Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30125 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30125 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Mortara il 08/05/1968
avverso la sentenza del 18/07/2024 della Corte di appello di Bologna
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udite le richieste dei difensori delle parti civili costituite, Avv. NOME COGNOME per il Comune di Cervia e quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME; Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno concluso per l’inammissibilità del ricorso e la liquidazione delle spese come da note depositate;
udite le richieste dei difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa il 10 maggio 2022 dal Tribunale di Ravenna nei confronti di NOME COGNOME ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di falso e truffa ai danni del Comune di Cervia e della Agenzia del Demanio regionale perché estinti per intervenuta prescrizione e per l’effetto ha rideterminato la pena per il reato continuato di calunnia, commesso in danno del sindaco, di vari funzionari e dirigenti comunali, del Comandante dei Vigili urbani e dei titolari della RAGIONE_SOCIALE, confermando la confisca, limitatamente all’importo di 58.226 euro, e le statuizioni civili della sentenza appellata.
Nei giudizi di merito si è accertato che il COGNOME, subentrato nel 2007 nella gestione della società Marina di Cervia, fondata dal padre negli anni 70, in forza della concessione rilasciata (nel 73 dalla Capitaneria, dell’approvazione della convenzione per la gestione del porto, rilasciata dal Comune di Cervia nel 75 e della formalizzazione della concessione demaniale nel 1986 con scadenza nel 2023), era tenuto a costruire il porto turistico nell’area demaniale del Comune di Cervia, ad attivare i relativi servizi ed a versare i canoni demaniali, determinati per legge dallo Stato, da versare mediante moduli F23 ed in parte spettanti alle singole amministrazioni interessate (Regione e Comune).
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 art. 1, comma 252 (finanziaria del 2007), nel 2009 il Comune di Cervia aveva rideterminato il canone per la concessione marittima in corso e richiesto sia i conguagli per i due anni precedenti che il pagamento dell’imposta regionale, riscossa dal Comune, che, tuttavia, non avendo accesso diretto alle banche dati dell’Anagrafe Tributaria, non poteva controllare l’effettivo pagamento del canone.
Ne era scaturito un contenzioso, in quanto il Sabatini contestava la rideterminazione del canone e proponeva ricorso al Tar, richiedendo il rimborso di quanto pagato in eccesso, benché non dovuto, ma dai successivi controlli avviati dall’Agenzia del Demanio era emerso che le somme, pur formalmente corrispondenti alla rideterminazione effettuata dal Comune e apparentemente pagate, non corrispondevano a quelle versate all’erario, risultando una differenza di oltre 450 mila euro; in particolare, emergeva che, a fronte di detto importo, era stata versata per gli anni dal 2007 al 2016 la somma di appena 17.505,00 euro e il riscontro documentale aveva consentito di accertare che mentre gli importi indicati sui moduli F23 consegnati o inviati al Comune erano corretti, quelli effettivamente pagati erano pari al 10% o addirittura antri°.
Ne derivava la denuncia per falso e truffa da parte dell’Agenzia del Demanio e l’avvio della procedura di decadenza da parte del Comune di Cervia, ostacolata dal COGNOME che, benché informato, non aveva partecipato alle
operazioni di presa in possesso, neppure dopo il differimento appositamente disposto, sicché i rappresentanti degli enti interessati avevano proceduto a redigere l’inventario in sua assenza e ad affidare in via d’urgenza il porto e i servizi alla società RAGIONE_SOCIALE, divenuta poi affidataria provvisoria in attesa della procedura di gara regolarmente avviata. La reazione del Sabatini si era tradotta nella proposizione di un ricorso al Tar e di tre querele nelle quali accusava gli organi e i funzionari comunali e persino le forze dell’ordine di abusi, peculato, ricettazione, falso ideologico e di altri gravi illeciti diretti a danneggiarlo e appropriarsi dei suoi beni, pur di favorire la Servimar.
Nonostante l’intervenuta prescrizione dei reati di falso e truffa, stante la presenza delle parti civili, correttamente la Corte di appello ha esaminato in modo completo i motivi di appello e ha escluso di poter pervenire ad un proscioglimento nel merito, ritenendo provata sia la falsificazione dei moduli F23, sia la truffa ai danni dell’erario e del Comune, nonostante l’esito favorevole dei giudizi instaurati dal Sabatini, conclusisi con l’annullamento delle cartelle esattoriali relativi ai canoni rivalutati, ritenuti non dovuti.
