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Ingiusto profitto nella rapina: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per rapina di un imputato che aveva sottratto un telefono alla vittima non per un guadagno economico, ma per impedirle di chiamare aiuto. La sentenza stabilisce che l’ingiusto profitto, elemento costitutivo del reato, può consistere anche in un vantaggio non patrimoniale, respingendo così il ricorso dell’imputato e consolidando un importante principio giuridico.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ingiusto profitto non patrimoniale: rubare un telefono per non far chiamare la polizia è rapina

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10398 del 2024, ha affrontato un caso di rapina chiarendo un aspetto fondamentale del reato: la nozione di ingiusto profitto. Questa decisione è cruciale perché conferma che, per integrare il delitto di rapina, non è necessario un arricchimento economico; è sufficiente ottenere un qualsiasi vantaggio, anche quello di impedire alla vittima di chiamare aiuto. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Processo: Dalla Condanna in Appello al Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una pronuncia di condanna emessa dalla Corte di appello di Milano nei confronti di due individui per reati di minaccia, rapina aggravata ed estorsione. Uno degli imputati, in particolare, era stato condannato per aver sottratto con violenza il telefono cellulare alla persona offesa.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo principalmente due tesi difensive:
1. L’assenza dell’ingiusto profitto, elemento essenziale del reato di rapina, poiché il telefono era stato preso non per trarne un vantaggio economico, ma al solo scopo di impedire alla vittima di allertare le forze dell’ordine e di salvaguardare la propria incolumità.
2. In subordine, la riqualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostenendo che l’azione era scaturita da una precedente sottrazione del suo portafoglio da parte della vittima.

La nozione di ingiusto profitto secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione chiara e precisa sulla nozione di ingiusto profitto. I giudici hanno stabilito che l’impossessamento del cellulare, anche se finalizzato a scongiurare una richiesta di soccorso, integra pienamente la fattispecie della rapina (art. 628 c.p.).

Il punto centrale della decisione è che l’elemento dell’ingiusto profitto non deve essere necessariamente di natura patrimoniale. Può consistere in qualsiasi vantaggio, utilità o piacere, anche di natura morale o psicologica, che l’agente si ripromette di ottenere dalla sua azione. Impedire alla vittima di chiedere aiuto costituisce un vantaggio tangibile per l’aggressore, consentendogli di garantirsi l’impunità o di proseguire nell’azione criminosa.

Irrilevanza della Durata del Possesso e Inapplicabilità dello Stato di Necessità

La Corte ha inoltre precisato altri due aspetti importanti:
* La durata del possesso: È irrilevante che il dominio sulla cosa sottratta sia stato di breve durata. Il reato si consuma nel momento stesso in cui avviene l’impossessamento, a prescindere da quanto tempo l’oggetto rimanga nella disponibilità del reo.
* Lo stato di necessità: L’imputato non poteva invocare lo stato di necessità (art. 54 c.p.), poiché questa scriminante è incompatibile con situazioni di pericolo che sono state volontariamente create dallo stesso soggetto che commette il reato.

Anche il ricorso del coimputato, basato su presunti vizi procedurali e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, è stato dichiarato inammissibile, in quanto ritenuto un tentativo di rimettere in discussione il merito della valutazione probatoria già compiuta nei gradi precedenti.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale consolidato che interpreta in senso ampio il concetto di profitto nel contesto dei reati contro il patrimonio. I giudici hanno ribadito che la condotta di rapina relativa al telefono era autonoma e distinta rispetto al dissidio per la presunta sottrazione del portafoglio. La violenza e le minacce esercitate erano finalizzate specificamente all’impossessamento del cellulare. L’obiettivo di impedire una chiamata di aiuto, anziché escludere il dolo di rapina, ne rafforza l’elemento soggettivo, dimostrando la volontà di trarre un vantaggio, seppur non economico, dall’azione violenta. La sentenza chiarisce che la tutela offerta dall’art. 628 c.p. non si limita al patrimonio in senso stretto, ma si estende alla libertà e alla sicurezza della persona, che vengono lese quando la vittima è privata di un bene essenziale come un telefono per garantirsi l’impunità.

Le conclusioni

La sentenza n. 10398/2024 ha importanti implicazioni pratiche. Conferma che il reato di rapina può configurarsi anche quando lo scopo dell’agente non è l’arricchimento. Qualsiasi azione violenta o minacciosa finalizzata a sottrarre un bene per ottenere un vantaggio ingiusto, compreso quello di evitare l’intervento delle autorità, rientra a pieno titolo nella fattispecie della rapina. Questa interpretazione estensiva rafforza la tutela delle vittime e serve da monito sul fatto che la sottrazione di un bene, anche se temporanea e priva di finalità di lucro, se accompagnata da violenza o minaccia, costituisce un grave reato.

Rubare un telefono solo per impedire a qualcuno di chiamare i soccorsi è considerato rapina?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’ingiusto profitto richiesto per il reato di rapina può consistere anche in un vantaggio non patrimoniale, come quello di evitare che la vittima chieda aiuto.

La breve durata del possesso di un oggetto rubato esclude il reato di rapina?
No. La sentenza chiarisce che la rapina si consuma con l’impossessamento della cosa mobile altrui, anche se questo dura per un tempo minimo. La mera temporaneità del dominio sul bene sottratto è irrilevante ai fini della configurazione del reato.

Si può invocare lo stato di necessità se si commette un reato per evitare un pericolo che si è causato volontariamente?
No. Secondo la Corte, lo stato di necessità è incompatibile con situazioni di pericolo che sono state volontariamente o colposamente cagionate dallo stesso soggetto che poi invoca tale scriminante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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