Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3849 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3849 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a IMOLA il 25/05/1964
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona del 5 aprile 2024 con la quale era stata confermata la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto COGNOME responsabile del reato di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 7 cod. pen.: secondo il capo di imputazione COGNOME, dopo aver commissionato a NOME COGNOME titolare della RAGIONE_SOCIALE lavori edilizi, lo aveva minacciato momento in cui questi gli aveva richiesto il pagamento per i lavori eseguiti.
1.1. Al riguardo, il difensore eccepisce la violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. e l’inutilizzabilità della querela sporta da NOME COGNOME o comunque la mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione sul punto, visto che COGNOME era stato individuato sin dalla primissima fase delle indagini come l’imprenditore che aveva effettuato i lavori abusivi, convocato presso i carabinieri ed in quel frangente informato degli accertamenti in corso; le dichiarazioni di COGNOME avrebbero dovuto essere interrotte, in quanto autoindizianti e quindi inutilizzabili erga omnes (primo motivo).
1.2. Il difensore eccepisce la mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in relazione alla applicabilità degli artt. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen. alle dichiarazioni rese da COGNOME NOME nella querela, rilevando l’assenza di riscontri esterni alle stesse: la querela era stata sporta da NOME COGNOME, socio della RAGIONE_SOCIALE su delega del fratello NOME, poi effettivamente indagato ed imputato quale legale rappresentante della società per i lavori commissionati dall’imputato, che avrebbero integrato i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b) e c) d.P.R. n. 380/2001, 181 D.L.vo n. 42/2004; nell’atto di appello si era sottolineato che NOME COGNOME aveva avuto un ruolo di primissimo piano, in quanto si era adoperato in prima persona sia nella fase delle trattative per l’assunzione dell’incarico da parte della ditta che nella successiva realizzazione dei lavori, per cui non poteva essere considerato un soggetto terzo, ma le sue dichiarazioni avrebbero dovuto essere qualificate come chiamate di correità per i reati di abuso edilizio e di reità per il delitto estorsione, reato connesso o comunque collegato probatoriamente a quello di abuso edilizio, con conseguente applicabilità delle regole di valutazione della prova di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen.; sull’eccezione, la Corte di appello si era limitata al solo dato formale, costituito dalla mancata iscrizione di Baleani Daniele nel registro degli indagati (secondo motivo).
1.3. Il difensore lamenta la motivazione apparente in relazione al non accoglimento dei motivi di appello concernenti la valutazione di credibilità e attendibilità di NOME COGNOME che aveva un evidente interesse ad alleggerire la
sua posizione processuale; inoltre, il difensore osserva che la querela era stata sporta dopo ben un anno e nove mesi dai fatti, che il mancato pagamento del lavoro -tenuto conto dell’indagine subita- generava la possibilità che la querela fosse una ritorsione nei confronti degli COGNOME e che le dichiarazioni di Baleani non erano state ritenute dimostrative della responsabilità di NOME COGNOME originariamente coimputato; la motivazione della Corte di appello sul punto era contenuta in appena sei righe di motivazione e non aveva detto nulla anche in merito alla opportunità, suggerita dalla difesa, di applicare comunque l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen. pur in assenza dei relativi presupposti, alla luce dei dubbi sulla credibilità del querelante (terzo motivo).
