Ingiusto Profitto: Quando Riconquistare un Immobile Diventa Estorsione
Il concetto di ingiusto profitto è un elemento cardine nel diritto penale, specialmente quando si tratta di distinguere reati contro il patrimonio come l’estorsione da altri illeciti come la violenza privata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante delucidazione su questo tema, analizzando un caso in cui il tentativo di riappropriarsi di un immobile è stato inquadrato nel più grave reato di estorsione. Vediamo insieme i dettagli della vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.
Il Caso: Tentativo di Spossessamento e l’Accusa di Estorsione
La vicenda giudiziaria nasce dal tentativo di un soggetto di allontanare con la forza i legittimi occupanti di un immobile. Secondo la ricostruzione, l’intenzione non era solo quella di rientrare in possesso del bene, ma anche quella di allontanare gli attuali inquilini per poter utilizzare l’abitazione come base per traffici illeciti, senza il rischio di essere denunciati.
Il Tribunale del riesame aveva inizialmente confermato l’accusa, ma la sua motivazione è stata giudicata dalla Cassazione come contraddittoria e non conforme ai principi di diritto.
L’Analisi del Tribunale e le Contraddizioni Rilevate
Il Tribunale aveva basato la sua decisione su una motivazione che la Suprema Corte ha ritenuto illogica. Da un lato, riconosceva che l’intento degli indagati era quello di “riprendersi l’immobile”, ma dall’altro valorizzava unicamente il fine di allontanare gli occupanti per poter continuare indisturbati le proprie attività criminali.
La Cassazione ha evidenziato come l’azione potesse benissimo essere mossa da un duplice intento: riottenere la disponibilità dell’immobile, già luogo di spaccio, e allo stesso tempo allontanare gli occupanti per evitare denunce. Il Tribunale, tuttavia, non ha spiegato perché avesse considerato solo il secondo aspetto, trascurando il primo.
La Nozione di Ingiusto Profitto secondo la Cassazione
Il punto centrale della sentenza della Cassazione risiede nella definizione di ingiusto profitto. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’ingiusto profitto nel reato di estorsione non deve essere necessariamente di natura economica. Esso si identifica in qualsiasi vantaggio, patrimoniale e non, che l’autore del reato intenda conseguire e che non sia fondato su un diritto, perseguito con uno strumento antigiuridico come la violenza o la minaccia.
Distinzione tra Estorsione e Violenza Privata
La Corte ha colto l’occasione per marcare la linea di confine tra estorsione e violenza privata. Ciò che distingue i due reati è proprio la finalità dell’azione:
* Estorsione: L’agente usa violenza o minaccia per costringere la vittima a un’azione che gli procuri un ingiusto profitto, causando al contempo un danno economico alla vittima stessa. Nel caso di specie, il profitto era la disponibilità dell’immobile per fini illeciti, e il danno era la perdita, per gli occupanti, del vantaggio economico di abitare l’immobile.
* Violenza Privata: L’agente usa violenza o minaccia per costringere la vittima a fare, tollerare o omettere qualcosa, ma manca l’elemento finalistico del profitto ingiusto con danno altrui.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame perché la motivazione era carente e contraddittoria. In primo luogo, il Tribunale aveva erroneamente considerato irrilevante la pretesa di restituzione dell’immobile, focalizzandosi solo sul danno causato ai legittimi occupanti. In secondo luogo, non aveva esaminato adeguatamente elementi cruciali come la precedente attività di spaccio svolta nell’immobile e il contenuto di una telefonata che indicava un chiaro intento di entrare con la forza. Infine, la Corte ha sottolineato che il Tribunale non ha spiegato perché abbia valorizzato solo l’intento ritorsivo di allontanare gli occupanti, e non anche quello di riottenere la disponibilità del bene per fini illeciti. Questo duplice intento, secondo la Cassazione, era fondamentale per una corretta qualificazione giuridica del fatto come estorsione, dato che il conseguimento di qualsiasi vantaggio ingiusto, anche non economico, integra l’elemento del profitto richiesto dalla norma.
le conclusioni
In conclusione, la Suprema Corte ha rinviato il caso al Tribunale per un nuovo giudizio, imponendo di seguire i principi di diritto enunciati. Questa sentenza rafforza l’interpretazione estensiva del concetto di ingiusto profitto, chiarendo che anche l’obiettivo di ottenere la disponibilità di un immobile per scopi illegali, attraverso la coercizione, rientra pienamente nel reato di estorsione. La decisione sottolinea l’importanza di analizzare tutti gli aspetti della condotta dell’agente, inclusi i moventi contestuali, per distinguere correttamente tra fattispecie di reato apparentemente simili ma sostanzialmente diverse come l’estorsione e la violenza privata.