In particolare, la Corte di appello ha ritenuto che ai fini della configurabilità della truffa si dovesse avere riguardo al momento in cui le somme erano state richieste dal Comune e fraudolentemente ne era stato fatto apparire il pagamento e non all’esito dei giudizi, rimarcando, al contempo, il profitto conseguito dal COGNOME, che non aveva affatto versato le somme richieste, pur pretendendone la restituzione. Ha ritenuto, altresì, irrilevante la non coincidenza tra soggetto raggirato e soggetto danneggiato, atteso che, pur essendo pacificamente il Demanio l’ente che ha subito il danno patrimoniale, era il Comune ad avere compiti di gestione e vigilanza e potere di attivare la procedura di decadenza in caso di mancato pagamento dei canoni, con conseguente evidenza del nesso tra la posizione del raggirato e del danneggiato.
La sussistenza delle calunnie è stata ravvisata nella incalzante offensiva spiegata dal COGNOME nei confronti dei funzionari comunali e delle forze dell’ordine, accusate di reati gravissimi e di un’azione coordinata, esclusivamente mirata a favorire la Servimar, privandolo dei suoi beni, senza avere né competenza né titolo, pur essendo consapevole della loro innocenza, avendo lui stesso falsificato i moduli F23 e non pagato i canoni maggiorati richiesti.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori di NOME COGNOME che ne chiedono l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
2.1. Violazione dell’art. 640 cod. pen. per erronea interpretazione del requisito dell’ingiustizia del profitto e del correlativo danno e illogicità del motivazione.
A differenza di quanto ritenuto in sentenza, l’annullamento delle cartelle esattoriali con decisione del Tribunale di Ravenna, confermata in sede di appello, dimostra che le somme richieste dal Comune di Cervia alla società del ricorrente non erano dovute sin dall’inizio con conseguente insussistenza dell’ingiustizia del profitto. La pretesa del Comune era fondata su una erronea ed iniqua interpretazione della legge, come riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 29/2017 dopo le ordinanze del Consiglio di Stato e del Tar Toscana, che già nel 2015 avevano denunciato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) nella parte in cui veniva interpretata estensivamente, applicando i nuovi canoni anche ai rapporti concessori in corso e non ancora scaduti. All’interpretazione restrittiva indicata dalla Corte Costituzionale si erano adeguati i giudici civili, dichiarando la nullità delle ingiunzioni fiscali dirette alla società del ricorrente RAGIONE_SOCIALE per l’importo di 450 mila euro, ma nelle more il ricorrente era stato estromesso dalla gestione del porto e dai beni di sua proprietà sul presupposto di un inadempimento inesistente e con irrituale procedura di decadenza dalla concessione, eseguita in via d’urgenza, nonostante l’amministrazione fosse consapevole della pronuncia della Corte costituzionale. Ne consegue che la somma di 459.326,25 euro indicata nel capo di imputazione e corrispondente ai canoni non versati dal 2007 al 2015 non può costituire l’ingiusto profitto della truffa con corrispondente danno della pubblica amministrazione per insussistenza della causa illecita, risultando, anzi, accertato che l’omesso pagamento dei canoni era un diritto dell’imputato sin dall’origine, a nulla rilevando i tempi necessari per il relativo accertamento.
La richiesta del Comune era illegittima sin dall’inizio e il ricorrente sin dall’inizio aveva contestato la pretesa, sicché è illogico ritenere che l’ingiustizia del profitto va valutata al momento in cui le somme erano richieste, sebbene contra jus, e non all’esito del contenzioso.
2.2. Violazione dell’art. 640 cod. pen. per mancanza di cooperazione artificiosa della vittima e mancata coincidenza soggettiva tra raggirato e truffato, in quanto il Comune era destinatario degli F23 contraffatti, dai quali derivava l’induzione in errore circa il pagamento dei nuovi canoni, mentre l’Agenzia del demanio subiva il danno, ricevendo il pagamento dei vecchi canoni per importi di gran lunga inferiori. La Corte di appello ha, invece, ritenuto configurabile il reato anche in caso di non coincidenza tra ingannato e truffato, ma facendo riferimento a casistica del tutto diversa dal caso di specie, nel quale non vi è alcun automatismo causale tra raggiro e danno, stante il nesso indiretto del rapporto tra ente controllore ed ente beneficiario del controllo.
2.3. Violazione dell’art. 368 cod. pen. in relazione al capo C) n.1 per erronea interpretazione dell’elemento oggettivo del reato, vizi della motivazione
il
e travisamento della prova in relazione alla denuncia presentata il 14 gennaio 2017 all’Ufficio Circondariale marittimo di Cervia ed al verbale di presa di possesso dell’immobile in pari data.