1.4. Il difensore eccepisce la mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento dell’ingiusto profitto: era stata ravvisata l’insussistenza di una condotta estorsiva nella fase dell’accordo COGNOMERAGIONE_SOCIALEBaleani, che aveva causa ed oggetto illeciti (l’effettuazione di lavori in violazione della normativa edilizia e quella attinente ai beni culturali e paesaggistici), per cui la ditta non disponeva di un credito tutelabile nelle sedi giudiziarie; di conseguenza, l’imputato poteva legittimamente rifiutarsi di pagare la ditta, al più potendosi ritenere integrato reato di cui all’art. 393 cod. pen.; inoltre, la sentenza di appello si poneva i contraddizione con quella di primo grado, in quanto secondo la prima il profitto consisteva nell’aver ottenuto la realizzazione dei lavori senza pagare alcunchè, mentre il giudice di primo grado aveva escluso la presenza di una condotta estorsiva nella fase iniziale della vicenda; la decisione era comunque errata in diritto, giacchè l’ingiustizia del profitto era stata dedotta senza alcuna valutazione della possibilità o meno da parte della ditta di poter tutelare giudizialmente il proprio credito; non era poi stato chiarito se la minaccia volta a far desistere il creditore da pretese illegittime, poiché fondate su contratto illecito, possa effettivamente configurare il reato di estorsione; si poteva dire che mancava il profitto del reato in quanto non vi era stata la rinuncia di Baleani ad alcun credito, perché giuridicamente non esisteva alcun credito (quarto motivo). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.5. Il difensore eccepisce la violazione dell’art. 629 cod. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza dell’evento del reato e del nesso eziologico tra minaccia e rinuncia al credito, nonché dell’elemento psicologico del reato; non era stato considerato che se dopo l’incontro con COGNOME aveva rinunciato al credito, non si comprendeva perché lo stesso COGNOME e i soci (come dichiarato dal primo in querela) si aspettassero comunque di essere pagati, tanto che lo stesso COGNOME dopo circa due mesi era tornato a chiedere il pagamento; era quindi contraddittorio ritenere che la decisione di Baleani di attendere nel reiterare la richiesta di pagamento fosse frutto delle minacce ricevute anziché
della mera indisponibilità economica degli COGNOME di provvedere al pagamento, il che dimostrava l’assenza di un rapporto strumentale ed eziologico tra vis e costrizione (quinto motivo).
1.6. Il difensore lamenta la mancata applicazione dell’art. 56 cod. pen.: nell’atto di appello si era evidenziato che la rinuncia ad ulteriori richieste pagamento da parte di Baleani era maturato dopo l’ultimo incontro tra questi e NOME COGNOME per cui il fatto non era ascrivibile a COGNOME NOME; anche a voler ritenere la condotta dell’imputato diretta alla commissione del reato estorsivo, non essendo allo stesso ascrivibile l’evento del reato, al più egli avrebbe potuto rispondere della fattispecie solamente tentata; anche su questo punto la sentenza era carente di motivazione (sesto motivo).
1.7. Il difensore eccepisce la mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto della richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva della detenzione domiciliare avanzata ai sensi dell’art. 95 D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150; la motivazione della Corte di appello risultava contraddittoria ed irragionevole in quanto da una parte aveva escluso la recidiva reiterata perché i precedenti penali dell’imputato risultavano datati, e dall’altra aveva considerato i precedenti penali in ordine alla probabile inosservanza da parte dell’imputato delle previsioni; peraltro, i precedenti consistevano in un solo precedente per evasione ed in un solo precedente per resistenza; il difensore aggiunge che il Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Ancona, pienamente consapevole dei fatti oggetto del presente procedimento, aveva già ritenuto l’imputato meritevole della misura della detenzione domiciliare; non erano poi stati considerati la non giovane età dell’imputato e l’attuale sua situazione di vita, come documentata dalla difesa; la sentenza risultava quindi manifestamente illogica nell’aver implicitamente ritenuto superflua l’acquisizione di informazioni al fine di valutare, in termini di attualit l’affidabilità o meno del condannato (settimo motivo). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, come tale, va respinto.
