Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18184 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18184 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN GIOVANNI IN FIORE il 29/04/1992
avverso l’ordinanza del 25/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso;
lette, altresì, le conclusioni rassegnate per il Ministero resistente dall’Avvocatura generale dello Stato, con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Catanzaro, decidendo su un’istanza di riconoscimento di indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da COGNOME NOME, con riferimento a un’ordinanza impositiva, nei suoi confronti, della misura della custodia cautelare in carcere per ricettazione originariamente aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1, cod. pen. e associazione per delinquere di tipo mafioso, ha rigettato la richiesta, ritenendo sussistere un comportamento del richiedente ostativo all’insorgenza del diritto azionato.
In particolare, il COGNOME era stato raggiunto dal titolo cautelare il 03/10/2016 per entrambi i reati, venendo poi assolto dal quello associativo e condannato in via definitiva per la ricettazione. L’incidente cautelare si era concluso, dopo un annullamento del giudice di legittimità, con la conferma del titolo. L’istanza è stata proposta in relazione alla circostanza che il COGNOME è stato condannato a una pena pari a giorni 485 per il reato di ricettazione, laddove la carcerazione preventiva subita era stata pari a giorni 641, con una differenza di giorni 156, in relazione ai quali è stato chiesto l’indennizzo.
La Corte della riparazione ha preliminarmente osservato che, nella specie, si versava in ipotesi di ingiustizia sostanziale, rispetto alla quale ha ritenuto che il richiedente avesse tenuto un comportamento improntato a dolo o colpa grave, causalmente collegato all’apparenza dell’originario quadro gravamente indiziario, erroneamente ritenuto a suo carico, con specifico riferimento al reato dal quale era stato assolto, vale a dire l’associazione per delinquere di tipo mafioso, facendo applicazione dei principi in materia di rilevanza delle frequentazioni ambigue, con riferimento alle ipotesi associative.
Tale comportamento è, secondo la Corte territoriale, ricavabile dal contenuto di una intercettazione, ritenuta utilizzabile dal giudice della cognizione e, quindi, valutabile in sede di riparazione, nel corso della quale l’uomo aveva interloquito di argomenti dal contenuto illecito con altri soggetti (tra cui il proprio padre, condannato in via definitiva per associazione a delinquere di tipo mafioso), manifestato una conoscenza delle dinamiche mafiose e formulato consigli sul comportamento necessario per ristabilire la pace tra le famiglie di ‘ndrangheta.
La difesa del COGNOME ha proposto ricorso, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione,
v
assumendo che il rigetto della riparazione sarebbe sganciato dal dettato normativo, siccome interpretato dal diritto vivente, l’iter motivazionale apparendo erroneo e privo di coerenza logica, avendo omesso di dare conto del modo in cui le emergenze processuali valorizzate fossero in rapporto eziologico con il provvedimento restrittivo, fondatosi sull’attività di ricettazione e su dichiarazioni di un collaboratore.
Il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME ha rassegnato proprie conclusioni, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura generale dello Stato per il Ministero resistente ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso va rigettato per infondatezza del motivo.
Il caso in esame riguarda una ipotesi di processo c.d. cumulativo, nella quale si era già posto nella giurisprudenza di legittimità il problema dell’assenza della formula assolutoria di merito, essendosi in passato registrato un contrasto sulla insorgenza del diritto alla riparazione nel caso di provvedimento coercitivo fondato su più contestazioni, sia pure in ipitesi di proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di esse.
Sul punto, è intervenuto il giudice delle leggi, investito della questione nei riunit giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 314, cod. proc. pen., promossi con ordinanze del 19 luglio 2006 dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, e del 30 marzo 2007 dalla Corte d’appello di Trieste, entrambi i rimettenti avendo dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 314 cit., «nella parte in cui non é pre il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misu della pena inflitta», in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 76 e 77 d Costituzione.