Entrambe le sentenze travisano la prova, individuando affermazioni non presenti nella denuncia del 14 gennaio 2017, presentata lo stesso giorno dell’accesso al porto dei funzionari del Comune – che dovevano procedere ad esecuzione forzata del provvedimento di decadenza- per denunciare la mancata redazione dell’inventario prima di affidare le chiavi alla RAGIONE_SOCIALE. La circostanza di fatto denunciata era vera, come risulta dal verbale di presa di possesso dell’immobile, in cui si dà atto dell’affidamento dell’infrastruttura alla RAGIONE_SOCIALE e del rinvio della redazione dell’inventario al prossimo accesso del 16 gennaio, poi slittato al giorno 25; quindi, il ricorrente si lamentava di un fatto vero, d rilevanza amministrativa o civilistica, stante il rischio di confusione fra beni propri e altrui, senza denunciare alcun reato, sicché l’aver ravvisato la volontà di denunciare un abuso di atti d’ufficio per aver redatto un inventario incompleto per favorire Servimar contrasta con il contenuto degli atti indicati, dai quali risulta che non fu redatto alcun inventario.
2.4. Violazione dell’art. 368 cod. pen. per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, vizio di’motivazione e travisamento della prova in relazione alla denuncia querela presentata il 15 marzo 2017 ai CC di Vigevano, oggetto del capo C n.2).
Premessa la differente ricostruzione del fatto calunnioso contenuta nelle sentenze di merito, nella denuncia il ricorrente si limitava a segnalare il comportamento della dirigente COGNOME che il 27 maggio 2016 aveva portato a Bologna documenti detenuti ovvero 5 F23 in originale e 3 F23 in copia, ravvisando nella condotta un abuso d’ufficio, in quanto il poter e di informazione, controllo e vigilanza spettava per legge all’Agenzia del demanio e non al Comune, che non ha alcun potere sui canoni demaniali ex art. 28 codice della navigazione. Anche in questo caso il ricorrente aveva denunciato un fatto vero cioè la trasferta del funzionario da Cervia a Bologna e la detenzione degli F23 solo in parte in originale, limitandosi a contestare l’incompetenza funzionale del dirigente comunale. Incomprensibilmente la sentenza impugnata attribuisce al ricorrente una condotta diversa ovvero di aver addirittura accusato la dirigente di aver creato falsi F23, il che non corrisponde al contenuto della denuncia, limitato ad un profilo di rilevanza solo amministrativa, relativo alla violazione delle competenze dei due enti, con conseguente inoffensività della condotta.
2.5. Violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova relativamente alla querela del 3 aprile 2017, oggetto del capo C) n.3 e inoffensività della condotta.
Anche in questo caso il primo giudice aveva travisato il contenuto della denuncia, che non attribuiva affatto al Comune l’addebito falso di un mancato pagamento dei canoni, ma si limitava a contestare il comportamento del Comune, che, pur consapevole del giudizio pendente dinanzi al Tar, dell’orientamento del giudice amministrativo che aveva sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, aveva avviato una procedura di decadenza fondata sul presunto mancato pagamento dei canoni, invece, corrisposti, e non sulla illegittima applicazione dei nuovi canoni di cui alla norma sottoposta al vaglio del giudice delle leggi. Il ricorrente, quindi, aveva riferito fatti veri, rispondendo a verità che la decadenza dalla concessione marittima era fondata sul presupposto del mancato pagamento dei canoni rivalutati.
2.6. Violazione di legge e mancanza assoluta di motivazione in relazione alla offensività in concreto della condotta oggetto del capo C) n. 4 e 6.
La difesa ammette che le espressioni utilizzate nella querela sono fortemente offensive, ma più frutto di esasperazione che di volontà di offendere. Nella denuncia del 24 marzo 2017 il ricorrente si limitava a rilevare che la procedura di spoglio avveniva sulla base di un presupposto illegittimo quale l’applicazione dei nuovi canoni; il Comune non era proprietario e non poteva procedere allo sgombero, spettando il diritto solo al demanio mediante la procedura di incameramento e le funzioni amministrative del Comune in materia di opere portuali non consentivano un intervento surrogatorio del Demanio. A fronte di ciò, il giudice di appello afferma che il ricorrente avrebbe accusato i funzionari comunali con la connivenza delle forze dell’ordine di aver occupato l’area al di fuori di ogni procedura con apposizione di falsi sigilli e definitiv appropriazione dei beni della società del ricorrente, in tal modo attribuendo natura calunniosa ad affermazioni infondate o temerarie del ricorrente, ma non a fatti rappresentati falsamente con conseguente mancanza di offensività della condotta, non traducendosi i giudizi in accuse.
2.7. Violazione dell’art. 368 cod. pen. e mancanza di motivazione sulla pericolosità in concreto della condotta di cui al capo C) n. 5, per avere il ricorrente espresso un pensiero indotto da una ritenuta disparità di trattamento nel comportamento delle Forze dell’ordine, dimostratesi disponibili nei confronti degli organi comunali, sicché non si è in presenza di una notizia di reato, idonea a dare impulso a un’indagine, ma di una mera valutazione indotta.
