Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45999 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45999 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto
NOME COGNOME nato a San Marco Argentano (CS) il 17/09/1951
avverso la ordinanza del 22/05/2023 della Corte di appello di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio; con memoria scritta il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto dichiarare l’inammissibilità del ricorso letta la memoria scritta depositata dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata l’ordinanza del 22 maggio 2023 (depositata il 6 giugno 2024) con la quale la Corte di appello di Catanzaro – a seguito di annullamento con rinvio
disposto da Sez. 4, n. 40089 del 28/09/2022, di precedente ordinanza di accoglimento parziale del 16 febbraio 2021, che seguiva, a sua volta, ad altro annullamento con rinvio disposto da Sez. 4, n. 31891 del 25/06/2019 dell’ordinanza reiettiva del 25 ottobre 2018 della medesima Corte territoriale – ha (parzialmente) accolto la domanda avanzata da NOME COGNOME di riparazione per ingiusta detenzione con riferimento alla custodia cautelare in carcere patita per 161 giorni, dal 17 gennaio 2006 al 27 giugno 2006, e poi, per 79 giorni, in regime di arresti domiciliari, dal 27 giugno 2006 al 14 settembre 2006, in relazione al reato di omicidio aggravato in concorso e al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 12-quiquies legge n. 356 del 1992, delitti dai quali veniva assolto, rispettivamente con la formula “per non avere commesso il fatto” e “perché il fatto non sussiste”, con sentenza del 29 giugno 2010 emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, confermata, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, dalla sentenza pronunciata in data 3 febbraio 2015 dalla Corte di assise d’appello di Catanzaro, passata in giudicato.
Avverso il provvedimento in epigrafe indicato, con il quale è stata liquidata la somma di euro 61.102,81 (a seguito di annullamento con rinvio della precedente ordinanza del 16 febbraio 2021 che, in parziale accoglimento della domanda, aveva liquidato la somma di euro 47.517,73), l’interessato, tramite i propri difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
2.1 Lamenta l’interessato violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 314 e ss., 127, 19, comma 2, cod. proc. pen., e 111 Cost.
Si deduce che i giudici di appello, nell’impugnata ordinanza, si sono limitati a riconoscere l’indennizzo relativo ai giorni di custodia cautelare patiti, con il metodo aritmetico, omettendo di valutare gli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali, documentati dagli atti prodotti dalla parte.
Si premette che, dopo un primo annullamento con rinvio, disposto da questa Corte, dell’ordinanza emessa il 25 ottobre 2018, che aveva negato la riparazione per ingiusta detenzione, la Corte territoriale, con ordinanza del 16 febbraio 2021 si è limitata a riconoscere l’indennizzo relativo ai giorni di custodia cautelare patiti, con il metodo aritmetico, omettendo di valutare gli ulteriori danni, patrimoniali e non, documentati anche con una relazione tecnica; di qui, la seconda impugnazione accolta da Sez. 4, n. 40089 del 28/09/2022 che testualmente disponeva che l’ordinanza veniva «annullata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro in ordine all’eventuale configurabilità di ulteriori voci meritevoli di ristoro economico, conseguenti eziologicamente all’adozione del provvedimento cautelare. Alla stessa Corte si demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio dì legittimità», precisando che la decisione
impugnata, nel liquidare la somma applicando il criterio aritmetico, senza valutare le specificità positive o negative di ciascun caso, non si era, nella specie, confrontata con la documentazione allegata dall’istante, con particolare riguardo alla perizia del dott. COGNOME e ai relativi allegati.
Deduce la parte che, nonostante la chiarezza della pronuncia rescindente, la Corte di appello, nella ordinanza adottata in sede rescissoria e qui impugnata, ha reso un’ennesima decisione palesemente illegittima ed elusiva dei principi in tema di riparazione per ingiusta detenzione, pervenendo ad una quantificazione meramente simbolica.
