si proponeva l’esatto contrario dell’inadempimento, altrimenti non avrebbe consegnato al contabile tutti gli atti dai quali risultava lo stato di difficolt dell’impresa, col proposito di porvi argine e non avrebbe concluso un contratto di sponsorizzazione (non manifestamente azzardato), che era funzionale proprio a risollevare le sorti della domanda di prodotti della sua azienda. In altri termini, l’appellante faceva rilevare che dall’esame delle prove difettava -con evidenza- il dolo iniziale che caratterizza il tipo e attrae l’inadempimento civilistico verso la penalità (Sez. 2, n. 6847 del 21/01/2015, COGNOME, Rv. 262570-01).
1.3. La Corte territoriale ha invece, nella sinossi della argomentazione posta a sostegno della decisione confermativa, ripetuto gli argomenti del giudice di primo grado, senza confrontarsi criticamente con il nocciolo in diritto dell’atto di impugnazione.
1.3.1. Non è dubbio, infatti, che l’inadempimento si sia realizzato e che lo stato di difficoltà finanziaria dell’impresa preesistesse rispetto al tempo dell’assunzione delle obbligazioni contrattuali; ma il quesito che meritava risposta coerente con l’informazione assorbita dal processo era un altro ed attingeva il tema della prova del dolo iniziale (assumere le obbligazioni con il preciso proposito di non adempierle). Tale argomento di impugnazione è rimasto senza risposta, avendo la Corte, come poco sopra già detto, motivato sul punto in maniera assolutamente tautologica; tanto da rendere la motivazione apparente.
1.3.2. Vero è, infatti, che, come argomentato dalla Corte di merito, l’accertamento del proposito di non adempiere può essere desunto- anche dal
comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione, ma tale indagine non può arrestarsi sulla soglia del mero inadempimento, che in sè considerato offre un
indizio equivoco della esistenza del dolo iniziale (Sez. 2, n. 3499 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.). Nella fattispecie, viceversa, la Corte di merito, che
ha tratto la prova del proposito iniziale da elementi non univoci, avrebbe dovuto approfondire l’analisi “funzionale” dell’oggetto delle due obbligazioni contratte
(assunzione del contabile e contratto di sponsorizzazione), per poi esprimere la propria meditata valutazione sulla eccentricità o meno delle obbligazioni assunte
rispetto al dichiarato scopo dell’imprenditore di rimettere in bonis
l’impresa. L’aver omesso tale esame critico delle evidenze ha reso sin troppo facile il compito
demolitorio di chi ha, con argomenti del tutto logici e coerenti, evidenziato che l’assunzione del contabile poteva apparire funzionale e niente affatto perniciosa
rispetto all’obiettivo di rimettere in ordine la contabilità; così come il contratto di sponsorizzazione di un evento sportivo di rilevanza almeno nazionale, ma
localizzato nel territorio ove insiste l’impresa, poteva sortire effetti favorevoli sul mercato dei potenziali acquirenti.
Gli altri elementi valorizzati nel testo motivazionale sentenza impugnata, tutti successivi alla assunzione delle obbligazioni, sono espressione del successivo inadempimento, ma non offrono di per sé soli la prova della preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza sin dal momento della assunzione delle obbligazioni.
Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Trieste, che dovrà valorizzare gli elementi di prova, diversi dalle condizioni di difficoltà finanziaria dell’impresa e dal successivo inadempimento, dai quali trarre argomento per ritenere sussistente il dolo iniziale, che caratterizza il tipo.
Si è detto in apertura che l’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.
Così deciso il 4 aprile 2025.