Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44343 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44343 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato il 04/05/1964 a Mirandola; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 14/07/2023 della Corte di Appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria scritta del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore delle parti civili NOME COGNOME ha chi il rigetto del ricorso e depositato conclusioni, e NOME COGNOME ch depositato nota spese e conclusioni cui si è riportato; udite le conclusioni del difensore dell’imputato, avv.to COGNOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bolog confermava la sentenza del tribunale di Bologna con cui COGNOME NOME era stato condannato in relazione al reato ex art. 255 comma 3 del Dlgs. 152/06.
Avverso la predetta sentenza COGNOME LucaCOGNOME mediante il proprio difensore propone ricorso deducendo quattro motivi di impugnazione.
Rappresenta, con il primo, vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen. atteso che la notifica del decreto di citazione dell’imputato sa avvenuta a mezzo posta con avviso di deposito inserito nella buca delle letter senza raccomandata con avviso di ricevimento che informasse dell’avvenuto deposito dell’avviso. Si aggiunge che il plico contenente il decreto di cita sarebbe stato prelevato presso l’ufficio postale da persona diversa dall’imput Si osserva, quanto all’accertato avvenuto prelievo in ufficio postale del contenente il decreto, che emergerebbe una firma illegibile, rilasciata da recuperò l’atto, rilevante in presenza di più possibili destinatari, così c ricorrerebbe la necessità, per l’imputato, di proporre querela di falso, in as di certa attribuzione allo stesso della predetta firma, e quindi la possibilità consegna a soggetto diverso dal ricorrente inciderebbe negativamente sull conoscenza legale del decreto da parte dell’imputato. Si aggiunge, altresì rilevanza delle deduzioni difensive del mancato deposito agli atti della pr dell’avvenuto invio al ricorrente della seconda raccomandata successiv all’avvenuto inserimento nella buca delle lettere dell’avviso di deposito dell da notificare presso l’ufficio postale. Atto ritirato da persona di dall’imputato per cui, in assenza anche della predetta raccomandata, non potrebbe ascrivere allo stesso alcuna conoscenza.
Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato, atteso che l’ordinanza sin in contestazione non riporterebbe i contenuti tipici del reato, quali l’ord rimozione GLYPH dei rifiuti, di smaltimento degli stessi e di ripristino dei lu Sarebbe altresì carente o illogica o contraddittoria la motivazione, laddov afferma la ritenuta tipicità, rispetto alla fattispecie contestata, del co della ordinanza sindacale in contestazione, posto che se il ricorrente av ottemperato alle prescrizioni ivi contenute, diverse dalla rimozione dei rif avrebbe ottemperato alla ordinanza stessa. Si aggiunge che sarebbero ostati alla configurazione del reato la circostanza per cui la ordinanza sarebbe s notificata alla società fallita RAGIONE_SOCIALE per la quale, all’epoca della n la rappresentanza spettava al curatore fallimentare, e vi sarebbe anche nul /inesistenza della notifica. Prima di tale notifica poi, non si sarebbe proc alla riconsegna dell’area da parte del Comune al ricorrente per motivi analogh quelli sopra citati, quanto all’intervenuto fallimento della società. Cos mancherebbe la premessa per l’operatività della ordinanza in contestazione quale la avvenuta previa riconsegna dell’area all’imputato. E lo stesso, in quadro complessivo, non sarebbe stato neppure legittimato a impugnare la ordinanza in contestazione. La corte non si sarebbe confrontata con le deduzion
sopra sintetizzate riguardanti la citata ordinanza 33/2017 di cui contestazione indirizzata alla società fallita. Inoltre, diversamente da q sostenuto in sentenza, non si sarebbe avuto alcun accertamento circa responsabilità del ricorrente in ordine al deposito dei rifiuti da rimuo essendosi al riguardo dichiarata la prescrizione del reato a lui attribui aggiunge l’impossibilità, altresì, di configurare i fatti ai sensi dell’art. pen., non emergendo una ordinanza contingibile ed urgente.
