Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35253 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35253 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME NOME NOME a URBINO il DATA_NASCITA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME NOME a AUDITORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 28 ottobre 2024 la Corte d’Appello di Ancona, in riforma della sentenza emessa il 22 luglio 2022 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Urbino, con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di insolvenza fraudolenta, assolveva il COGNOME dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato e revocava le statuizioni civili.
Al COGNOME, in particolare, era stato contestato di avere contratto obbligazioni commerciali con la società RAGIONE_SOCIALE, non adempiute per complessivi euro 76.358,00 e rispetto alle quali aveva emesso tre assegni postdatati non onorati, non avendo informato il legale rappresentante della
società, COGNOME NOME, né della imminente cessione dell’azienda, né dello stato di crisi della stessa, in tal modo occultando la reale situazione finanziaria della società debitrice, RAGIONE_SOCIALE, della quale era legale rappresentante.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la parte civile COGNOME, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento ai soli effetti civili e articolando un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva erronea applicazione dell’art. 641 cod. pen. assumendo che nel caso di specie doveva ritenersi sussistente il dolo del reato contestato, avuto riguardo al breve lasso di tempo intercorso fra l’emissione da parte della società creditrice delle fatture relative alle obbligazioni in discorso e la stipula da parte della debitrice di un contratto di affitto di ramo di azienda – ciò che induceva a ritenere che il COGNOME avesse inteso dissimulare il proprio stato di insolvenza, avendo contratto le obbligazioni in parola con il proposito di non adempierle – nonché al silenzio serbato dall’imputato in ordine alle trattative in corso per l’affitto del ramo di azienda, realizzato in epoca anteriore alla scadenza dei suddetti assegni postdatati, e alle rassicurazioni fornite in relazione al fatto che i titoli di credito sarebbero stati pagati.
In data 22 maggio il difensore di COGNOME NOME depositava memoria con la quale chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte civile ricorrente alla rifusione delle spese legali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La Corte d’Appello, con la sentenza di assoluzione qui impugnata, si è confrontata con tutte le argomentazioni illustrate nella sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado, rendendo una motivazione rafforzata, con l’attribuzione, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato contestato, di rilevanza alla risalenza nel tempo dei rapporti commerciali fra la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e al pregresso e ripetuto ricorso da parte della prima ai pagamenti tramite assegni postdatati.
Quanto all’affitto del ramo di azienda, la Corte territoriale ha congruamente osservato che era possibile che l’imputato “attraverso la stipula del ramo d’azienda avesse cercato da un lato, di conservare la funzionalità degli asset aziendali, assicurando la continuità dell’attività d’impresa, e, dall’altro, d garantirsi una entrata finanziaria che potesse consentirgli di onorare i debiti
contratti, fra cui quello con la p.c., come già in passato aveva fatto” (v. pag. 8 del provvedimento impugNOME).
Rispetto a tale ultimo aspetto – la possibilità, con l’affitto del ramo di azienda, di procurarsi la provvista finanziaria necessaria per adempiere alle obbligazioni contratte con la parte civile – il ricorrente nulla ha dedotto con il ricorso.
Si tratta di circostanze, tutte, che la Corte d’Appello ha congruamente ritenuto idonee a fondare il ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato e in particolare in ordine alla sussistenza, già al momento in cui erano state contratte le obbligazioni, in capo all’imputato del proposito di non adempierle.
Per le ragioni esposte deve essere esclusa la dedotta violazione di legge.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condanNOME, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/06/2025