2.8. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato. La motivazione è illogica e contraddittoria in quanto la Corte di appello ammette che il ricorrente si sentiva ingiustamente penalizzato dall’azione della pubblica amministrazione, ma ritiene che egli fosse certo dell’innocenza dei pubblici ufficiali, senza tener conto dei fatti oggettivi di cui era stato vittima ed affidandosi ad inferenze piuttosto che a deduzioni.
2.9. Violazione di legge e illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche per sottovalutazione della ingiustizia subita, circoscritta al problema dei canoni maggiorati, senza tener conto degli effetti della disposta decadenza e dell’incensuratezza del ricorrente.
2.10. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, determinato al di sopra del minimo edittale senza considerare la condizione psicologica del ricorrente, che si sentiva vessato ingiustamente.
2.11. Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla liquidazione della provvisionale, non essendo motivati gli importi elevati riconosciuti per risarcire il danno non patrimoniale non provato.
2.12. Violazione di legge e travisamento della prova documentale in relazione alla confisca per la somma ritenuta profitto del reato relativo ai canoni non pagati per il 2016 per mancata valutazione della prova offerta ovvero l’atto di escussione della fideiussione e il bonifico di pagamento attestante l’avvenuto pagamento di detta somma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla confisca disposta, inammissibile nel resto.
I motivi articolati risultano meramente reiterativi di censure già esaminate e disattese dal giudice di appello con argomentazioni lineari e corrette, nonché manifestamente infondati, in quanto propongono una lettura alternativa dei fatti, non solo riduttiva, ma insostenibile a fronte delle risultanze processuali e della condotta ambigua e fraudolenta del ricorrente.
I primi due motivi riguardano il reato di truffa ai danni dello Stato e del Comune per il mancato pagamento dei canoni demaniali dovuti per l’occupazione e l’uso dell’area demaniale marittima adibita a porto turistico in forza della concessione demaniale rilasciata, per le annualità dal 2007 al 2016, solo apparentemente versati mediante la falsificazione materiale dei moduli F23, che induceva in errore i funzionari del Comune di Cervia e l’Agenzia Regionale del Demanio, in quanto formalmente risultava il pagamento degli importi richiesti per complessivi 468.018,35 euro, mentre in realtà risultavano corrisposti importi di gran lunga inferiori, pari appena a 17.961,10 euro dal 17 giugno 2010 all’il luglio 2016. L’espediente generava un ingiusto profitto per il ricorrente con corrispondente danno per lo Stato e, al contempo, l’occultamento della morosità impediva al Comune di avviare la procedura di decadenza della concessione.
L’esame di tali due motivi, attenendo ad un reato dichiarato dalla Corte di appello estinto per intervenuta prescrizione, con riferimento alla statuizione penale andrebbe effettuato nei limiti fissati dall’art. 129, comma 2, cod, proc. pen.. Tuttavia – a differenza di quanto sostenuto dal Procuratore generale – in presenza di statuizioni civili, lo stesso esame va compiuto funditus ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 – 01; Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273 – 01).
2.1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene la non configurabilità della truffa per mancanza dell’ingiustizia del profitto in forza della pronuncia della Corte costituzionale n. 29 del gennaio 2017, che con sentenza interpretativa di rigetto aveva escluso l’applicazione dei nuovi canoni previsti dalla finanziaria del 2007 alle concessioni in corso (e ciò in quanto l’aumento dei canoni commisurato ai valori di mercato doveva riferirsi ad opere costituenti pertinenze demaniali marittime, che già appartengono allo Stato e possiedono la qualità di beni demaniali, mentre nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, come quella del ricorrente, ciò poteva avvenire solo al termine della concessione e non già nel corso della medesima). Sostiene, inoltre, che sin dall’inizio del rapporto concessorio (essendo subentrato al padre nel 2007) il COGNOME aveva contestato la legittimità dei nuovi canoni determinati dal Comune ritenendo gli importi eccessivi ed illegittimi.
A sostegno di tale prospettazione sono state allegate al ricorso le lettere di contestazione inviate dal ricorrente all’Agenzia del Demanio e alla Capitaneria di porto di Ravenna, ma dalle stesse risulta che il ricorrente sin dal maggio 2007 aveva contestato l’errata applicazione della rivalutazione Istat triennale, a suo avviso, non calcolata nei termini previsti dal contratto, e, ritenendo di aver versato dal 1984 al 2007 somme in eccesso nella misura di 461.495,93 euro, preannunciava di avvalersi della compensazione del credito vantato per la corresponsione dei canoni demaniali. Non risponde, quindi, al vero che la contestazione riguardava sin dall’inizio i nuovi canoni determinati secondo le disposizioni dell’art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, invece, formulata soltanto a partire dal dicembre 2009, ma sempre nell’ambito della contestazione della errata rivalutazione Istat del canone demaniale.