Con il terzo motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. d) ed e) cod proc. pen., per eccessività della pena, diniego delle generiche e d sospensione condizionale della pena, deducendo la mancata valutazione ex art. 133 cod. pen. degli elementi favorevoli all’imputato; si contesta, altre esclusione delle attenuanti generiche in ragione della assenza dell’imputato, deducono comportamenti positivi e rilevanti ai fini in esame da parte d ricorrente, quanto anche all’affidamento di incarichi per la bonifica e alla m in sicurezza dei fanghi e ad altre sue positive iniziative in ordine ai ri questione, e si osserva come il ricorrente abbia sempre escluso s responsabilità penali in tema di traffico illecito di rifiuti. Si contesta valorizzazione di vicende giudiziarie mai sfociate in sentenze di condanna. E presunta illecita gestione dei rifiuti in questione risalirebbe al 2000.
Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 539 cod. proc. pen., ordine alla riconosciuta provvisionale immediatamente esecutiva a favore dell parti civili, con assenza di prova del danno diretto diverso da quello ambient Mancherebbe ogni valutazione di tipo quantitativo in ordine alla prova dei dan per cui è stata concessa la provvisionale, e lo stesso giudice avrebbe esclus prova dei danni lamentati dalle parti civili. Né è allegato alcun dann immagine. Né le spese di esproprio sarebbero collegabili alla inottemperanza all ordinanza di messa in sicurezza che non contiene ordini di bonifica
Motivi nuovi sono stati proposti dal difensore dell’imputato, avv COGNOME oltre che con riferimento al rispetto dei termini, ridotti, fissazione della udienza dinnanzi a questa Corte per la data del 19.3.2024, ragione del quale la stessa udienza è stata rifissata, anche con riguardo dedotta mancata regolare notifica all’imputato del decreto di citazione pe giudizio di appello, evidenziandosi al riguardo oltre alla violazione delle norm diritto interno come anche riportate in rubrica con riferimento agli artt. 171 proc. pen., 7 e 8 della legge n. 890/1982 e 178 lett. c) cod. proc. pen., dell’art. 6 della Convenzione Edu, ed altresì osservandosi come il riconosciment della sussistenza del reato contestato attraverso la considerazione d
conformità alla fattispecie penale della ordinanza come descritta e analizzata ricorso darebbe luogo alla violazione dell’art. 7 della citata convenzione, sic frutto di una applicazione della legge penale in malam partem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, si dà atto che essendosi ritenute fondate le deduzio proposte con riferimento alla intervenuta violazione dei termini di fissazione d udienza del 19 marzo 2024 dinnanzi a questa Corte, è stato disposto rinvio al udienza del 10.7.2024 con successivo ulteriore rinvio poi, per adesione del difesa alla proclamata astensione dalle udienze da parte del competente organ dell’avvocatura, a quella odierna.
1 bis. Il primo motivo è manifestamente infondato. I giudici hanno evidenziato come, al di là della questione inerente la dimostrazione dell’effettivo in ricezione della raccomandata recante l’avviso dell’inserimento dell’avviso deposito nella buca delle lettere dell’interessato, risulta l’intervenuta e consegna, da parte dell’ufficio postale, del plico contenente il decreto di cit in favore di soggetto a ciò legittimato, autore di una firma appost corrispondenza della dicitura “firma del destinatario o di un suo delegato”. S base di tale inoppugnabile e incontestata circostanza, hanno quin coerentemente osservato come tale firma deve ritenersi apposta secondo procedura disciplinata per legge, in presenza dell’impiegato postale addetto a relativa verifica anche con riferimento ai presupposti legittimanti la stessa, che l’unica alternativa alla ricezione diretta del plico in questione da pa destinatario, quale la ricezione dello stesso da parte del suo delegato se presso l’ufficio postale, porta alla dirimente conclusione dell’avvenuta rego notifica perfezionatasi non per avvenuta giacenza ma per raggiungimento formale e sostanziale del suo scopo. Laddove pure è corretta la osservazione p cui, l’attestazione dell’ufficio postale in ordine alla avvenuta consegna ad un due soggettì legittimati (destinatario o suo delegato) fa fede fino a quere falso, non intervenuta, e rispetto alla quale non appare pertinente la deduzi della difesa circa la non legittimazione del ricorrente a proporla, stante l corrispondenza con la sua della firma apposta dal soggetto ricevente, atteso c in tal caso la querela di falso attiene alla attestazione del pubblico ufficia la avvenuta consegna a uno dei due soggetti legittimati ( di cui il seco comunque delegato del primo, ovvero il destinatario dell’atto), produttiva effetti, in ogni caso, nei confronti del ricorrente, quale appunto destinata quindi tale da poter ben legittimare e giustificare una sua eventuale proposizi di querela di falso, mai presentata. Va precisato in proposito che in tem Corte di Cassazione – copia non ufficiale