1.1. Relativamente al primo motivo di ricorso, si deve ribadire che, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la qualità del dichiarante, secondo un primo orientamento di questa Corte (Sez. n. 29357 del 22/03/2019, B., Rv. 276856; Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, COGNOME, Rv. 263908), il divieto di utilizzazione nei confronti di terzi di dichiarazioni rese da persona che avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato, non attiene alle dichiarazioni rese al giudice da soggetto che mai abbia assunto la qualità di
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imputato o di persona sottoposta ad indagini, considerato che, a differenza del Pubblico ministero, il giudice non può attribuire ad alcuno, di propria iniziativa, l qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, dovendo solo verificare che essa non sia già stata formalmente assunta, sussistendo, in tal caso, l’incompatibilità con l’ufficio di testimone. Pertanto, il riferimento alla posizi sostanziale del dichiarante non esaurisce la verifica dei presupposti di applicabilità dell’art. 63 cod. proc. pen., ma si estende alla necessità della successiva formale instaurazione del procedimento a suo carico.
L’orientamento di questa Corte, cui si ritiene dovere aderire, postula che l’inutilizzabilità nei confronti dei terzi prevista dall’art. 63 cod. proc. pen. p dichiarazioni rilasciate da persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato o imputato è subordinata, in ogni caso, alla condizione che il dichiarante sia colpito da indizi in ordine al medesimo reato ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo: si è conseguentemente affermato che devono ritenersi utilizzabili le dichiarazioni rese contro l’estorsore dal soggetto passivo del reato di estorsione che sia indiziato di favoreggiamento nei confronti dell’estorsore medesimo, perché rispetto al delitto da cui è offeso, il dichiarante si trova in una posizione di estraneità ed assume la specifica veste di testimone (Sez. 2, n. 2539 del 05/05/2000, Papa, Rv. 216299; nello stesso senso, Sez. 3, n. 18765 del 26/02/2003, COGNOME, Rv. 224910).
Fermo quanto precede, osserva il Collegio come, nella fattispecie, NOME COGNOME non risulta aver mai assunto la veste di indagato, per cui la denunciata violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. non sussiste.
Inoltre, non appare sussistere alcuna connessione tra i reati edilizi che secondo il difensore avrebbero dovuto comportare indagini a carico di Baleani ed il reato di estorsione; a tale proposito deve essere richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale restano al di fuori della sanzione di inutilizzabilità comminata dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., le dichiarazioni riguardanti persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano fin dall’inizio indizi a carico, poiché rispetto a questi egli si trova in una posizione di estraneità ed assume la veste di testimone, principio affermato fin da Sezioni Unite COGNOME (sent. n. 1282 del 09/10/1996, dep. 1997, Rv. 206846).
1.2. Quanto al secondo ed al terzo motivo di ricorso, trattabili congiuntamente, si deve rilevare che le dichiarazioni di NOME COGNOME, che pure potrebbero essere poste a base da sole delle sentenze di condanna, hanno trovato riscontro nelle affermazioni dello stesso ricorrente, che ha ammesso di avere ribadito a COGNOME la volontà di pagare i lavori fatti dallo stesso (pagg. 7 e
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11 della sentenza di primo grado), e non è in contestazione che nessun pagamento sia mai avvenuto.
1.3. Relativamente al quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, anch’essi a trattazione congiunta, le sentenze di merito hanno evidenziato la sussistenza dell’ingiusto profitto nel mancato pagamento per i lavori eseguiti e che la rinuncia al credito era avvenuta a seguito delle minacce; il fatto, quindi, che Baleani fosse tornato a chiedere il pagamento dopo tre mesi dall’incontro con l’imputato è del tutto irrilevante, posto che il reato si era già consumato al momento delle minacce ricevute e non ha inciso in alcun modo sull’ingiusto profitto ottenuto (la rinuncia al credito), il che impedisce anche che si possa parlare di delitto tentato; inoltre, l’eccezione secondo la quale il fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen. è inammissibile per non essere stata proposta in appello: è infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perchè non devolute alla sua cognizione (vedi, Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 255577; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316).
1.4. Quanto, infine, alla richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive, la motivazione della Corte di appello contenuta nell’ultima pagina della sentenza è logica e coerente con le risultanze processuali, e quindi esente da censure: la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato, come avvenuto nel caso in esame.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 14/01/2025