Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9626 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: MINISTERO DELL ‘ECONOMIA E DELLE FINANZE nei confronti di: COGNOME NOME avverso l’ordinanza del 10/10/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME annullamento con
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l ‘ rinvio
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha condannato il M inistero dell’ Economia e delle Finanze al pagamento della somma di euro 69.831,22 in favore di COGNOME NOME per l’ingiusta detenzione patita dal 24 /04/2017 al 1/03/2019 in quanto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di intestazione fittizia aggravato dall’ art. 7 legge 12 luglio 1991, n.203.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso il Ministero deducendo, con il primo motivo, motivazione mancante o contraddittoria in violazione dell’ art. 314 cod. proc. pen. con riguardo al presupposto del non aver concorso con dolo o colpa grave alla custodia cautelare subita. La motivazione, si assume, è apparente in quanto si limita a riprodurre lo schema argomentativo della sentenza assolutoria senza operare un autonomo accertamento in ordine all’eventuale concorso di colpa de ll’istante. La Corte ha considerato la condotta del COGNOME in termini di colpa lieve con riduzione de ll’ indennizzo nella misura del 20%, ma si tratta di valutazione non condivisibile in quanto la Corte ha omesso di valutare che il COGNOME era stato nominato amministratore della RAGIONE_SOCIALE e che tale società rappresentava lo strumento attraverso il quale veniva realizzato il monopolio illecito fondato sul potere mafioso della cosca COGNOME nel sistema di trasporto merci. Dalla sentenza di primo grado risulta che il controllo reale della società era nelle mani di NOME COGNOME come si desume dall’utilizzo delle risorse finanziarie della società per soddisfare le esigenze della famiglia NOMECOGNOME e che era lo stesso COGNOME a prelevare dalle casse sociali somme di denaro per garantire alla zia COGNOME NOME, coniuge di NOME COGNOME i mezzi per affrontare le spese dei viaggi necessari per raggiungere il coniuge per i colloqui in carcere e per sostenere economicamente il detenuto. Nel corso del procedimento penale non è stato contestato che il COGNOME, dopo l’arresto dello zio nell’ambito dell’operazione ‘P orto Franco ‘ , avente a oggetto infiltrazioni delle famiglie di ‘ndrangheta nei servizi mercantili dello scalo di Gioia Tauro, nella qualità di amministratore avesse tenuto condotte in favore del dominus dell’impresa, come peraltro confermato dalle dichiarazioni rese dall’istante nell’interrogatorio di garanzia. Non è escluso da alcun atto processuale che il COGNOME si sia adoperato per destinare risorse aziendali alle esigenze personali di un arrestato, essendo stato chiamato a svolgere le mansioni di amministratore sebbene avesse 25 anni e nessuna esperienza lavorativa.
La Corte della riparazione, secondo il Ministero ricorrente, ha omesso di spiegare per quale motivo non costituisca colpa grave aver accettato di assumere la carica di amministratore, pur senza avere esperienza e senza interessarsi alle vicende aziendali, e anche l’aver assunto comportamenti att ivi di assistenza con risorse societarie in favore di un soggetto arrestato nell’ambito di inchiesta di mafia. Non è chiaro per quale ragione questo comportamento sia configurabile come lieve leggerezza nè per quale ragione non sarebbe grave assumere cariche comportanti responsabilità nei confronti di società, soci e terzi senza tenere le condotte di garanzia degli interessi la cui protezione compete agli amministratori di società di imprese monopolistiche operanti in un contesto territoriale gravemente inquinato.
Nel provvedimento impugnato, si assume, il dolo e la colpa grave sono stati esclusi con motivazione apparente avulsa dalle risultanze processuali, tali da dimostrare una condotta dolosa. L’accettazione della carica di amministratore e la sottoscrizione degli atti inerenti alla qualifica assunta non sono comportamenti meramente passivi, così come
non è comportamento passivo l’amministrazione di risorse societarie in favore di un soggetto arrestato per mafia. Il giudice della riparazione non ha spiegato per quali ragioni tali condotte non sarebbero qualificabili in termini di contiguità con indagato per mafia che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integra quanto meno la colpa grave nella causazione della detenzione.
Con il secondo motivo, deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione nella quantificazione dell’indennizzo. La Corte territoriale ha omesso di indicare i fattori che hanno indotto a contenere la limitazione dell’indennizzo nella misura minima del 20%, laddove la consapevolezza di operare in un ambiente a rischio, il disinteresse dimostrato nella gestione, sostanzialment e rimessa allo zio, la permanenza in carica dopo l’arresto di questi, l’assunzione di indebite iniziative di distrazione di risorse societarie in favore di quest’ultimo , avrebbero dovuto determinare la riduzione dell’indennizzo in una misura ben più cospicua.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il giudice della riparazione ha valorizzato il giudizio espresso nella sentenza assolutoria in cui, pur riconoscendosi che la società amministrata dal COGNOME costituiva sicuramente uno strumento della cosca Pesce, si è ritenuto che la mera circostanza della nomina del COGNOME come amministratore non configurasse il reato contestato, non essendo idonea a integrare un’elusione della disciplina sulle misure di prevenzione, tanto più che lo stesso COGNOME aveva dichiarato di aver assunto la carica su richiesta dello zio NOME, poi arrestato, in capo al quale era rimasta la gestione societaria.
La condizione ostativa della condotta assistita da dolo o colpa grave è stata esclusa perché nella sentenza assolutoria si è ritenuto che non fosse provato che il COGNOME fosse consapevole del fatto che la società in questione fosse una realtà imprenditoriale riconducibile alla cosca Pesce; sulla base di tale argomento, si è ritenuta addebitabile al COGNOME unicamente una leggerezza, consistente nel sostanziale disinteresse e nella concreta inoperatività del ruolo formale dallo stesso rivestito.
Il giudice della riparazione si è, dunque, limitato a ripercorrere l’ iter motivazionale della sentenza assolutoria, valutando l’elemento soggettivo della condotta ascrivibile al
COGNOME secondo il medesimo criterio di valutazione che spetta al giudice della cognizione penale.
Non è, tuttavia, legittimo, nel caso concreto, aver escluso la condotta ostativa sul mero rilievo che non vi fosse la prova in capo al COGNOME della consapevolezza che la società RAGIONE_SOCIALE fosse una realtà imprenditoriale riconducibile alla cosca Pesce, trattandosi di argomento funzionale al giudizio di cognizione dell’illecito penale ma estraneo all’oggetto del giudizio sul diritto alla riparazione per ingiusta detenzione.
Il giudice della riparazione deve, infatti, svolgere un’autonoma valutazione vòlta a stabilire non tanto se la condotta di colui che chiede la riparazione integri gli estremi della fattispecie penale quanto piuttosto se tale condotta abbia avuto efficacia sinergica nell’indurre l’autorità giudiziaria , nella fase cautelare, a ritenere sussistente la gravità indiziaria a suo carico.
Il diritto alla riparazione non può essere riconosciuto sul mero presupposto che il giudice della cognizione penale abbia ritenuto non provato il dolo del delitto che ha dato causa alla misura cautelare; tanto in quanto il giudice della riparazione deve svolgere una diversa valutazione, imperniata sull’apparente fondatezza delle accuse al momento dell’adozione della misura cautelare e sul contributo eventualmente fornito a tale apparenza dal comportamento doloso o macroscopicamente imprudente dell’accusato, tale da indurre in errore l’autorità giudiziaria in merito al suo coinvolgimento nel reato.
P er tale ragione l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione tra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Reggio Calabria, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.
Così deciso il 6 marzo 2025