titolarità del diritto di querela, e dunque di individuazione della persona offesa, cui tale diritto compete, deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell’interesse penalmente protetto. Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto (Sez. 2 – , n. 55945 del 20/07/2018 Rv. 274255 – 01;Sez. 2, n. 2862 del 27/01/1999 Rv. 212766 – 01). Orbene, se è vero che solo la persona offesa è titolare del diritto di querela, mentre il danneggiato è legittimato ad esercitare l’azione civile nel processo penale, poiché il falso ideologico che nella prospettiva del ricorrente emergerebbe in tal caso, produce, come detto, effetti in danno anche del soggetto interessato all’atto ancorchè – eventualmente – non autore di quanto ivi attestato dal pubblico ufficiale ( la apposizione di firma dal delegato a ciò legittimato), ne deriva che persona offesa da tale reato non è solo il titolare dell’interesse all’autenticità della scrittura al momento della sua apposizione e attestazione come tale, quale è il titolare della firma eventualmente falsificata, ma anche chi, pur non essendo l’autore apparente del documento, risulta titolare di un interesse che riceve pregiudizio attraverso l’uso del documento medesimo ( cfr. in tal senso seppure in relazione all’art. 485 cod. pen. Sez. 2, n. 4153 del 20/02/1987 Rv. 175565 – 01).
2. Quanto al secondo motivo, va premesso che ai sensi dell’art. 192 del Dlgs. 152/06, “fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato de luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o persona godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Ai sensi, inoltre, dell’art. 255 del Dlgs. 152/06 “chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3”.
Dalla lettura combinata delle due citate disposizioni, emerge il presuppost ineludibile, della ordinanza qui in contestazione, che attiene all’obbligo, p violi i divieti di cui ai commi 1 e 2, di procedere, alternativamente a seconda casi, alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari reali o personali di godimento sull’area. E’ rispetto a tale presupposto ch quindi definito il contenuto tipico della ordinanza stessa, consistente disposizione, da parte del Sindaco, delle operazioni a tal fine necessarie.
Tale impostazione ermeneutica appare individuata e ben illustrata nella sentenz in esame, nella quale i giudici hanno evidenziato come con, la citata ordinanza siano fissate operazioni prodromiche alla rimozione e smaltimento di rifiuti ripristino dello stato dei luoghi, tanto da citare,congruamente passaggi descri in termini di ripristino di situazioni anteriori e di predisposizione di un pr definitivo per lo smaltimento “dell’inquinante con riduzione del rischio ambienta oltre alla effettuazione di ulteriori interventi di manutenzione per ev qualsiasi danneggiamento”. Così evidenziando – con motivazione estranea a qualunque vizio di manifesta illogicità – la fissazione di oneri di ripristino con redazione di un progetto per la successiva rimozione di rifiuti congruamente aggiungendo che la complessità dell’operazione, nel caso concreto richiedente anche un costante controllo pubblico, non riduceva l’iniziat comunale ad una semplice operazione di intimazione di rimozione e smaltimento, ma anche imponeva la predisposizione di un più complesso piano che comunque non appare ostativo al senso tipico dell’atto sindacale.
Va a questo punto aggiunto, per completezza, posta la coerenza emergente dalla motivazione anche con le disposizioni normative di riferimento prima citate e ch non appaiono violate, che non costituisce violazione di legge deducibile co ricorso per cassazione l’erronea interpretazione di un atto amministrativo, che quanto relativa ad atti privi di carattere normativo, rientra nella valutazion fatto. (Sez. 3 – n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 – 01).
