Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12266 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANIA il 04/11/1972
contro
Ministero dell’Economia e Finanze avverso l’ordinanza del 19/11/2024 della Corte d’appello di Catania
Letto il ricorso ed esaminati gli atti;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dal Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Catania ha respinto l’istanza di riparazione p l’ingiusta detenzione subita dal medesimo dal 30 al 21 agosto 2019 in custodia cautelare in carcere, disposta, con ordinanza del GIP del Tribunale di Catania, per il delitto di ricettazio dal quale è stato assolto dai giudici di merito, con sentenza del 26 aprile 2022, divenut irrevocabile.
L’esponente, con il primo motivo, ha censurato la decisione per inosservanza, illegittimità ed erronea applicazione dell’articolo 314, comma primo, cod.proc.pen., in relazion al requisito del non aver dato o concorso ad aver dato causa all’ingiusta detenzione per dolo o colpa grave.
Inoltre, ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione della norma suindicata, per l’assoluta carenza di motivazione in ordine al nesso causale tra la condotta colposa e i provvedimento restrittivo della libertà.
Il giudice della riparazione, nell’indicare i motivi che avrebbero reso il comportamento de ricorrente colpevole, si è discostato dai principi indicati dalla giurisprudenza di legitt secondo la quale non è consentito rivisitare gli elementi considerati dal giudice del merito nel pronuncia assolutoria.
La Corte territoriale ha utilizzato elementi, costituiti dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e dalle intercettazioni, da cui sarebbe stata ricavata la contiguità il clan malavitoso e la disponibilità del ricorrente a ricevere mezzi rubati presso la propria d Tuttavia, non è stato considerato che l’ingiusta detenzione patita dal ricorrente riguarda u solo episodio di ricettazione smentito dal giudizio assolutorio, essendo emerso che il ricorrent non era al corrente che il mezzo rubato era stato collocato nella sua proprietà, dopo che era stata abbattuta la recinzione.
Inoltre, è stato erroneamente interpretato il contenuto delle intercettazioni.
Il riferimento è ai colloqui in cui il Marchese si mostrava adirato, tanto da sollecitar punizione, verso colui che aveva avvisato le forze dell’ordine, mettendole al corrente che all’interno del suo terreno si trovava il mezzo rubato.
Secondo l’interpretazione del giudice della riparazione, tali colloqui manifesterebber connivenza con gli autori del furto.
Ad avviso del ricorrente, invece, il risentimento era riferibile al comportamento d soggetto che, attraverso la delazione, aveva messo a rischio la sua posizione, coinvolgendolo ingiustamente nella vicenda delittuosa per la quale successivamente sarebbe stato tratto in arresto.
La rappresentata ipotesi di connivenza non avrebbe potuto essere comunque considerata come espressiva di colpa grave, atteso che, non essendo stato contestato un reato di tipo
associativo, non si comprende in qual modo tale connivenza avrebbe potuto rappresentare un motivo di apparente concorso nel reato.
Nel caso di specie era evidente da subito che il Marchese non avesse preso parte al furto e non avesse consentito ai ladri di nascondere il mezzo rubato nel suo terreno, atteso che, sin dal momento del ritrovamento del trattore nel terreno del ricorrente, gli stessi operatori polizia giudiziaria avevano escluso la responsabilità dello stesso.
Quanto ai collaboratori di giustizia, uno soltanto, COGNOME COGNOME, aveva riferito, senz essere riscontrato in alcun modo, del coinvolgimento dello stesso COGNOME in condotte di ricettazione.
Ed ancora, la Corte distrettuale non ha in alcun modo indicato la sinergia tra un presunto comportamento colposo del ricorrente e l’adozione del provvedimento di applicazione della custodia in carcere.
2.1 Con il secondo motivo, è stata eccepita l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 314 cod.proc.pen., per assoluta carenza di motivazione in ordine alla condotta processuale del ricorrente il quale, in sede di interrogatorio di garanzia, ha rappresentato sua versione come poi è stata confermata dalla sentenza assolutoria.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria e ha concluso per il rigetto del ricorso;
L’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Prima di procedere all’esame analitico del primo motivo di doglianza, si reputa opportuno delineare, seppur in termini sintetici, il quadro normativo e giurisprudenziale riferimento in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di meglio inquadrare fattispecie in esame.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il giudice della riparazione, nel valutare se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili. Tale valutazione deve focalizzarsi, in particolare, sulla sussistenza di condotte che riveli eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. La motivazione del convincimento così raggiunto, se adeguata e congrua, risulta insindacabile in sede di legittimità (ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 27458 del 05/02/2019, Rv. 276458).