Si osserva che una delle cause che ha portato alla erronea decisione qui impugnata è l’illegittima composizione del collegio della Corte di appello, di cui ha fatto parte il Giudice per le indagini preliminari che ha emesso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere e che il successivo 19 gennaio 2006 dispose il sequestro del 56% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE nominando un amministratore giudiziario.
Si deduce poi che non si è tenuto conto dell’odissea giudiziaria del prevenuto, avendo lo stesso affrontato ben tredici giudizi, tra i diversi procedimenti ed i relativi giudizi, a fronte dei quali gli ulteriori 15.000 euro riconosciuti l’ordinanza impugnata (rispetto ai 47.517,73 euro riconosciuti con la precedente ordinanza cassata) sono assolutamente risibili.
Quindi, riportando in ampi stralci la consulenza redatta dal dott. COGNOME si indica, per i danni patrimoniali, l’importo di euro 998.115,90, tra danno emergente e lucro cessante, considerando il grave danno all’immagine subita dal prevenuto e dalla RAGIONE_SOCIALE da lui rappresentata quale presidente del consiglio di amministrazione; il danno collegato alle dimissioni dalla carica, presentate per non arrecare ulteriore danno alla società e al licenziamento da parte della Banca Nazionale del Lavoro; si indicano i danni emergenti, compresa la perdita di retribuzione dal febbraio 2006 al 2010 pari ad euro 175.000; la perdita del compenso quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE dal 2006 al 2012, data del fallimento, dipeso anche dal sequestro del 35% delle quote, pari ad euro 247.000,00; la perdita del valore della quota sociale del 90% di partecipazione alla società (con separate richieste parte della famiglia ha presentato richiesta di risarcimento dei danni fisici, morali e patrimoniali).
Al medesimo ammontare si arriva, per il consulente tecnico di parte, anche in relazione al danno biologico, morale ed esistenziale subiti dal Daniele, esclusi i suoi familiari, per un totale complessivo, tra danni patrimoniali e non, di euro 1.898.115.90.
Si censura quindi l’ordinanza impugnata richiamando Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014, COGNOME, Rv. 259237-01; Sez. 4, n. 10123 del 17/11/2011, Rv 252026-
01, le Sez. Unite in materia e Sez. 4, n. 32069 del 19/05/2021 e si osserva che l’ordinanza impugnata incorre in un insanabile vizio motivazionale nella parte in cui, dover avere correttamente posto le premesse, ritiene idonea a compensare tutti gli effetti derivanti dall’ingiusta detenzione la somma aritmetica calcolata secondo i parametri di cui all’art. 315 cod. proc. pen., ritenendo non assolto l’onere del ricorrente di provare il maggior danno, nonostante i documenti allegati alla copiosa relazione del dott. COGNOME
Si contesta l’ordinanza impugnata laddove si motiva sulla rilevanza non mediatica della vicenda o solo regionale, affermandosi che, al contrario, la notizia dell’arresto è stata diffusa dai giornali e telegiornali regionali; sul comportamento asseritamente omissivo che avrebbe tenuto il Daniele nel procedimento relativo al suo licenziamento, non essendosi potuto difendere perché ristretto in carcere; sulle dimissioni volontarie dalla carica di Presidente del CdA della società, che, al contrario, erano imposte dalla misura cautelare, posto che dal carcere non avrebbe potuto gestire l’azienda, e che hanno portato al fallimento della società, anche in ragione del sequestro delle quote sociali.
Si rimarcano, ancora, i danni psicofisici, la perdita degli affetti (la propria compagna rimpatriata), la restrizione in carcere in una cella di transito, esposto al fumo da tabacco, nonostante fosse allergico.
Si sostiene, in ultimo, che la liquidazione meramente equitativa operata, in uno all’aumento di soli 15.000 euro calcolato considerando solo la perdita di attività lavorativa limitata al periodo di restrizione cautelare rendono il provvedimento palesemente contraddittorio.
Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio, evidenziando che le voci di danno erano “pacifiche”, come si deduce anche dalla circostanza che l’amministrazione non le aveva contestate; che erano notori sia le spese sostenute che il danno non patrimoniale subito e che erronea è la dedotta perdita patrimoniale connessa al licenziamento.
Con memoria scritta il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, deducendo che tutti i presunti pregiudizi sono derivati infatti non dalla detenzione ma dalla pendenza giudiziaria, ha chiesto dichiarare l’inammissibilità del ricorso e respingere ogni altra richiesta di parte ricorrente; in subordine accertare e dichiarare l’infondatezza del ricorso e per l’effetto respingerlo unitamente ad ogni altra richiesta di parte ricorrente con ogni conseguente statuizione per ciò che concerne spese, diritti ed onorari del giudizio.
Con requisitoria scritta i difensori del NOME hanno ribadito la richiesta di annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alle statuizioni concernenti il danno all’immagine e alla reputazione sociale e va rigettato nel resto per le ragioni di seguito esplicate.
1.1 E’ opportuno precisare che l’ordinanza impugnata – dopo un primo annullamento con rinvio dell’ordinanza con cui la Corte territoriale aveva rigettato la domanda e dopo un ulteriore annullamento di una seconda ordinanza che aveva parzialmente accolto la richiesta, liquidando in via equitativa per l’ingiusta detenzione subita la somma di euro 47.517,73 – ha parzialmente accolto la richiesta avanzata dal ricorrente e, a fronte di una domanda di liquidazione della somma di euro 516.456,90 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, ha liquidato la somma di euro 46.102,81 in via equitativa, moltiplicando per i giorni in detenzione carceraria e agli arresti domiciliari il coefficiente pari rispettivamente ad euro 235,82 e ad euro 117,91, cui ha aggiunto, sempre in via equitativa, in rapporto alla durata della sottoposizione al vincolo cautelare, la somma di 15.000, per «l’ulteriore pregiudizio derivante solo dalla perdita di attività lavorativa…».
1.2 La parte lamenta, con un unico composito motivo che, in sede rescissoria, la Corte di appello territoriale, pur richiamando i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riparazione per ingiusta detenzione, non ha fatto buon governo degli stessi, avendo riconosciuto al ricorrente solo 15.000 euro in più rispetto al mero calcolo aritmetico pari ad euro 46.102,81, così pervenendo ad una somma valutata come risibile, a fronte di una richiesta che lamentava una serie di danni subiti dall’ingiusta detenzione, dimostrata dalla consulenza del dott. NOME COGNOME di cui, nonostante la chiara indicazione di questa Corte in sede rescindente, non si era tenuto conto, aggiungendo, in premessa, che una delle cause che avrebbe portato all’erronea decisione assunta riguarda l’illegittima composizione del collegio giudicante, di cui faceva parte il giudice che aveva applicato la misura cautelare e disposto il sequestro delle quote della società, il cui consiglio di amministrazione era presieduto dal ricorrente.
Con riferimento a quest’ultimo profilo e solo per mera completezza, va evidenziato che la parte deduce l’illegittima composizione del collegio lamentando che essa avrebbe originato l’errore motivazionale presente nel provvedimento impugnato, senza tuttavia sollevare una questione di nullità della decisione, questione che sarebbe comunque manifestamente infondata in ragione della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., allorché non rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, né tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non è
causa di nullità ai sensi dell’art. 178, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. (fra le tante, Sez. 6, n. 12550 del 01/03/2016, K., Rv. 267419-01; in termini conformi: Sez. 6, n. 3042 del 04/11/2015, dep. 2016, Bove, Rv. 266326-01; Sez. 6, n. 39174 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 264637-01; Sez. 1, n. 10075 del 25/06/2014, COGNOME, Rv. 263179-01; Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, COGNOME, Rv. 262302-01; Sez. 6, n. 25013 del 04/06/2013, Shkurko, Rv. 257033-01).