Quanto alla censura per cui sarebbero ostativi alla configurazione del reato circostanza per cui la ordinanza sarebbe stata notificata alla società RAGIONE_SOCIALE, per la quale all’epoca della notifica la rappresentanza spettav curatore fallimentare, e vi sarebbe anche nullità /inesistenza della notifica sintetizzato nel “ritenuto in fatto” di questa sentenza, emerge una deduzio manifestamente inammissibile, che non si misura con la puntuale risposta dell corte che, senza contestazioni sul punto, ha illustrato la corretta olt avvenuta destinazione dell’atto al ricorrente, rappresentando come, con decret del 2011, vi fosse stata, nel quadro della avviata procedura fallimentare confronti della RAGIONE_SOCIALE, la decisione su una istanza di derelizio bene facente parte dell’attivo fallimentare, con restituzione dell’area occupat
rifiuti in parola nella disponibilità della società fallita in persona de rappresentante pro tempore COGNOME NOME; così che al momento della qui contestata ordinanza del 2017 l’area era nella disponibilità del ricorre legittimamente l’ordinanza risultava indirizzata alla RAGIONE_SOCIALE in per del ricorrente quale legale rappresentante.
Quanto alla doglianza per cui, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, non si sarebbe avuto alcun accertamento circa la responsabilità del ricorrente ordine al deposito dei rifiuti da rimuovere, essendosi al riguardo dichiarat prescrizione del reato attribuito al ricorrente, è sufficiente precisare, trat di questione giuridica, che innanzitutto il reato di cui al D.Lgs. n. 22 del art. 255 comma 3 trova il suo antecedente nell’art. 50, comma 2, del Dlgs. n. del 1997. Vale quindi per tali coincidenti ipotesi normative il consolid orientamento per cui gli elementi essenziali della fattispecie penale s l’esistenza di un’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, emessa ex ar comma 3 del Dlgs. 22/97 ( attualmente 192 comma 3 del Dlgs. 152/06) e la condotta di inottemperanza da parte dei destinatari dell’ordinanza stes Trattasi perciò – nonostante l’apparenza contraria indotta dal riferime lessicale a “chiunque” – di un reato proprio, che può essere commesso solo da destinatari formali dell’ordinanza (Sez. 3, n. 31291 del 07/05/2019 Rv. 276301 01).
In altri termini, il divieto penale di cui all’art. 255 comma 3 del Dlgs. 152/0 passato art. 50, comma 2, del Dlgs. 22/1997) è rivolto propriamente non già a responsabili o ai proprietari menzionati nella norma a monte ( art. 192 ovve art. 14 prima citati), sibbene, a “chiunque non ottempera all’ordinanza sindaco” che intima agli obbligati di procedere alla rimozione dei rifiut precetto quindi, di cui all’art. 14, comma 3, o 192 comma 3 del Dlgs. 152/06, rivolto ai responsabili dell’abbandono di rifiuti e ai proprietari del inquinato; mentre il precetto dell’art. 50, comma 2, attualmente 255 comma 3 del Dlgs. 152/06 è rivolto ai destinatari formali dell’ordinanza sindacale. Que Corte ha espressamente infatti precisato che in tema di smaltimento di rifiu l’obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell’abbandono, qua conseguenza della sua condotta; sia nei confronti degli obbligati in soli quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa; sia nei confronti destinatari dell’ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto t e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze, non hanno provveduto ad impugnare il provvedimento per ottenerne l’annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi p l’eventuale disapplicazione. (Sez.’3, n. 39430 del 12/06/2018 Rv. 273840 – 01 In coerenza con questa impostazione, che consente di rinvenire la manifesta infondatezza anche giuridica degli argomenti spesi in ricorso per propugnare una
tesi di assoluta estraneità del ricorrente rispetto ai rifiuti, è stato anch evidenziato che in tema di smaltimento dei rifiuti, integra il reato omissivo punito dall’art. 255, comma terzo, del D. Lgs. n. 152 del 2006, la mancata ottemperanza dell’ordinanza sindacale emanata ai sensi dell’art. 192, comma terzo, del decreto medesimo, con la quale si intima, al proprietario (o possessore) dell’area ove risulta giacente un deposito incontrollato di rifiuti, la rimozione degli stessi, senza che possa avere rilevanza il fatto che l’accumulo dei rifiuti non sia ascrivibile al comportamento del destinatario dell’intimazione o risalga a tempi antecedenti l’acquisto dell’immobile stesso (Sez. 3, n. 12462 del 17/02/2016 Rv. 266436 – 01.). Peraltro, giova anche ribadire che il reato di inottemperanza all’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, previsto dall’art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile anche nel caso in cui la condotta di abbandono, presupposto del