Quando il tentativo di riprendersi un immobile può essere qualificato come estorsione?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando l’azione è condotta con violenza o minaccia al fine di procurarsi un ingiusto profitto, come la disponibilità del bene per attività illecite, causando un danno economico ai legittimi occupanti, i quali perdono il vantaggio di godere dell’immobile.
L’ingiusto profitto nel reato di estorsione deve essere necessariamente di tipo economico?
No. La Corte ha ribadito che l’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo economico, che l’autore intenda conseguire attraverso uno strumento antigiuridico e che non sia collegato a un diritto legalmente riconosciuto.
Qual è la differenza chiave tra estorsione e violenza privata evidenziata in questa sentenza?
La differenza fondamentale risiede nella finalità dell’azione. L’estorsione richiede che l’agente agisca per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, con conseguente danno economico per la vittima. La violenza privata, invece, si configura quando si costringe una persona a fare, tollerare o omettere qualcosa, ma senza questo specifico elemento finalistico del profitto ingiusto e del danno patrimoniale.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14075 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14075 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
Osserva l’odierno Collegio che la motivazione del Tribunale sul punto Ł contraddittoria e non rispondente a principi di diritto che regolano la materia.
E’, innanzitutto, totalmente irrilevante ai fini della valutazione della condotta dell’odierno ricorrente l’osservazione del Tribunale relativa al fatto che il ricorrente avrebbe potuto avanzare la pretesa di restituzione dell’immobile non già nei confronti degli attuali occupanti, ma solo nei confronti del Loconte, essendo, come già detto poc’anzi, la COGNOME ed il Mia legittimi occupanti dell’immobile stesso con la conseguenza che lo spossessamento del bene causava a questi ultimi, prima ancora che al proprietario, un danno ingiusto.
La motivazione del Tribunale Ł poi caratterizzata da evidente contraddittorietà nel momento in cui da un lato (pag. 2 dell’ordinanza) ha dato atto che la COGNOME (ritenuta pienamente attendibile così come il convivente NOME) ha affermato che la volontà degli indagati era quella di riprendersi
l’immobile e successivamente ha affermato (pagina 6) che l’azione era sostanzialmente finalizzata ad allontanare la Lupo dalla zona per potersi dedicare ai traffici illeciti, senza essere da lei denunciato.
La motivazione del Tribunale del riesame Ł, infine, anche carente nell’analisi degli elementi dallo stesso evidenziati non risultando debitamente esaminati due elementi che appaiono presentare importante rilevanza ai fini della valutazione della corretta qualificazione giuridica dei fatti ed in particolare:
la circostanza non smentita, ed indicata dalla stessa persona offesa, (ritenuta integralmente credibile) che la precedente attività di spaccio di sostanze stupefacenti si svolgeva proprio nell’immobile occupato attualmente dalla Lupo e dal NOME ed in precedenza occupato dallo stesso Santorsola;
l’espressione contenuta in una telefonata intercorsa tra il COGNOME ed il COGNOME (v. pag. 3 dell’ordinanza) «portami la pistola che dobbiamo entrare», indubbiamente indicativa di un intento degli indagati di fare ingresso nell’immobile.
Del resto Ł agevole osservare che l’azione posta in essere dagli indagati ben poteva essere finalizzata da un duplice contestuale intento: quello di riottenere la disponibilità dell’immobile indicato come luogo di spaccio e quello – connotato anche da un intento ritorsivo – di allontanare la Lupo dalla zona per evitare ulteriori denunce da parte della stessa e dalla lettura dell’ordinanza impugnata non sono date comprendere le ragioni per le quali i Giudici del riesame hanno ritenuto di valorizzare solo il secondo degli elementi e non anche il primo.
In punto di diritto, deve essere evidenziato – come peraltro ha fatto anche il Pubblico Ministero ricorrente – che in tema di estorsione, l’elemento dell’ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire, che non si collega ad un diritto ed Ł perseguito con uno strumento antigiuridico (cfr. ex multis : Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, COGNOME, Rv. 239780 – 01) e che, nel caso in esame, il conseguimento di detto ingiusto profitto risulta strettamente collegato alla perdita della possibilità delle persone offese di continuare a godere di un vantaggio economico consistente nella disponibilità dell’immobile de quo e dal quale, mediante minacce, era preteso l’allontanamento.
Infine, deve essere ricordato che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «¨ configurabile il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, nel caso in cui l’agente, al fine di procurare a sØ o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico» (Sez. 2, n. 5668 del 15/01/2013, Levak, Rv. 255242 – 01).
Per le considerazioni or ora esposte, l’ordinanza deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di B ari competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Così deciso il 02/04/2025.
Il Consigliere estensore
NOME
Il Presidente NOME COGNOME