Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 16377 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/03/2025
lette le conclusioni della Procura generale.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 dicembre 2024, la Corte d’Appello di Bari ha accolto la domanda formulata da NOME per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta privazione della libertà personale sofferta dal 18 gennaio 2018 per 363 giorni (di cui gg. 187 di custodia carceraria e gg. 176 di arresti domiciliari), nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti di numerosi soggetti indagati per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990, per avere tra il 15 e il 18 ottobre 2016 detenuto, offerto e trasportato in concorso con NOME COGNOME e altri soggetti rimasti ignoti, 10 kg. di sostanza stupefacente tipo marijuana tra l’Italia e l’Albania. Da tali accuse COGNOME era stato prosciolto in grado d’appello dalla Corte di appello di Bari, con sentenza del 10 maggio 2021, divenuta irrevocabile il 21 ottobre 2021, con la formula “per non aver commesso il fatto”.
Contro tale ordinanza il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ha proposto tempestivo ricorso deducendo un manifesto difetto di motivazione. Secondo il PG ricorrente, l’ordinanza sarebbe errata nella motivazione i perché sarebbe stato violato il principio di autonomia del giudizio di merito rispetto a quello della riparazione e perché la sentenza avrebbe errato nel non qualificare come colpevole il comportamento del COGNOME.
Con memoria scritta, tempestivamente depositata, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di cassazione ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
È opportuno evidenziare che l’ordinanza impugnata ha escluso che il COGNOME abbia dato causa, con condotte dolose o gravemente colpose anche extra processuali, al provvedimento restrittivo, che, ad avviso del Procuratore generale ricorrente, sarebbero invece concretizzate dalle frequentazioni ambigue realizzate dall’istante con soggetti coinvolti in traffici illeciti.
In particolare, la Corte d’appello ha sottolineato che il giudice della cognizione, nell’assolvere l’istante, ha escluso, in quanto l’identificazione della polizia giudiziaria era avvenuta confrontando due volti a distanza di mesi dal fatto, che potesse identificarsi con certezza il COGNOME nella persona che, come emerso dall’intercettazione, aveva preso appuntamento con NOME COGNOME e poi lo aveva raggiunto a bordo dell’autovettura utilizzata per lo scambio del carico di
1/.
kg. 10 di marijuana, mentre la sentenza di primo grado aveva ritenuto di poter accertare che la persona in questione fosse il COGNOME perché l’automobile, pur intestata alla sorella, era utilizzata proprio dall’istante, il quale era stat riconosciuto dagli investigatori.
Dunque, posto che il giudice della cognizione ha espressamente escluso l’identificazione della persona a bordo dell’autovettura nell’istante, il giudice della riparazione ha correttamente ritenuto che non potesse essere considerato come rilevante, ai fini della valutazione della colpa grave nella causazione della restrizione in capo al Kertusha, tale condotta.
Si tratta di parametro decisionale conforme ai principi espressi dalla Corte di legittimità ai fini del giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione.
Tale giudizio è connotato da totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché ha lo scopo di valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno il giudice in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare. Ai fini dell’esistenza del diritto all’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione o quella funzionale tra durata della custodia ed eventuale misura della pena; con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (così Sez. U., n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606; Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; Sez. 4, Sentenza n. 3359 del 22/09/2016, dep.2017, COGNOME, Rv. 268952).
Di conseguenza, il giudice della riparazione non può ritenere l’esistenza di fatti esclusi dal giudice del processo di cognizione, mentre può rivalutare, non ai fini dell’accertamento della penale responsabilità, ma ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione, i fatti anche penalmente irrilevanti, accertati e non esclusi dal giudice del merito (Sez. 4, sent. n. 27397 del 10 giugno 2010, Rv. 247867). Costituisce infatti condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo una condotta dolosa o gravemente colposa che si ponga in apprezzabile collegamento causale con il provvedimento che ha dato luogo alla restrizione cautelare (Sez. 4, n. 43457 del 29/9/2015, Rv. 264680).
4-
7. Il ricorso, in definitiva, poggia sull’erroneo convincimento che il principio di autonomia tra il giudizio di cognizione e quello di riparazione sia da intendere
nel senso che in sede di riparazione i fatti rilevanti possano essere valutati a prescindere dal fatto che gli stessi siano stati esclusi dal giudice della cognizione.
Per tale ragione, oltre che in manifesto contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, i motivi non colgono pienamente i contenuti della
motivazione che intendono contrastare.
3. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso, il 27 marzo 2025.