E’, tuttavia, certo che solo a seguito della pronuncia della Corte costituzionale e dei criteri interpretativi fissati nella sentenza prima indicata, i Tribunale di Ravenna nel gennaio 2019 e la Corte di appello di Bologna nel settembre 2021 annullarono le cartelle esattoriali opposte dal ricorrente, ritenendo illegittime le note del Comune con cui erano stati determinati i canoni sulla base dei criteri indicati dalla legge finanziaria del 2007, dichiarando che doveva applicarsi solo il canone previsto dalla concessione.
Ciò posto, la difesa sostiene che tali pronunce dimostrerebbero la legittimità ab origine delle contestazioni del ricorrente e l’inesistenza dell’ingiusto profitto e del corrispondente danno per lo Stato perché gli importi richiesti non erano dovuti.
2.2. La tesi, che finisce per legittimare retroattivamente la condotta dell’imputato, non è condivisibile.
In disparte il – non pur trascurabile – dato allegato dalla difesa della parte civile COGNOME che ha prodotto la sentenza n. 25272 del 17 aprile 2024 della Terza Sezione Civile di questa Corte con la quale è stato disposto l’annullamento senza rinvio delle sentenze di primo e secondo grado in precedenza indicate perché la domanda (opposizione alle cartelle esattoriali proposta dalla srl Marina di Cervia) non poteva essere proposta, va evidenziato che il COGNOME non si era limitato a contestare la nuova determinazione dei canoni, ma aveva finto di averli pagati, falsificando i moduli di pagamento, aggiungendo uno o due zeri, e persino aveva richiesto in giudizio la restituzione di quanto pagato in eccesso, quando in realtà nulla aveva versato (avendo, anzi, pagato importi minimi) ed aveva avuto interesse a far risultare la regolarità dei versamenti per non incorrere nella decadenza dalla concessione. A tal fine, come sottolineato dal primo giudice, aveva versato puntualmente e senza contestare alcunché, l’imposta regionale pari al 5% del nuovo canone, in quanto si trattava di tributo incassato direttamente dal Comune, che poteva controllare in tempo reale l’effettività del pagamento, a differenza dei canoni destinati all’Agenzia del Demanio alla quale non pervenivano le ricevute dei modelli F23 (pag. 13 sent. primo grado).
Pertanto, la Corte di appello ha ritenuto che la condotta fraudolenta dovesse essere valutata al momento della richiesta delle somme e della falsificazione dei moduli prodotti al Comune per far apparire versati i canoni richiesti: momento in cui il ricorrente conseguì una immediata situazione di · ingiusto vantaggio propedeutica al conseguimento di un altrettanto ingiusto vantaggio economico, non rilevando il successivo esito dei giudizi civili, intervenuto molti anni dopo, che perciò non poteva avere incidenza retroattiva sul giudizio negativo sulla condotta del ricorrente.
La valutazione è corretta, in quanto la truffa è un reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla condotta tipica dell’autore fa seguito la diminuzione patrimoniale del soggetto passivo. L’ingiustizia del profitto deve essere valutata in relazione al momento che precede l’impiego concreto della cosa ottenuta con inganno e in relazione a tale momento costituisce ingiusto profitto tutto ciò che all’agente non é dovuto e che lo stesso non può ritenere come a lui dovuto.
Precisato che l’ingiustizia del profitto è ravvisabile sia nel caso di effettivo accrescimento di ricchezza economica a favore dell’agente che nel caso di mancata diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni, nel caso di specie è certo che tramite gli espedienti utilizzati il ricorrente conseguì un consistente risparmio di spesa e, al contempo, la possibilità di sostenere in giudizio, producendo i falsi moduli F23 (come avvenuto nel ricorso al TAR), di aver pagato tutti i canoni esorbitanti richiestigli, anche se non dovuti, quando invece, non li aveva versati e non aveva alcuna certezza dell’esito delle controversie, ma solo l’interesse immediato e concreto ad evitare di essere ritenuto inadempiente sino alla loro definizione. Il carattere di ingiustizia del profitto deriva dal fatto di essere stato conseguito indebitamente con mezzi fraudolenti e con la conseguenza che il vantaggio in cui esso si risolve risulta ottenuto illegittimamente, vale a dire conseguito “sine jure”, con un arricchimento realizzato “sine causa”.