1.3 Tanto premesso, a fronte di un provvedimento in cui – salvo che per la parte relativa al danno all’immagine – sono state puntualmente esposte le ragioni in base alle quali la Corte di appello, attenendosi alle indicazioni contenute nella sentenza di annullamento di Sez. 4, n. 40089 del 28/09/2022, ha ritenuto che non sussistono i presupposti per liquidare una somma corrispondente a quella richiesta o comunque superiore a quella infine liquidata, la parte muove doglianze in cui continua a sostenere la validità delle conclusioni cui è pervenuto il consulente di parte, senza indicare e tanto meno allegare al ricorso la relazione del consulente e gli atti dai quali desumere la prova di quanto da questi sostenuto e senza offrire elementi di segno contrario rispetto al percorso logico seguito dalla Corte di appello.
Nel pronunciare l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del 16 febbraio 2021, depositata il 01/10/2021, la Quarta Sezione di questa Corte con sentenza n. 40080 del 28/09/2022 ha evidenziato che la Corte di merito non si era in alcun modo confrontata con la documentazione allegata dall’istante, con particolare riguardo alla perizia del dott. COGNOMEriportata per ampi stralci nel ricorso) e ai relativ allegati; che aveva omesso del tutto di considerare che l’applicazione del criterio aritmetico indicato da Sez. U, n. 24287 del 09/05/2001, Ministero del Tesoro e Caridi, Rv. 218975, non esime il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, di integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle differenti situazioni sottoposte al suo esame, così applicando, in aggiunta al criterio aritmetico, la liquidazione equitativa dell’indennità per le ulteriori conseguenze personali e familiari derivanti dalla ingiusta privazione della libertà (cfr. Sez, 4, n. 28126 del 07/05/2019, COGNOME, Rv 276568-01).
Ebbene la Corte rescissoria, rispondendo ed attenendosi a quanto affermato in sede rescindente, si è confrontata, come si vedrà, con la consulenza del dott. COGNOME analizzandone le singole voci e soffermandosi su ognuna di esse, non in termini astratti, ma valutando le specificità del caso posto al suo esame.
Nessuna censura può essere mossa all’ordinanza impugnata nella parte in cui evidenzia che i pregiudizi suscettibili di essere valutati ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, sono solo quelli conseguenti al periodo di privazione della libertà
personale: per converso, come osservato anche nella memoria presentata nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i pregiudizi lamentati, e quantificati nella consulenza redatta dal dott. COGNOME sono derivati non dalla detenzione subita, ma dalla pendenza giudiziaria, che ha costretto il prevenuto, come affermato nel ricorso, a dover affrontare una serie numerosa di giudizi (Si indica il numero di 13, che sono tutti relativi al processo alla pendenza giudiziaria e non alla fase cautelare), con incarichi rivolti a vari avvocati
2.1 Nello specifico, il danno collegato al licenziamento da parte della Banca Nazionale del lavoro, nonché i danni emergenti, compresa la perdita di retribuzione dal febbraio 2006 al 2010, che nella consulenza viene fissata in euro 175.000, unitamente alla perdita del compenso, pari ad euro 247.000,00, quale Presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE dal 2006 al 2012, data del fallimento, dipeso, a dire del ricorrente, anche dal sequestro del 35% delle quote e alla perdita del valore della quota sociale del 90% di partecipazione alla società sono stati ritenuti dalla Corte di appello, con un percorso logico immune da censure, pregiudizi connessi alla pendenza giudiziaria e non alla detenzione subita.
