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Ingiusto profitto rapina: anche morale o sentimentale

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando che per il reato di rapina non è necessario un movente economico. L’ingiusto profitto rapina può consistere anche in un vantaggio morale o sentimentale. La Corte ha stabilito che l’uso della violenza per impossessarsi di un cellulare integra il reato di rapina, respingendo la tesi difensiva che tentava di scindere la condotta in due reati minori.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ingiusto Profitto nella Rapina: Non Solo Denaro, ma Anche Vantaggio Morale

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sul concetto di ingiusto profitto rapina, un elemento essenziale per la configurazione di tale reato. Contrariamente a un’interpretazione restrittiva, la Suprema Corte ribadisce un principio consolidato: il profitto non deve necessariamente avere natura materiale o economica. Anche un vantaggio morale, sentimentale o di altra natura può essere sufficiente a integrare la fattispecie criminosa. Questo principio è stato applicato a un caso di sottrazione violenta di un telefono cellulare, dove la difesa aveva tentato di escludere il reato di rapina proprio per l’assenza di un movente di lucro.

I Fatti di Causa: la Sottrazione Violenta di un Cellulare

La vicenda processuale ha origine dalla decisione della Corte d’Appello che aveva condannato un’imputata per il reato di rapina. L’imputata si era impossessata del telefono cellulare di un’altra persona utilizzando la violenza. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata qualificazione giuridica dei fatti.

Secondo la tesi difensiva, la condotta non configurava un unico reato di rapina, bensì due reati distinti e meno gravi: l’appropriazione indebita del telefono e le lesioni personali inferte alla vittima. Il punto centrale dell’argomentazione era l’assenza di un fine di lucro, ritenuto indispensabile per poter parlare di rapina.

L’Analisi della Corte: la Natura dell’Ingiusto Profitto nella Rapina

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e privo di specificità. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per riaffermare i principi cardine che definiscono il reato di rapina, con particolare attenzione all’elemento soggettivo e alla nozione di profitto. La Corte ha chiarito che l’ingiusto profitto rapina non deve essere limitato a un’utilità prettamente economica.

Un Concetto Ampio di Profitto

Citando una vasta giurisprudenza, inclusa una pronuncia delle Sezioni Unite, la Cassazione ha specificato che il profitto può consistere in qualsiasi vantaggio, anche di natura morale o sentimentale, che l’agente si ripropone di conseguire. Può trattarsi, ad esempio, del desiderio di ledere la vittima, di soddisfare un rancore o di ottenere un qualsiasi tipo di utilità non patrimoniale. Ciò che conta è che l’impossessamento della cosa mobile altrui, mediante violenza o minaccia, sia finalizzato a procurare a sé o ad altri un profitto, appunto, ingiusto.

Il Dolo Concomitante o Sopravvenuto

Un altro aspetto cruciale affrontato dalla Corte è quello del dolo. L’elemento psicologico del reato di rapina non richiede che la violenza sia premeditata fin dall’inizio allo scopo di sottrarre il bene. Il dolo può essere “concomitante” o “sopravvenuto”, ovvero l’intenzione di impossessarsi della cosa può sorgere nel corso dell’azione violenta. Questo significa che anche se la violenza è iniziata per altri motivi, se durante l’aggressione l’agente decide di approfittarne per sottrarre un bene, si configura comunque il reato di rapina.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente applicato l’art. 628, primo comma, del codice penale. Le motivazioni della decisione impugnata avevano ampiamente spiegato perché la condotta dell’imputata, che si era impossessata del telefono con la violenza, integrasse pienamente il reato di rapina. La ricostruzione dei fatti non lasciava spazio a dubbi: l’impossessamento era avvenuto tramite una condotta violenta contro la persona offesa.

La tesi difensiva, che proponeva di scindere l’azione in due condotte separate (appropriazione e lesioni), è stata liquidata come una mera ricostruzione fattuale alternativa. Tale valutazione, hanno ricordato i giudici, non è ammissibile in sede di legittimità, dove la Corte non può riesaminare i fatti ma solo la corretta applicazione della legge. La ricostruzione difensiva era, inoltre, “disancorata dalle emergenze fattuali” che dimostravano un nesso inscindibile tra la violenza e l’impossessamento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un’interpretazione estensiva del reato di rapina, con importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, essa chiarisce che per essere accusati di rapina non è necessario agire per un guadagno economico diretto. Qualsiasi vantaggio ingiusto, anche di natura non patrimoniale, è sufficiente. In secondo luogo, sottolinea l’indivisibilità della condotta violenta finalizzata all’impossessamento: non è possibile “smontare” artificiosamente l’azione in reati meno gravi quando violenza e sottrazione sono contestuali e legate da un nesso funzionale. La decisione finale è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Per configurare il reato di rapina, il profitto deve essere necessariamente economico?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’ingiusto profitto non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale. Può consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l’agente si prefigge di conseguire con la sua azione.

La violenza o la minaccia devono essere pianificate fin dall’inizio per impossessarsi di un bene?
No, non è necessario. L’elemento psicologico del reato di rapina può essere integrato anche dal cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, ovvero l’intenzione di sottrarre il bene può sorgere anche nel corso dell’azione violenta, senza essere stata pianificata sin dal primo momento.

È possibile dividere un’azione di sottrazione violenta in due reati distinti, come appropriazione indebita e lesioni?
No, secondo la Corte, la scissione della condotta in due reati separati rappresenta una ricostruzione fattuale difensiva che non è scrutinabile in sede di legittimità, specialmente quando le emergenze processuali dimostrano che l’imputato si è impossessato di un bene altrui esercitando violenza sulla persona offesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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