Dichiarata inammissibile la questione sollevata dalla Corte territoriale, che si era limitata a dare conto di quella, analoga, sollevata dal massimo consesso della nomofilachia, nell’esaminare quest’ultima (in fattispecie, nella quale l’imputato era stato prosciolto con sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 530, cod. proc. pen., dal più grave reato contestatogli, condannato in primo grado alla pena di dieci mesi di reclusione, quanto all’ulteriore imputazione, con declaratoria di estinzione del residuo reato in appello), il giudice delle leggi ha ritenuto che «solo in apparenza la posizione di chi sia stato prosciolto nel merito dall’imputazione penale si distingue da
quella di chi sia stato invece condannato (quanto, ovviamente, al solo giudizio circa l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta). In entrambi i casi, l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile. entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo costituzionale di indennizzare il pregiudizio». Ha, dunque, dichiarato l’art. 314, cod. proc. pen. costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare soffert condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.
A partire da questo momento e in applicazione di tali principi, il diritto vivente ha così riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, per esempio, a colui che abbia patito una custodia cautelare superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, alla quale abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione, pur non dovendosi tener conto, ai della quantificazione dell’indennizzo, della parte di detenzione cautelare patita che corrisponda alla condanna inflitta in primo grado (Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241855 – 01; Sez. 4, n. 15000 del 19702/2009, COGNOME, Rv. 243210 – 01). E, lungo tali, ormai imprescindibili, direttive, si è anche riconosciuto, per quanto qui di specifico interesse, il diritto alla riparazion qualora la durata della custodia cautelare sia superiore alla pena inflitta, sempre che nella condotta del richiedente non ‘siano individuabili condotte gravemente colpose che abbiano avuto un ruolo eziologico nell’adozione della cautela o nella protrazione della restrizione della libertà (Sez. 4, n. 17788 del 06/03/2012, COGNOME, Rv. 253504 – 01; n. 32136 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270420 – 01).
3. Nella specie, la Corte territoriale ha correttamente inquadrato la fattispecie al vaglio, operando la necessaria verifica in ordine alla condizione negativa di cui all’art. 314, co. 1, cod. proc. pen. e fornendo del ravvisato comportamento ostativo del ricorrente una motivazione assolutamente congrua, in relazione a elementi che sono stati tratti da prove dichiarate utilizzabili nel giudizio di cognizione (segnatamente gli esiti di intercettazioni), attribuendovi valenza ostativa alla stregua di una valutazione del tutto coerente con i principi più volte affermati in materia.
Si è già precisato, infatti, che la condizione ostativa può essere integrata anche da contiguità o frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento, purchè il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità a essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498 – 01; n. 29550 del 5/6/2019, COGNOME, Rv. 277475 – 01, in cui si è precisato che tale tipo di comportamento può
rilevare addirittura anche ove le frequentazioni intervengano con persone legate da rapporto di parentela, come nella specie, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non sian assolutamente necessitate; Sez. 3, n. 39362 del 08/09/2021, Quarta, Rv. 282161 01; Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282565 – 01).
Nella specie, le censure difensive non colgono nel segno, non emergendo alcuna violazione di legge, processuale o sostanziale, quanto all’applicazione dell’istituto azionato, la valutazione dell’esistenza di un comportamento gravemente negligente dell’interessato sinergicamente collegato alla restrizione della libertà personale essendo stata congruamente giustificata dai giudici territoriali attraverso un ragionamento che costituisce giudizio di puro merito che, ove congruo, non manifestamente illogico e non contraddittorio, è in questa sede incensurabile. La tesi difensiva, in base alla quale non vi sarebbero elementi per configurare la ritenuta condizione ostativa, avendo la Corte territoriale valorizzato elementi non considerati dal giudice della cautela, è smentita dalla natura degli elementi valorizzati dalla Corte della riparazione e dallo stesso stralcio di ordinanza riportato in ricorso, laddove è espressamente richiamato il compendio intercettativo. Del tutto correttamente il giudice della riparazione ha individuato il collegamento tra la situazione ambigua, enucleata dalla stessa esistenza, oltre che dal chiaro contenuto, del dialogo richiamato e l’apparenza di un quadro nel quale il COGNOME era stato erroneamente considerato intraneo al sodalizio stesso, avendo tenuto un atteggiamento di contiguità all’ambiente cirminale di appartenenza del proprio congiunto, circuito del quale ha manifestato di conoscere le dinamiche, spingendosi sino al punto di suggerire strategie per comporre contrasti tra le famiglie di ‘ndrangheta.
Al rigetto segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore del Ministero resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille.
Deciso il 07 maggio 2025
La Consigliera est.
GLYPH
NOME COGNOME
GLYPH
Il Preside te NOME COGNOME lampi