Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28435 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28435 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 01/09/1968
avverso l’ordinanza del 29/01/2025 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 29.1.2025 la Corte di appello di Potenza ha rigettato l’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. avanzata per NOME COGNOME in relazione alla sottoposizione del medesimo alla misura della custodia cautelare in carcere dal 9.5.2018 al 19.12.2018 e successivamente degli arresti domiciliari dal 20.12.2018 al 17.10.2019 in esecuzione dell’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Potenza in quanto gravemente indiziato del reato di cui agli artt. 74, commi 1,2, 3 e 4 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 del 1990.
A seguito di due annullamenti di questa Corte di legittimità, il Tribunale del riesame di Potenza, annullava l’ordinanza genetica disponendo la remissione in libertà del Morchid.
Quanto al merito, il Tribunale di Matera con sentenza in data 11.4.2024, divenuta irrevocabile, assolveva il Morchid dai reati a lui ascritti.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha motivato il diniego dell’istanza sul rilievo che la condotta del COGNOME in occasione dell’arresto ha contribuito ad ingenerare la rappresentazione della condotta illecita oggetto di imputazione.
Avverso tale ordinanza COGNOME COGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un motivo con cui deduce “la violazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 643 cod.proc.pen. per avere la Corte di appello ritenuto che l’errore giudiziario in cui é incorso COGNOME sia dipeso dalla condotta di quest’ultimo”.
Si assume l’erroneità della valutazione compiuta dalla Corte d’appello laddove ha ritenuto che il COGNOME abbia concorso a dare causa allo stato privativo della libertà in quanto tratto in arresto nel febbraio 2018 ed in ragione delle conversazioni intercettate con NOME COGNOME
Si osserva inoltre che la Corte di Cassazione aveva già annullato due volte l’ordinanza emessa in sede di riesame, difettando il requisito della gravità indiziaria e che il COGNOME era stato sottoposto alla misura cautelare non già per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, per il quale era stato tratto arresto, bensì per il reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 sicché i richiamo all’arresto é inconferente.
Inoltre si sottolinea che il Tribunale di Matera, che ha pronunciato l’assoluzione, aveva a disposizione gli stessi elementi probatori di cui già disponeva il Gip in sede di emissione della misura cautelare.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é fondato.
1.1. Una breve premessa riguarda l’oggetto del presente giudizio.
Va, invero, ribadito che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, cosicché l’oggetto del giudizio é perimetrato dalla causa petendi e dal petitum indicati dalla domanda introduttiva.
Vi sono due diverse ipotesi di applicazione dell’istituto in esame: la prima, disciplinata dal primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., riguarda la, così detta, “ingiustizia sostanziale” della detenzione e si verifica quando una persona, prosciolta perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, era stata sottoposta, per quel fatto, a misura cautelare privativa della libertà personale; la seconda, disciplinata dall’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., riguarda la così detta “ingiustizia formale” e si verifica quando una persona, prosciolta per qualsiasi causa o anche condannata, sia stata sottoposta, nel corso del procedimento o del processo, a misura cautelare privativa della libertà personale e si sia accertato, con decisione irrevocabile, che la misura era stata disposta o mantenuta «senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280» del codice di rito.
1.2. Nella specie l’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. proposta da NOME COGNOME era volta genericamente ad ottenere l’indennizzo per la privazione della libertà personale sofferta in relazione alla contestazione del reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 senza in alcun modo richiamare una specifica ipotesi di ingiustizia ed in particolare quella formale.
Fatta questa premessa, una volta perimetrato l’oggetto del giudizio, la Corte d’appello di Potenza ha rigettato l’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. avanzata da NOME COGNOME diffondendosi su quanto argomentato nell’ordinanza applicativa della misura e reputando che l’istante, sottoposto a misura cautelare detentiva in relazione al reato di cui all’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990, avesse contribuito con la sua condotta ad ingenerare l’errore in cui era incorsa l’autorità giudiziaria e ciò in base a due elementi: 1) il suo arresto avvenuto nel febbraio del 2018, in quanto trovato in possesso di un rilevante quantitativo di
stupefacenti; 2) le conversazioni intercettate intrattenute in data 30.12.2017 e 7.1.2017 tra lo stesso e NOME COGNOME
1.3. Giova a questo punto sottolineare che per giurisprudenza consolidata, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è connotato da totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché ha lo scopo di valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno il giudice in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare. Ai fini della sussistenza del diritto all’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra durata della custodia ed eventuale misura della pena; con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria l’unzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto. (così Sez. U., n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606). La sentenza delle Sezioni unite n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663 ha precisato che la valutazione in parola deve essere effettuata ex ante, quindi deve ricalcare quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare: da un lato, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; dall’altro, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente.
Muovendo da queste premesse, la sentenza in parola ha chiarito che una condotta, già ritenuta idonea a integrare il grave quadro indiziario, può essere considerata gravemente colposa ai fini del diniego del diritto alla riparazione, quando l’assenza delle condizioni di applicabilità della misura venga accertata sulla base di elementi emersi in un momento successivo a quello della sua adozione; ma quella stessa condotta non può essere considerata gravemente colposa ai fini del diniego del diritto alla riparazione ove si accerti che tali condizioni difettavano ab origine e a tale accertamento il giudice della cognizione pervenga «sulla base degli stessi precisi elementi» che erano a disposizione del giudice della cautela «e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione». In questi casi – sottolinea la sentenza – «la possibilità del diniego del diritto alla riparazione per effetto della condizione ostativa della condotta sinergica del soggetto rimane effettivamente preclusa in forza dello stesso meccanismo “causale” che governa l’operatività della condizione in parola». La
rilevanza della condotta ostativa «si misura, infatti, non sulla influenzabilità della persona del singolo giudice, bensì sulla idoneità a indurre in errore la struttura
giudiziaria preposta alla trattazione del caso, complessivamente e oggettivamente intesa».
Si è tuttavia ribadito anche che nell’escludere il diritto alla riparazione per la ritenuta sussistenza di un comportamento doloso o gravemente colposo che
abbia “dato causa” (o concorso a dar causa) alla privazione della libertà
personale, il giudice della riparazione deve attenersi a dati di fatto «accertati o non negati» nel giudizio di merito (Sez. U n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996,
COGNOME, Rv. 203636).
Si è altresì sottolineato in proposito che l’autonomia tra i due giudizi non implica che il dolo o la colpa grave possano essere desunti da condotte che la sentenza
di assoluzione abbia ritenuto non sussistenti o non sufficientemente provate
(Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 21598 del
15/4/2014, Teschio, non mass.; Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993, dep., 1994,
COGNOME, Rv. 198491).
1.4. Nella specie l’ordinanza impugnata, con un evidente errore di impostazione, si fonda unicamente sull’ordinanza applicativa della misura custodiale, senza confrontarsi con le motivazioni poste a fondamento della sentenza di assoluzione. Ed inoltre valorizza ai fini dell’integrazione della condotta ostativa l’arresto del Morchid avvenuto in data 22.2.2018 per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, che palesemente non ha attinenza con la fattispecie di reato posta a fondamento della privazione della libertà personale, nonché una serie di conversazioni telefoniche, solo genericamente indicate, e di cui quindi non viene in alcun modo lumeggiata la efficacia sinergica in relazione all’errore ingenerato nell’autorità giudiziaria.
2. Alla luce di quanto esposto, deve, pertanto, disporsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Potenza, cui è rimessa anche la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Potenza, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 5.6.2025