Inottemperanza Ordine Questore: la Tempistica della Giusta Causa è Decisiva
L’inottemperanza ordine questore a lasciare il territorio nazionale è un reato che presenta diverse sfaccettature. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: una causa di giustificazione, per essere valida, deve esistere nel momento in cui l’ordine deve essere eseguito, non può sorgere in un momento successivo. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un cittadino straniero veniva condannato dal Giudice di Pace di Forlì al pagamento di 1000 euro di multa per non aver ottemperato all’ordine del Questore di lasciare il territorio italiano. Contro questa sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore.
L’argomento principale della difesa si basava sul fatto che l’imputato era sottoposto a una misura cautelare, nello specifico l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Secondo il ricorrente, tale misura costituiva un impedimento legale all’espulsione, poiché non era stato concesso il necessario nulla osta da parte dell’autorità giudiziaria. Di conseguenza, la sua permanenza sul territorio non era volontaria ma imposta da un altro provvedimento giudiziario.
La Decisione della Cassazione sull’inottemperanza ordine questore
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La decisione non entra nel merito della validità della misura cautelare come giusta causa in astratto, ma si concentra su un elemento fattuale decisivo: la tempistica.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Il cuore della motivazione risiede nella discrepanza temporale tra la commissione del reato e l’applicazione della misura cautelare. La Corte ha evidenziato che:
1. Data del Reato: Il reato di inottemperanza ordine questore si è perfezionato il 21 marzo 2023, data in cui il soggetto avrebbe dovuto lasciare l’Italia e non lo ha fatto.
2. Data della Misura Cautelare: La misura cautelare che, secondo la difesa, avrebbe impedito l’allontanamento, è stata applicata solo a partire dal 30 agosto 2023, ovvero oltre cinque mesi dopo la commissione del reato.
Di conseguenza, al momento della violazione dell’ordine del Questore, non esisteva alcun impedimento legale che potesse giustificare la permanenza dell’imputato in Italia. La ‘giusta causa’ invocata dalla difesa era, in quel momento, inesistente. Non è possibile, quindi, invocare retroattivamente una circostanza impeditiva sorta mesi dopo per giustificare un comportamento illecito già perfezionatosi.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche
La pronuncia ribadisce un principio giuridico fondamentale: la valutazione della condotta illecita deve essere fatta con riferimento al momento esatto in cui essa viene posta in essere. Le cause di giustificazione devono essere contemporanee all’azione (o all’omissione). Un evento successivo non può ‘sanare’ un reato già commesso.
Inoltre, la declaratoria di inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare la somma di 3000 euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione ulteriore viene applicata quando il ricorso è palesemente infondato, come nel caso di specie, evidenziando la necessità di proporre impugnazioni basate su motivi solidi e pertinenti.
Una misura cautelare può giustificare la mancata ottemperanza a un ordine di espulsione?
Sì, in linea di principio una misura cautelare che impone la permanenza sul territorio (come l’obbligo di firma) può costituire una ‘giusta causa’ per non rispettare l’ordine del Questore. Tuttavia, come chiarito dalla sentenza, tale misura deve essere già in vigore nel momento in cui scade il termine per lasciare il Paese.
Qual è stato l’elemento decisivo per la Corte nel dichiarare il ricorso inammissibile?
L’elemento cruciale è stato il fattore temporale. La Corte ha verificato che il reato di inottemperanza si era consumato il 21 marzo 2023, mentre la misura cautelare invocata come giustificazione è stata applicata solo a partire dal 30 agosto 2023. Al momento del reato, quindi, non esisteva alcun impedimento legale.
Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso palesemente infondato?
Oltre alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, la legge prevede che, in caso di inammissibilità del ricorso dovuta a colpa del ricorrente, quest’ultimo sia condannato a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata quantificata in 3000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45913 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45913 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 05/01/1979
avverso la sentenza del 03/04/2024 del GIUDICE COGNOME di FORLI’
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice di pace di Forlì, con sentenza del 3 aprile 2024 condannava NOME COGNOME alla pena 1000 euro di multa per il reato di inottemperanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio italiano.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso l’imputato tramite il difensore, lamentando erronea applicazione degli artt. 14 co. 5 ter e 13 co. 3 D.Lgs. 286/1998.
In particolare, faceva presente come il giudice di primo grado fosse incorso in errore poiché l’imputato era sottoposto alla misura cautelare della presentazione alla PG e non gli era stato accordato dall’autorità giudiziaria il nulla osta all’espulsione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Nessuna violazione di legge si è verificata, poiché, come emerge dagli allegati al ricorso, il reato è stato posto in essere il 21 marzo 2023, laddove la misura che avrebbe fatto scattare la preclusione e, dunque, la giusta causa di inottemperanza dell’ordine, è stata applicata a partire dal 30 agosto 2023.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2024