provvedimento violato, abbia natura di illecito amministrativo, ben potendo identificarsi il responsabile in un privato cittadino che abbia abbandonato o depositato rifiuti (Sez. 3 – , n. 2199 del 19/11/2019 (dep. 21/01/2020 ) Rv. 277646 – 01). Spetta quindi a costoro, per evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza, di ottenere l’annullamento dell’ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale, o – al limite – di provare in sede penale di non essere proprietari ovvero responsabili del terreno ne’ responsabili dell’abbandono, al fine di ottenere dal giudice penale il riconoscimento della mancanza dei presupposti soggettivi. Mentre onere dell’organo dell’accusa è solo quello di provare, da una parte, l’esistenza dell’ordinanza sindacale (assistita da presunzione di legittimità), e dall’altra, l’inottemperanza da parte dei suoi destinatari: che sono appunto gli elementi essenziali del reato qui in esame (cfr. in tal senso e in motivazione Sez. 3, n. 18366 del 2008 del 11 3 2008 Rapuano non massimata). E del resto, oltre a non emergere un preciso e specifico motivo diretto ad escludere ogni responsabilità dell’imputato nei termini sopra accennati, appare, piuttosto, incontestato, il richiamo in sentenza alla prima decisione descrittiva di un lungo iter temporale che aveva interessato l’area della società del ricorrente in ordine allo stoccaggio abusivo di rifiuti, con costante mancata assunzione di iniziative adeguate da parte dello stesso ricorrente per procedere alla loro rimozione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nessun rilievo in tale quadro, infine, assumono le considerazioni in tema di art. 650 cod. pen.
Manifestamente infondato è il terzo motivo: a fronte di una articolata motivazione riguardante tanto il complessivo trattamento sanzionatorio che le ragioni della impossibilità di applicare le attenuanti generiche e il beneficio della sospensione condizionale della pena. Si tratta di un quadro che, in sintesi, lungi dall’attribuire responsabilità penali non accertate, descrive condotte del
ricorrente dimostrative di una sua costante condotta, produttiva di situazi ingravescenti quanto allo stato dei rifiuti, con conseguente assenza di ogni buo fede nella assunzione (omessa) di valide iniziative per ovviare alla pericol situazione, ragionevolmente incidente anche in ordine al diniego delle attenuan generiche e per la prognosi negativa, come spiegata in sentenza, del benefici della sospensione condizionale della pena. Così che i rilievi difensivi, oltre risultare frutto di un puntuale confronto e confutazione delle considerazioni giudici, appaiono meramente rivalutativi di dati, senza che tale impostazio possa trovare spazio, come noto, in sede di legittimità.
4. Inammissibile appare anche l’ultimo motivo. La Corte, anche richiamando l’articolata sentenza di primo grado sul punto, ha spiega puntualmente le ragioni di un danno circoscritto alle conseguenze patite dal Regione e dal Comune per la mancata ottemperanza alla ordinanza sindacale, escludendone la natura ‘di danno ambientale anche evidenziando come i reati ambientali possano incidere negativamente su altri interessi pubblici come quell comunale alla corretta gestione del territorio. Ed ha altresì spiegato i rinv ammontari in ragione oltre che del danno all’immagine anche delle spese conseguenti a procedure di esproprio correlate alla mancata rimozione. Rispetto a tale motivazione i rilievi difensivi oltre che generici appaiono meramen rivalutativi e come tali inammissibili. Deve peraltro aggiungersi che rispetto vicenda in esame, che appare particolarmente rilevante in ordine ai rifiut lungo lasciati in loco, con chiara quanto prevedibile incidenza anche su be diversi da quello strettamente ambientale, anche alla luce della vigente discipl che prevede interventi sostitutivi degli enti pubblici, deve trovare applicazion principio per cui, in tema di provvisionale, la determinazione della somm assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbli di espressa motivazione nel caso in cui l’importo rientri nell’ambito del da prevedibile. (Sez. 2 – , n. 904 del 05/12/2023 (dep. 10/01/2024 ) Rv. 285723 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere pe il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le s procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione del causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la som determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa de Ammende. Deve altresì condannarsi l’imputato alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi euro 3700 per ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3700 per ciascuna di esse, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 10.07.2024.