In particolare, con riferimento al licenziamento, ha osservato la Corte di appello «che lo stesso è una conseguenza diretta non esclusivamente dell’arresto e della misura cautelare applicata all’istante, ma anche delle iscrizioni e pendenza del procedimento penale a suo carico, come dimostra il tenore letterale della missiva di licenziamento prodotta agli atti datata al 19 aprile 2006, dunque ben tre mesi dopo la sottoposizione del Daniele alla misura cautelare; in tale missiva si specifica che il licenziamento è stato anche determinato dalla mancata risposta alle contestazioni scritte che erano state elevate nei confronti dell’istante e dunque il rapporto con la banca è stato risolto. Pertanto, anche in ragione del comportamento omissivo del NOME, l’istituto di credito ha deciso di interrompere il rapporto di lavoro per il venir meno del rapporto fiduciario. Tale concorso colposo della condotta del NOME nella risoluzione del rapporto lavorativo non può che determinare un ridimensionamento dell’indennità liquidabile, che va limitata al periodo di sottoposizione del predetto alle misure cautelari».
A fronte delle logiche osservazioni della Corte di appello, la parte contesta la ritenuta sussistenza del comportamento omissivo che avrebbe tenuto il Daniele nel procedimento relativo al suo licenziamento, affermando che lo stesso non si è potuto difendere perché ristretto in carcere, limitandosi tuttavia a contestare il concorso apparente del ricorrente – laddove non avrebbe risposto alla lettera di licenziamento, che si sarebbe determinato anche in ragione di tale omissione senza allegare alcun atto da cui ripercorrere la sequenza degli eventi e senza offrire elementi di segno contrario sulle sorti del licenziamento, sulla confutazione
nelle sedi competenti dell’addebito, sugli esiti delle eventuali vertenze, che avrebbero potuto dare conferma a quanto solo apoditticamente affermato e che rendendo il ricorso sul punto non autosufficiente.
Senza incorrere in alcun vizio logico e senza entrare in contraddizione (come sostenuto dalla difesa), ma anzi motivando in maniera puntuale e specifica, la Corte territoriale ha quindi escluso il pregiudizio nei termini lamentati dal ricorrente, riconoscendo solo la perdita di attività lavorativa limitatamente alla durata della sottoposizione del vincolo cautelare, liquidando la somma ulteriore di 15.000,00 euro in via equitativa secondo criteri non arbitrari o immotivati e tale valutazione è del tutto immune da censure posto che, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento costante, in tema di ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione é sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merit abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Spedo, Rv. 281513-02), vizi, questi, che, per le ragioni esposte, non si ravvisano.
2.2 Per le stesse considerazioni appena esposte, alcuna censura può essere mossa all’ordinanza impugnata con riferimento alla perdita del compenso, indicata nella relazione di consulenza come pari ad euro 247.000,00, quale Presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE dipeso, a dire del ricorrente, anche dal sequestro del 35% delle quote e alla perdita del valore della quota sociale del 90% di partecipazione alla società.
La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di un pregiudizio, evidenziando sul punto che il Daniele «si è volontariamente dimesso da tale incarico. Nè giova rilevare che tanto l’istante abbia fatto per non arrecare ulteriore danno e pregiudizio alla predetta società, alla quale, dagli stessi atti prodotti a corredo di distanza, risulta essere già stata interessata, in passato, (anno 2002) da provvedimenti di sequestro ed è stata sottoposta a sequestro preventivo nell’ambito dello stesso procedimento penale nel quale NOME NOME è stato tratto in arresto e sottoposto a misura cautelare e, semmai, è da tale provvedimento cautelare reale che sono derivate da perdite successive, atteso che già nell’immediatezza del suo arresto, il NOME si era volontariamente dimesso dall’incarico di Presidente del consiglio di amministrazione e dunque la sua detenzione non può avere direttamente causato danni alla Skorpion.».
A fronte di tali logiche e motivate considerazioni, il ricorrente rappresenta che le dimissioni volontarie dalla carica di Presidente del CdA della società erano, al
contrario, imposte dalla misura cautelare, posto che dal carcere non avrebbe potuto gestire l’azienda, e che esse hanno portato al fallimento della società, anche in ragione del sequestro delle quote sociali: anche in questo caso, tuttavia, la parte non ha allegato gli atti dai quali desumere la prova di quanto sostenuto né ha offerto elementi di segno contrario rispetto a quanto puntualmente affermato dalla Corte di appello nella parte in cui ha escluso una effettiva incidenza della vicenda cautelare personale (e non reale) sulle sorti della società e sulla perdita del compenso, ed ha valorizzato un dato significativo della complessiva scarsa incidenza della carcerazione – sul quale la parte non muove osservazioni a confutazione – ossia la circostanza che il Tribunale di Catanzaro, nel decidere «il rigetto del reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la Curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE, analizzando le cause del fallimento non ha operato alcun accenno né alla vicenda cautelare del NOME, né al procedimento penale nel quale la stessa società è stata sottoposta, in quota, a sequestro preventivo».