Va precisato che il giudice della riparazione deve verificare se la detenzione subita no trovi concausa in un comportamento che, pur non necessariamente integrante un illecito in sé considerato, sia comunque qualificabile come gravemente imprudente, imperito o negligente, tale da giustificare l’adozione della misura cautelare poi rivelatasi ingiusta.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno enucleato, con orientamento ormai consolidato, i contorni della nozione di dolo rilevante ai fini della disciplina in esame, chiarendo che de intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod.proc.pen. – non solo la condotta volt alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia e confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro de quod plerumque accidit”, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637).
Quanto al profilo della colpa, deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod.proc.pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autor giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personal nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 242034).
Poiché la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa riconoscimento del diritto alla riparazione, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, m prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione d provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Malsano, Rv. 242034).
E stato ancora affermato che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta gravemente colposa, per essere ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, deve essere potenzialmente idonea ad indurre in errore l’autorità giudiziaria in ordine alla sussistenza d gravi indizi di reità con specifico riguardo al reato che ha fondato il vincolo cautelare (Sez. 33830 del 23/04/2015, Dentice, Rv. 264318) e che la frequentazione di soggetti dediti al reato in contesti temporali e ambientali compatibili con la compartecipazione alla commissione del reato onera l’interessato di fornire con assoluta tempestività i chiarimenti discolpanti (Sez. n. 21575 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259212 e 259213).
In merito all’ambito temporale rilevante per la valutazione della condotta dell’interessat sempre le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingius detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247664).
Alla luce dei principi sopra illustrati, il provvedimento impugnato si palesa conforme dettato normativo e all’interpretazione giurisprudenziale consolidata, risultando immune dai vizi denunciati.
3.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, la Corte territoriale, senza incorrere manifeste illogicità o contraddittorietà, né in errori di diritto, ha individuato specifiche co riferibili al ricorrente, non escluse dalla sentenza di assoluzione, idonee a rappresentare un rilevante connivenza tra il Marchese e gli autori del furto del trattore.
L’elemento centrale su cui si fonda il ragionamento della Corte di merito è costituito da contenuto delle intercettazioni, la cui interpretazione risulta coerente con il complesso deg elementi probatori acquisiti.
Nell’ordinanza è stato puntualmente sottolineato che, come illustrato dal Tribunale, il gruppo criminale era all’oscuro delle intercettazioni in corso e pertanto, non ricollegando al stesse il ritrovamento e il sequestro del mezzo, aveva ritenuto che un vicino allevatore (“pecoraio”) avesse effettuato una “soffiata” alle forze dell’ordine.
Significativamente, i sospetti erano stati condivisi dal Marchese, il quale si e manifestamente adirato, non già nei confronti dei malviventi – circostanza che avrebbe denotato la presa di distanza dalle loro attività delittuose – bensì contro il presunto autore d “soffiata”, giungendo persino a proporre di punire il “colpevole” (è richiamata la conversazione n. 516 riportata a pag. 304 della sentenza: “Sono passato qua da NOME, quello, quello è stato!! Lui vuole che si fa un poco di bordello”).
Tale atteggiamento risulta ulteriormente confermato dalla frase “NOME è acceso come la benzina” (ivi, conv. n. 518), correttamente interpretata come ulteriore indice della rabbia d COGNOME contro il “pecoraio” e non certo contro gli autori del furto (ai quali, anzi, non ri avere mai contestato alcunché), tanto più che il gruppo aveva deciso di non procedere ad alcuna ritorsione, e ciò anche per evitare conseguenze negative per lo stesso COGNOME (cfr. di nuovo la conv. n. 518).
Ad arricchire il quadro indiziario contribuiscono le dichiarazioni del collaboratore giustizia COGNOME COGNOME il quale riferiva di avere appreso dallo stesso COGNOME che, laddove il proprietario dei mezzi di volta in volta rubati non si fosse mostrato disponibi
pagare per la loro restituzione (secondo il sistema c.d. del “cavallo di ritorno”), i ve venivano portati presso la sua ditta di autodemolizione per lo smontaggio e la rivendita dei pezzi.
