Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8213 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8213 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECOGNOME nato a Santeramo in Colle il 22/12/1967;
avverso la sentenza del 02/05/2024 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata dalla parte civile, rappresentata dall’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata con condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, come da separata nota.
RITENUTO IN FATTO
1.A seguito di annullamento con rinvio pronunziato da questa Corte di Cassazione, Sezione Seconda, in data 8 marzo 2023, la Corte di Appello di Bari, con la sentenza in epigrafe indicata, in riforma dell’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Bari il 19 giugno 2020, ha condannato NOME COGNOME alla pena di quattro mesi di reclusione ed euro 100 di multa per il reato di insolvenza fraudolenta e al risarcimento del danno patito dalla società RAGIONE_SOCIALE costituita parte civile, liquidato in euro 4.000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo il difetto di motivazione, anche nei termini del travisamento della prova, per avere la sentenza impugnata fondato la responsabilità penale di NOME COGNOME su elementi privi di univocità – quali la breve durata sul mercato della ditta del ricorrente, il mancato riferimento della post-datazione del titolo di pagamento e il comportamento successivo all’assunzione dell’obbligazione – senza confrontarsi con le argomentazioni della pronuncia di assoluzione, emessa in primo grado, e della sentenza rescindente della Corte di cassazione, oltre che con la documentazione prodotta dalla difesa.
Peraltro, nonostante il ribaltamento dell’originaria decisione, fondata sul medesimo impianto probatorio, non risulta esservi stata la doverosa motivazione rafforzata secondo i consolidati principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità
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;. La parte civile, nella memoria difensiva depositata, ha smentito la tesi difensiva indicando gli elementi da cui evincere la pianificazione del ricorrente dell’occultamento del proprio stato di decozione (protesto di un assegno di C 21.303,62 emesso poco dopo l’ordine di acquisto; cancellazione della PEC; falsità degli indirizzi delle sedi operative; enorme quantità di merce ordinata rispetto all’attività dichiarata; dichiarazioni dei testimoni) al fine di ottenere la conseg della merce senza corrisponderne il prezzo.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale, le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
2.Va premesso che la Corte di Cassazione, con la sentenza emessa dalla Seconda Sezione, n. 11016 del 22 febbraio 2020, aveva annullato la condanna pronunciata il 10 gennaio 2022 dalla Corte di appello di Bari nei confronti del ricorrente per avere fondato la responsabilità dell’imputato sul mero inadempimento, conseguente all’acquisto di merce con assegni post-datati e non rifiutati dal creditore quale strumento di pagamento del prezzo, non confrontandosi con elementi oggettivi quali: le capacità economiche del debitore, intestatario di vari immobili; il mantenimento della sede della ditta nello stesso luogo indicato nelle fatture; il tentativo di risoluzione bonaria delle pendenze attenuto, così non rispondendo neanche all’obbligo derivante dall’overturning.
3. La sentenza impugnata, con argomenti congrui e rafforzati rispetto a quelli sviluppati con la pronuncia assolutoria del Tribunale di Bari, ha risposto puntualmente ai rilievi della sentenza rescindente evidenziando come la responsabilità di COGNOME non poggiasse affatto sul mero inadempimento contrattuale, bensì su una serie di elementi indiziari, convergenti ed univoci, risultanti dal contenuto della querela, acquisita con l’accordo delle parti dal Giudice di primo grado che, però, aveva trascurato di esaminarne il contenuto.
Con argomenti non illogici, solo genericamente contrastati dal ricorso, la Corte di merito ha dato conto della dissimulazione dello stato di insolvenza di COGNOME valorizzando i seguenti elementi di fatto: a) il breve periodo di operatività della ditta (avviata due mesi prima dell’ordine della merce e cessata sei mesi dopo), utile all’incameramento del notevole quantitativo di beni oggetto di contestazione; b) la nota inviata al fornitore in cui risultava che il pagamento della merce dovesse avvenire al ritiro e non si menzionava la postdatazione dell’assegno, così da escludersi la consapevolezza del creditore circa le modalità di adempimento; c) la condotta post-delictum dell’imputato che nonostante i ripetuti tentativi del fornitore di ottenere chiarimenti non aveva dimostrato una concreta volontà di risolvere bonariamente le pendenze.
La sentenza impugnata, infine, ha escluso valore dirimente alla titolarità di immobili da parte di COGNOME richiamando la nozione di insolvenza nei termini elaborati dalla normale prassi imposta dal rapporto e consistente nell’impossibilità di adempiere.
Il ragionamento del giudice di merito, non inficiato da manifeste illogicità o dall’asserito travisamento della prova, risulta coerente con il principio giurisprudenziale secondo cui la dimostrazione dell’insolvenza fraudolenta può
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essere desunta anche da comportamenti successivi all’inadempimento, purché questi siano univocamente indicativi della volontà di dissimulare lo stato di insolvenza (Sez. 5, n. 30718 del 18/06/2021, Rv. 281868-01), come avvenuto nella specie.
Dagli argomenti che precedono consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita, RAGIONE_SOCIALE che si liquidano in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e di difesa sostenute nel presente giudizio della parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
Presidente
Così deciso il 24 gennaio 2025
La Consigliera estensora
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