2.3 Anche in relazione ai danni psicofisici, alla perdita degli affetti, all restrizione in carcere in cella di transito, la parte – che comunque ha avuto liquidata una somma di importo non esiguo per l’ingiusta detenzione subita reitera le medesime doglianze, omettendo di allegare gli atti a sostegno di quanto affermato e senza offrire elemento di segno contrario rispetto alle valutazioni della Corte di appello.
Nel rimarcare, tra l’altro, l’inidoneità della mancanza di documentazione medica («l’ultima certificazione risale al 2014 e dalla stessa non emerge la prescrizione di alcuna terapia farmacologica»), la Corte territoriale ha fatto, anche sul punto, corretta applicazione dei principi di diritto espressi da questa Corte, in una pronuncia risalente, giammai confutata, nella quale, con riferimento al danno psichico, ha avuto modo di precisare che le ripercussioni psichiche derivanti dalla ingiusta detenzione vanno autonomamente indennizzate solo ove diano luogo ad un danno alla salute ossia ad una lesione psichica permanente, diversamente restando ricomprese nella determinazione dell’indennizzo in base al calcolo aritmetico (Sez. 3, n. 15665 del 10/03/2011, B., Rv. 250004-01) e in altra recente decisione assunta da Sez. 4, n. 18361 del 11/01/2019, Rv. 276259-01 secondo cui il “quantum” dell’indennizzo, calcolato secondo il criterio aritmetico, deve essere opportunamente aumentato o ridotto all’esito della dovuta valutazione delle eventuali specificità positive o negative del caso, che, anche in questo caso, appaiono legati più che alla detenzione subita, al procedimento penale che ne è scaturito.
Alcuna censura può, dunque, essere mossa alla Corte di appello che, nell’esaminare, in ossequio al dettato della Corte rescindente, la documentazione
allegata dalla parte in uno alla relazione del dott. COGNOME ha motivato in maniera puntuale e specifica, senza incorrere in vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà in ordine alle voci di danno fino a qui analizzate, rispetto alle quali il proposto ricorso va pertanto, per le ragioni sopra espresse, rigettato.
A diverse conclusioni si giunge invece con riferimento alla valutazione operata dalla Corte di appello in ordine all’incidenza della detenzione subita sul danno all’immagine e alla reputazione, profilo, questo, in relazione al quale il ricorso appare fondato.
3.1 Sul punto va ricordato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini della configurabilità dello strepitus fori di cui tener conto nella liquidazione dell’indennizzo, è necessario che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali siano non solo allegate, ma circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita (Sez. 3, n. 17408 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284496-01) e che il giudice, nel liquidare l’indennità, fermo restando l’importo massimo stabilito dalla legge, può discostarsi dal parametro aritmetico ove la parte assolva all’onere di allegare l’esistenza di danni ulteriori rispetto alle normali conseguenze della privazione della libertà personale, la loro natura e i fattori che ne sono causa, e sia raggiunta la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di tali danni e del nesso causale con la detenzione (Sez. 4, n. 19809 del 19/04/2019 Cc., Candiano, Rv. 276334-01).