La tesi difensiva, secondo la quale la truffa dovrebbe essere esclusa quando il profitto, anche se conseguito fraudolentemente, sia oggettivamente legittimo, non solo trascura che il Comune di Cervia si era limitato a ricalcolare il canone in applicazione di una norma della legge finanziaria di mero aggiornamento quantitativo per le concessioni demaniali marittime, norma che era rimasta pienamente valida e efficace, e che aveva dato luogo a contrasti interpretativi, risolti ben dieci anni dopo dalla Corte costituzionale; ma è smentita dalla entità minima dei versamenti effettuati dal ricorrente tramite la falsificazione dei modelli F23, risultando persino inferiori all’importo del canone annuo da lui stesso calcolato e ritenuto corretto, dunque ,all’importo comunque dovuto indipendentemente dalle percentuali di aggiornamento, indicato nelle note di contestazione allegate al ricorso.
Non può, pertanto, trovare legittimazione retroattiva il comportamento del ricorrente, consistito nell’autodeterminazione del canone, nella decisione unilaterale di compensazione con il credito asseritamente vantato nei confronti del Demanio e nel pagamento di importi neppure corrispondenti al canone non rivalutato in ogni caso dovuto dal concessionario per l’intera durata del contenzioso giudiziale.
Come sottolineato dai giudici di merito il ricorrente non si è limitato a contestare l’operato del Comune ed a contrastarlo con iniziative legittime, quali il ricorso al giudice amministrativo (peraltro, erroneamente adito, come stabilito dalle Sezioni Unite civili con sentenza n. 11867 del 2020) e al giudice civile, ma, come appena detto, si è persino autoridotto fraudolentemente l’importo del canone dovuto nel corso del rapporto concessorio: sicché sia il mancato pagamento dei canoni richiesti e dovuti, sia l’occultamento della morosità per evitare la procedura di decadenza, integrano l’ingiustizia del profitto ottenuto dal
ricorrente, peraltro, già destinatario di una precedente azione di decadenza avviata dal Comune per inadempimento degli obblighi contrattuali (pag.1-2 sentenza impugnata).
3. Anche il secondo motivo è del tutto infondato.
La Corte di appello ha già fornito corretta risposta, richiamando l’indirizzo maggioritario nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di truffa, non è necessaria l’identità fra la persona indotta in errore e la persona che ha subito il danno patrimoniale, purché, anche in assenza di contatti diretti fra il truffatore e il truffato, sussista un nesso causalità tra l’induzione in errore, il profitto ed il danno (così, tra le altre, Sez. n. 45599 del 30/10/2024, COGNOME, Rv. 287155; Sez. 2, n. 8653 del 23/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284438; Sez. 2, n. 43119 del 21/10/2021, COGNOME, Rv. 282304; Sez. 2, n. 43143 del 17/07/2013, COGNOME, Rv. 257495).
A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, nel caso di specie vi è stato il collegamento tra il Comune, raggirato, e l’Agenzia del Demanio, titolare dell’interesse patrimoniale leso, ed il nesso di causalità tra raggiri, profitto e danno, in ragione delle funzioni amministrative trasferite in materia di demanio marittimo e di porti dallo Stato alle Regioni con d.lgs. 31 marzo 1998 e da queste ai Comuni (nella specie, con legge regionale n. 9 del 2002): enti, questi ultimi, tenuti alla vigilanza del patrimonio demaniale esistente nel proprio territorio e competenti al rilascio della concessione, alla determinazione del canone (nella misura stabilita dalla normativa statale vigente) e dell’imposta regionale sulle concessioni dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato (nella specie ex art. 9 L.R. n.9/2002), a provvedere al controllo del pagamento, alla riscossione dell’imposta regionale e ad avviare le procedure di decadenza in caso di mancato pagamento; sicché è evidente la stretta interdipendenza tra i due enti e la strumentalità delle condotte dirette all’ente destinatario dei falsi documenti per far figurare come avvenuti i pagamenti dei canoni destinati allo Stato, evitando al contempo di incorrere nella decadenza della concessione.
Il Comune è, infatti, l’ente che determina, richiede e controlla il pagamento del canone e dell’imposta regionale sui beni demaniali; cura, per conto della Regione la riscossione dell’imposta regionale dovuta dal concessionario e versata contestualmente e con le medesime modalità del canone di concessione, ha funzioni di controllo e, soprattutto, competenza per il rilascio, rinnovo, modifica e revoca delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreative ricadenti nel territorio comunale e delle concessioni inerenti i porti di interesse regionale e subregionale.
