Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30488 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30488 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI POTENZA nel procedimento a carico di:NOME nato a MELFI il 14/08/1988
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza del 22/01/2025 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del PG in persona del Sostituto procuratore Generale il quale ha chiesto il rigetto del ricor
Esaminate le conclusioni scritte dell’Avvocatura dello Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
La difesa della parte resistente NOME ha depositato una memoria difensiva con la quale chiede pronunciarsi la inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Potenza con ordinanza assunta in data 22 gennaio 2025 ha accolto la richiesta di riparazione dell’ingiusta detenzione sofferta da NOME in relazione al procedimento penale promosso nei suoi confronti per il delitto di tentato omicidio ai danni del padre e gli ha riconosciuto un indennizzo pari ad euro 106.119,00, importo parametrato ad una detenzione pari a 450 giorni.
Rappresentava il giudice della riparazione che l’assoluzione era intervenuta in ragione di una diversa valutazione del compendio probatorio che aveva condotto ad una pronuncia di condanna in primo grado e che non ricorreva la causa ostativa della colpa grave in quanto, nel corso del giudizio, il SUMMA aveva anche prospettato l’esistenza di un alibi che rendeva incompatibile la sua presenza nel luogo e nell’orario in cui si era verificata l’aggressione nei confronti del genitore, le cui dichiarazioni accusatorie, erano state ritenute inattendibili nel giudizio di appello, in quanto contraddittorie su alcuni punti decisivi del riconoscimento che palesavano una errata percezione della persona offesa sugli elementi identificativi del suo aggressore.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza il quale deduce, per mezzo di due motivi di ricorso, violazione di legge con riferimento all’applicazione dell’istituto della ingiusta detenzione e carenza di motivazione in relazione alla ricorrenza di cause ostative, atteso che la misura cautelare era stata applicata sulla base di un solido quadro indiziario nei confronti del SUMMA, costituito dalle dichiarazioni accusatorie della persona offesa che aveva chiaramente riconosciuto il figlio quale autore dell’aggressione e dagli elementi di riscontro rappresentati dalle dichiarazioni di un altro testimone, al quale la persona offesa si era rivolta per chiedere aiuto dopo essere stato aggreditA e gravemente feri* nonché dal fatto che il figlio, al momento in cui veniva rintracciato dagli inquirenti, era intento a lavare gli indumenti che indossava all’atto dell’aggressione ed inoltre veniva rinvenuta e sequestrata una felpa che la persona offesa riconosceva nell’indumento indossato dall’aggressore al momento dei fatti.
Sotto diverso profilo assume la carenza assoluta di motivazione sulla circostanza che il COGNOME, a seguito dell’arresto, in sede di interrogatorio di
garanzia aveva omesso di fornire qualsiasi spiegazione dell’accaduto rifiutandosi di rispondere, in tal modo rendendo più solida la prospettazione dei fatti contenuta nell’editto cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento è limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).
L’art.314 comma I c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, COGNOME, Rv. 226004). In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
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dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, COGNOME ed altri, rv. 203637).
Poiché/ inoltre, la nozione di colpa è data dall’a rt . 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, COGNOME, Rv. 242034). Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27.5.2010, COGNOME, Rv. 247664). E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dovere ulteriormente precisare che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base dell’istituto (così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606).
Ciò premesso il giudice territoriale risulta essersi conformato a tali pacifici principi giurisprudenziali, avendo escluso profili di colpa sinergica in capo al ricorrente. Invero è stato affermato dal S.C. che la valutazione del comportamento del richiedente la riparazione, integrante la colpa grave ostativa alla liquidazione della indennità per la ingiusta detenzione, va
effettuata ex ante al momento dell’adozione del provvedimento privativo della libertà personale, tenendo peraltro conto di quanto successivamente accertato all’esito del ‘giudizio di merito, atteso che, se il giudizio riparatorio si limitasse a una valutazione critica sulla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, la valutazione prognostica demandata alla Corte finirebbe per coincidere con quella riservata al giudice del riesame, senza considerare che gli elementi di valutazione posti all’esame del giudice della cautela, potrebbero risultare incompleti, erronei, neutralizzati da emergenze di~ contrario o anche inutilizzabili. Invero il giudice della riparazione, ai fini della esclusione della riparazione per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili, ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (sez.4, n.41396 del 15/09/2016, Piccolo Rv.268238; n. 58001 del 24/11/2017, COGNOME, Rv. 271580; n.7225 del 12/12/2023, COGNOME, Rv.285828). Nella specie nel giudizio assolutorio è risultata del tutto esclusa la rilevanza indiziaria degli elementi su cui era stato fondato il giudizio di gravità indiziaria.
Se è vero poi che l’imputato è portatore di una conoscenza personale dei fatti che lo riguardano coevi e precedenti il fatto reato, va chiarito che la disciplina intervenuta in materia di giudizio riparatorio (art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188) ha aggiunto all’art.314 comma 1 cod.proc.pen. il seguente periodo “L’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’art.64 comma 3 lettera b) non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo”. Ciò comporta che non é possibile escludere il diritto alla riparazione in favore del ricorrente sulla base del mero silenzio da questo opposto all’assunzione dell’interrogatorio di garanzia (Sez.4, n.8615 del 08/02/2022, Z., Rv.283017 – 01; n.48080 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285425 – 01).
Manifestamente infondate sono pertanto le censure articolate dall’ufficio della Procura Generale le quali si limitano a valorizzare il patrimonio indiziario esistente al momento dell’adozione della cautela senza confrontarsi con l’esito del successivo giudizio di assoluzione, nel quale è stata riconosciuta la inattendibilità della fonte accusatoria su cui era basata la richiesta della misura cautelare, e quindi il fondamento dell’applicazione della cautela. La Corte di appello poi, nel provvedimento impugnato, ha escluso che il ricorrente abbia contribuito a rafforzare l’errata convinzione
del giudice della cautela con un proprio comportamento extra processuale coevo all’adozione della misura, ovvero con un comportamento processuale
successivo, così da giustificare il mantenimento della cautela.
Manifestamente infondata è anche la censura volta a valorizzare, come elemento ostativo alla riparazione, il silenzio serbato dall’indagato in sede di
interrogatorio di garanzia, trattandosi di condotta difensiva che, per legge, non può essere utilizzata per escludere il diritto del ricorrente, ingiustamente
cautelato, alla riparazione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 giugno 2025
Il consigliere estensore
COGNOMEIl Presidente ,