Il giudice della riparazione, con argomentazione logicamente ineccepibile, ha ritenuto che le suddette intercettazioni, interpretate nel contesto della contiguità del Marchese con ambienti criminali – circostanza accertata dal Tribunale e non contestata dall’istante – non esprimevano affatto una dissociazione da parte dell’imputato dall’attività dei ladri del trattore, né tanto un diniego a prestare loro collaborazione. Al contrario, esse manifestavano una chiara vicinanza del prevenuto con il gruppo criminale, indirettamente confermata anche dalla circostanza che i ladri avevano scelto di lasciare il trattore rubato in un luogo evidentemente ritenevano sicuro.
Tale valutazione si pone in perfetta sintonia con la giurisprudenza consolidata di questa Sezione, secondo la quale integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia te consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una s contiguità (così, tra le altre, Sez. IV, 09/06/2021, n. 38629, non massimata).
Quanto al rilievo difensivo concernente la mancata contestazione al Marchese del delitto associativo e la conseguente asserita impossibilità di ritenere integrata l’ipotesi de connivenza, è necessario richiamare, in chiave confutativa, il principio secondo cui, ai fini del valutazione della colpa grave ostativa al diritto alla riparazione, “possono essere valorizza anche elementi esterni alla incolpazione, purché essi abbiano contribuito a delineare il quadro indiziario posto a fondamento del titolo cautelare erroneamente emesso dall’A.G.” (Sez. 4, n. 850 del 28/9/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282565, in cui il principio è stato affermato con riferimento alle “frequentazioni ambigue”).
In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente evidenziato l necessità di apprezzare in termini di imperdonabile leggerezza, specie nei reati contestati i concorso, il comportamento di chi, pur consapevole dell’attività criminale altrui, abb nondimeno tenuto atteggiamenti idonei a essere percepiti come indicativi di una sua contiguità ad essa (cfr. Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008; Sez. 4, n. 22629 del 07/04/2005).
Nel caso di specie, dunque, la Corte territoriale ha correttamente valutato come gravemente colposo il comportamento del COGNOME, il quale, lungi dal dissociarsi dall’attività criminosa degli autori del furto, ha manifestato, sia pure ex post, un atteggiamento d condivisione e collaborazione, creando così le condizioni per l’adozione del provvedimento cautelare nei suoi confronti.
Il nesso di causalità tra la condotta gravemente colposa e l’adozione della misura cautelare, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è stato adeguatamente evidenziato dalla Corte di merito, la quale ha posto in luce come proprio il comportamento del Marchese, percepibile dall’esterno come sintomatico di una sua contiguità con gli ambienti criminali e di una sua disponibilità a collaborare con i malviventi, abbia ingenerato l’erro
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convincimento dell’autorità giudiziaria circa il suo coinvolgimento nell’episodio di ricettazi oggetto dell’imputazione.
3.2 Privo di specificità si appalesa il secondo motivo di ricorso, con cui è censurat l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla condotta processuale del ricorrente il quale, sede di interrogatorio di garanzia, avrebbe fornito una versione dei fatti poi confermata dal sentenza assolutoria.
Il ricorrente, infatti, non illustra in maniera adeguata in qual modo, mediant l’interrogatorio di garanzia, l’indagato avrebbe smentito, o quantomeno diversamente spiegato, le suesposte circostanze, peraltro ricavate dalla stessa sentenza di assoluzione, sulla base delle quali è stata ritenuta la condotta gravemente colposa del Marchese, sinergica rispetto all’adozione della misura cautelare.
In assenza di una puntuale indicazione dei contenuti dell’interrogatorio che avrebbero potuto condurre ad una diversa valutazione, la censura si risolve in una generica contestazione del provvedimento impugnato, inidonea a scalfirne la tenuta logico-giuridica.
Alla declaratoria di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.
Il ricorrente deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese sostenute da Ministero resistente in questo grado di giudizio, che appare congruo liquidare nella complessiva somma di euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute presente giudizio dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille, oltre accesso di legge.
Così deciso il 5 febbraio 2025 Il consigliere estensore Il Presidente