L’attività di riscossione delle entrate derivanti dai beni del demanio marittimo è, quindi, incardinata presso gli enti gestori, mentre il relativo gettito affluisce all’erario e, proprio al fine di salvaguardare e tutelare il gettito erariale è prevista una intensa attività di cooperazione e collaborazione tra Stato ed enti territoriali con predisposizione di una procedura di riscossione mediante il modello F23 (attualmente F24). Il raccordo tra l’ente locale e l’Agenzia del demanio è reso evidente dal sistema di controllo previsto, atteso che in caso di mancato pagamento l’ente gestore comunica all’Agenzia del demanio il mancato pagamento al fine di attivare la riscossione mediante ruolo, affidata all’Agenzia delle Entrate, che riversa le somme riscosse nell’apposito capitolo di bilancio dello Stato.
Anche i motivi relativi ai reati di calunnia (da esaminarsi direttamente con riferimento alle statuizioni penali) sono manifestamente infondati.
Il ricorrente denuncia il travisamento della prova, assumendo che nelle denunce egli si era limitato a riferire fatti veri senza accusare nessuno, ma la censura si risolve nella proposizione di una lettura alternativa dei fatti in contrasto con le incalzanti iniziative assunte e con il progressivo innalzamento dei toni usati nelle querele sporte dal ricorrente, che ammette di aver utilizzato espressioni eccessive, ma solo perché esasperato dalle vessazioni subite.
4.1. In realtà, quanto alla prima calunnia, è vero che il ricorrente lamentava la mancata redazione dell’inventario, effettivamente rinviata in occasione dell’accesso ai locali e agli uffici della società, ma strumentalmente ometteva di chiarire che ciò era dovuto al suo atteggiamento ostruzionistico: in quanto egli era stato avvertito dell’avvio della procedura di decadenza, della data e dell’ora dell’accesso, della necessità di presenziare, ma non si era presentato, costringendo gli organi procedenti a rinviare più volte le operazioni, per poi accusarli della totale irregolarità della procedura, dell’omissione dell’inventario e di qualsiasi rendicontazione dei beni presenti pur di consegnare l’area alla Savimar in via d’urgenza, nonostante la procedura fosse stata regolarmente avviata e notificata, e benché il suo legale avesse presenziato e si fosse impegnato a portare le chiavi dei locali chiusi per procedere all’inventario, senza poi tener fede all’impegno, così costringendo gli organi procedenti a redigere un verbale di inventario dei soli beni che era stato possibile visionare, stante la mancata consegna delle chiavi.
Il tentativo difensivo di minimizzare il contenuto della denuncia, limitato a segnalare un fatto di rilevanza solo amministrativa, è smentito dalla omissione di circostanze rilevanti, idonee a far apparire illegittimo e grave il comportamento degli accusati, pur sapendoli innocenti.
È, infatti, noto che in tema di calunnia, la falsa accusa può essere realizzata sottacendo artatamente alcuni elementi della fattispecie, così da fornire una rappresentazione del fatto diversa dalla realtà e connotare di illiceità comportamenti effettivamente tenuti dall’accusato ma in un contesto che li rendeva leciti (Sez. 6, n.30350 del 11/07/2013, COGNOME, Rv. 256748; Sez.6, n. 22928 del 23/05/2013, Rimbano, Rv. 256630).
4.2. Anche per la calunnia in danno della COGNOME, dirigente dell’ufficio comunale dei beni demaniali, il ricorso tenta di limitare e circoscrivere l’oggetto della denuncia ad un fatto vero quale la trasferta da Cervia a Bologna ed alla contestazione della competenza del funzionario comunale, mentre, invece, si attribuiva al dirigente un’iniziativa indebita, addirittura contestando il possesso di F23 originali e di altri in copia- da lui stesso falsificati e inviati al Comune- e fingendo di ignorare il collegamento tra Comune e Agenzia demaniale, che aveva chiesto di effettuare la verifica, in tal modo attribuendo al dirigente un abuso d’ufficio diretto a danneggiarlo, avviando illegittimamente la procedura di decadenza.
4.3. Analoga prospettazione riduttiva viene offerta per il capo C3), in quanto il ricorrente trascura che la procedura di decadenza era stata avviata non su un falso presupposto, ma per l’accertato mancato pagamento dei canoni rivalutati di cui egli era consapevole, essendo autore dei falsi destinati a far apparire corrisposti canoni. non versati.
Il motivo tenta di esaltare la buona fede del ricorrente, titolato a contestare l’operato del Comune, a sua volta consapevole della pendenza del ricorso al Tar, dell’attesa della pronuncia della Corte costituzionale, in tal modo spostando la contestazione sulla illegittimità della richiesta dei nuovi canoni piuttosto che sul mancato pagamento dei canoni, solo apparentemente versati, che giustificava l’avvio della procedura di decadenza ex art. 47 codice della navigazione.