3.2 Con riferimento a tale voce di danno la Corte di appello ha dato conto delle allegazioni di parte concretizzatesi, nello specifico, in articoli di giornale motivando il diniego di indennizzo per i danni subiti all’immagine e alla reputazione in ragione del fatto che gli articoli «hanno focalizzato l’attenzione, prevalentemente, sul procedimento penale e solo pochi, sulla misura cautelare applicata al Daniele (si noti per esempio che molti hanno dato risalto al sequestro delle quote della società Skorpion); inoltre, la pubblicazione degli articoli si è limitata a pochi giorni (dal 18/01/2006 al 23/01/2006) ed è avvenuta su giornali a tiratura locale e/o regionale e in nessuno di quelli prodotti, compare la foto del NOME associata all’arresto. Dunque non vi è stato un clamore mediatico spropositato che sia stato conseguenza diretta dell’arresto e della misura cautelare subita dal NOME e, pertanto, deve ritenersi che non vi sia stato un surplus di effetto lesivo da atto legittimo (la misura cautelare) rispetto alle gravi, ma ricorrenti e, per così dire, fisiologiche, conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto, che come alone di discreto sociale (Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014)».
3.3 La motivazione sul punto, per le ragioni che si diranno, risulta manifestamente illogica e contraddittoria.
3.4 Premesso che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, ove l’istante alleghi la sussistenza di danni ulteriori mediante il riferimento a specifiche circostanze ritenute dal giudice idonee in astratto a giustificare l’incremento dell’indennizzo, sebbene gravi sull’istante l’onere di provare quanto allegato, è affetta da illogicità la motivazione del provvedimento che neghi la sussistenza in concreto di tali danni ulteriori, senza che il giudice abbia previamente invitato la parte a provvedere alla prova o al suo completamento (Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277510-01), deve ritenersi che sia parimenti affetta da illogicità la motivazione di un provvedimento che, come nel caso in esame, neghi la sussistenza in concreto di danni ulteriori, laddove l’istante, su cui grava l’onere di provare quanto allegato, non solo alleghi la sussistenza degli stessi mediante il riferimento a specifiche circostanze ritenute dal giudice idonee in astratto a giustificare l’incremento dell’indennizzo ma abbia anche provveduto alla prova e al completamento dei danni ulteriori.
Nel caso di specie, nonostante venga riconosciuto che la vicenda ha avuto comunque clamore mediatico, sia pur definito non spropositato, con pubblicazioni di articoli di giornali per un certo lasso di tempo e a ridosso dell’applicazione della misura cautelare (il ricorrente è stato detenuto dal 16 gennaio 2006 e gli articoli sono stati pubblicati subito dopo), la Corte territoriale nega l’esistenza di un pregiudizio valorizzando la circostanza che la pubblicazione si è limitata ad alcuni giorni, con una affermazione contraddittoria in quanto cinque giorni consecutivi di pubblicazione sono normalmente riservati a casi che suscitano interesse nel lettore, in conseguenza, ma anche con conseguente clamore mediatico; che in molte pubblicazioni si è dato risalto al sequestro delle quote e che in nessuna vi è la foto del ricorrente associata all’arresto, senza considerare che il disvelamento anche della sola identità del ricorrente è potenzialmente idoneo a recare un pregiudizio; che le pubblicazioni hanno avuto una tiratura locale e/o regionale, circostanza, questa, che non neutralizza ma anzi forse amplifica lo strepitus fori laddove, come nel caso di specie, la vicenda è avvenuta in una città di provincia e ha riguardato una persona che in quella realtà viveva ed era verosimilmente conosciuta, con inevitabile discredito sociale.
3.5 Alla luce di queste considerazioni, l’ordinanza impugnata va annullata limitatamente alle statuizioni concernenti il danno all’immagine ed alla reputazione sociale, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Catanzaro che, nell’accertare motivatamente se e in che termini vi sia stato un pregiudizio per il Daniele emergente dagli atti allegati dalla parte, colmi le contraddizioni e le illogicità evidenziate, tenendo conto delle considerazioni di cui si è detto più sopra.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata, limitatamente alle statuizioni concernenti il danno all’immagine ed alla reputazione sociale con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Catanzaro. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 12/11/2024.