4.4. Anche per i capi C4) e C6) il ricorso rileva unicamente la temerarietà e offensività delle pesanti espressioni utilizzate dal ricorrente, ma nega ogni accusa, invece, espressamente formulata a carico degli organi comunali e delle conniventi forze dell’ordine, che avrebbero in assenza di potere e illegittimamente operato uno spoglio manu militari al fine di favorire l’immissione in possesso della RAGIONE_SOCIALE e l’appropriazione dei beni della RAGIONE_SOCIALE, come ritenuto in sentenza.
La sentenza espone in dettaglio il contenuto dell’esposto e delle accuse infamanti a carico di esponenti comunali, accusati di aver sottratto i beni della società al di fuori di ogni regola, con precisi accordi criminosi e specifica volontà di danneggiare la società, Marina di Cervia con l’appoggio delle forze dell’ordine, accusate di non essere intervenute a tutelare i diritti del ricorrente (pag. 15).
4.5. Anche il motivo relativo all’elemento soggettivo del reato risulta esaminato e motivatamente disatteso in sentenza in ragione del livello ingiustificato delle gravissime accuse formulate dal ricorrente a carico degli organi comunali, in quanto, pur essendo convinto della illegittimità dei canoni maggiorati richiestigli e pur avendo ottenuto ragione, il ricorrente era, tuttavia, consapevole di non averli pagati, di aver falsificato i moduli e di aver tentato in ogni modo di evitare la procedura di decadenza, sicché accusava consapevolmente i pubblici ufficiali di abusi, di accordi criminali e di altre nefandezze, pur sapendoli innocenti. Peraltro, non può trascurasi che il Comune di Cervia non aveva adottato un provvedimento autoritativo, costituente esercizio di un potere pubblico di natura discrezionale, nemmeno a titolo di “discrezionalità tecnica”, essendosi, invece, limitato a disporre il ricalcolo del canone annuale per la concessione demaniale marittima in applicazione di una norma di mero aggiornamento quantitativo.
Inammissibile è il motivo relativo al diniego delle attenuanti generiche, giustificato dal rilievo assorbente attribuito alla gravità e pervicacia dei comportamenti calunniosi posti in essere dal ricorrente, essendo emerso con evidenza che egli agiva con ogni mezzo, lecito e illecito, per perseguire i propri interessi (pag. 16).
La motivazione, completa ed esaustiva, si sottrae a censura, non essendo necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimen a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato (Sez.3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282693).
Parimenti inammissibile è il motivo sul trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente, invero, prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851), come nel caso di specie.
I giudici hanno, infatti, valorizzato la gravità delle accuse e le pesanti modalità espressive utilizzate dal ricorrente per descrivere i fatti asseritamente
commessi dai pubblici ufficiali, alla luce delle quali hanno ritenuto giustificato i lieve scostamento della pena base dal minimo edittale.
Anche il motivo sulla provvisionale è inammissibile, non essendo censurabile la quantificazione della stessa né necessaria una specifica motivazione, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, dovendo la somma imputarsi nella liquidazione definitiva. Ne discende che non è impugnabile per cassazione, in quanto statuizione per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, imp. P.C., Rv. 261536).
È, invece, fondato il motivo relativo alla confisca, disposta ex art. 322ter cod. pen. in relazione al reato di truffa aggravata, limitatamente alle somme versate nel 2016 per le quali vi era stato l’accertamento del reato in primo grado, stante la sopravvenuta prescrizione del reato.
Nei motivi nuovi la difesa aveva dedotto e documentato che per le somme riferite all’annualità 2016 il Comune aveva preteso una fidejussione bancaria, escussa come da comunicazione prodotta: conseguentemente, risultando l’importo richiesto già pagato, la confisca va eliminata.
L’annullamento parziale della sentenza di appello sul capo relativo alla confisca non incide sui restanti capi, stante l’autonomia dei capi di una sentenza cumulativa (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239), sicché per l’autonomia del rapporto processuale afferente ai capi della sentenza concernenti la responsabilità penale, l’ammissibilità del motivo sulla confisca non ha effetto sulla inammissibilità dei motivi relativi ai reati di calunnia.
L’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione, infatti, impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 268966; Sez.3, n. 15868 del 29/01/2025, COGNOME, Rv. 288002).
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente alla confisca e dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla disposta confisca, che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Condanna l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida, oltre accessori di
legge, in complessivi euro 3.686,00 in favore di COGNOME NOME; euro 3.686,00
in favore di COGNOME NOME; euro 5.100,00 in favore di COGNOME NOME, COGNOME
NOME e COGNOME NOME; euro 4.350,00 in favore di COGNOME NOME e COGNOME
NOME; euro 5.100,00 in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME
NOME ed euro 3.686,00 in favore del Comune di Cervia.
Così deciso, 2 luglio 2025