Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 569 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 569 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il 01/04/1984
avverso l’ordinanza del 10/03/2024 della CORTE APPELLO di BARI
Udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG per il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza depositata in data 18/03/2024 la Corte di appello di Bari ha rigettato l’istanza di equa riparazione presentata da COGNOME NOMECOGNOME per la dedotta ingiusta detenzione in carcere e successivamente agli arresti domiciliari, sofferta dal giorno 20/06/2007 al 19/06/2008 nell’ambito del procedimento nel quale era indagato per i reati di cui agli artt. 73-74, d.P.R. 309 del 1990 e 10 e 14 I. n. 497 del 1974.
Dalla suddetta imputazione il ricorrente era assolto per non aver commesso il fatto dal Tribunale di Bari in data 28/09/2017, con sentenza n. 3490/17.
Ha promosso ricorso per Cassazione COGNOME Nicola a mezzo del difensore, lamentando, in sintesi, come unico motivo ancorché articolato sotto diversi profili, il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nonché la violazione di legge ex art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 314 cod. proc. pen..
Secondo la difesa il Giudice della riparazione non ha ben valutato che il rapporto con lo zio NOME era soltanto telefonico e non può integrare la necessaria colpa, indicando specificamente la mancata conoscenza del traffico illecito dello zio NOME, e deducendo da tale comportamento l’assenza di dolo o colpa grave. Inoltre, a parere della difesa, la colpa grave associata causalmente alla misura restrittiva non può desumersi dalla mera congettura circa la verosimiglianza in ordine all’oggetto del traffico.
Da tale comportamento la Corte di appello avrebbe tratto conclusioni di segno contrario, con una motivazione contraddittoria in quanto, dopo aver fatto riferimento al ricorrente e alla sorella in ordine alle intercettazioni e aver richiamato il giudizio di cognizione che aveva escluso sospetti in modo incoerente conclude per il rigetto della domanda.
Il P.G., con requisitoria scritta, chiede che venga respinto il ricorso.
L’Avvocatura di Stato, nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con memoria tempestivamente depositata, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso risultano fondati e il ricorso deve essere accolto in quanto l’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo delle norme e dei principi che regolano la materia, come delineatasi con la giurisprudenza di legittimità circa i presupposti di applicabilità delle cause di esclusione del riconoscimento dell’indennizzo previsto dall’art. 314 cod. proc. pen.
Circa le circostanze ostative al riconoscimento dell’indennizzo la Corte di appello ha descritto nell’ordinanza impugnata la condotta del ricorrente precedente all’emissione dell’ordinanza cautelare che lo sottoponeva al periodo di GLYPH restrizione GLYPH prima GLYPH carceraria GLYPH e GLYPH poi domiciliare, GLYPH ripercorrendone sostanzialmente le tracce, incentrando la colpa del ricorrente sui frequenti rapporti telefonici con lo zio NOME, soggetto coinvolto nella vicenda avente un ruolo determinante nell’organizzazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti, in un complesso e articolato quadro criminoso associativo.
Nell’ordinanza di rigetto della riparazione la Corte di appello delinea il contesto delle indagini che avevano riguardato la persona del ricorrente unitamente agli altri originari coimputati, tra cui la sorella NOME (la cui richiesta veniva accolta) e lo zio NOME, nonché gli elementi indiziari da cui erano scaturite le accuse elevate a carico dell’istante, e che avevano condotto all’adozione della misura cautelare della custodia in carcere.
Il Giudice della riparazione evidenzia nel provvedimento impugnato l’esistenza di una serie di elementi raccolti nella fase delle indagini ostativi al riconoscimento dell’indennizzo. In particolare, dagli atti emerge il contesto criminale associativo oggetto dell’ordinanza cautelare che ha coinvolto anche l’odierno ricorrente, per l’attività di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, operante in Puglia. Specificamente la posizione di dell’odierno ricorrente emergeva nel corso delle indagini preliminari dalle intercettazioni telefoniche che lo pongono in relazione allo zio NOMECOGNOME
Da tali atti la Corte barese evince “consistenti elementi di colpa” grave del ricorrente per le frequentazioni e i rapporti intrattenuti dallo stesso con lo zio NOME principale indagato al momento dell’emissione della misura in quanto soggetto dedito in forma associativa al traffico di stupefacenti. In particolare, il nutrito contesto indiziario che ha condotto alla limitazione della libertà personale era ragionevolmente fondato sulle intercettazioni che hanno ingenerato gli indizi posti a fondamento della misura cautelare e che lo individuavano come personaggio in collegamento con lo zio dedito al traffico di stupefacenti. L’ordinanza impugnata riporta a pag. 2 le telefonate indicative di un linguaggio criptico afferente a comunicazioni ambigue dove il ricorrente riceve indicazioni
dallo zio di “cambiare scheda e telefono”, dove il ricorrente dice allo zio che qualcuno dovrà venire a trovarlo, di non farsi vedere con persone sospette per evitare controlli, etc.
Se tali elementi assumevano un rilievo altamente significativo ai fini della misura cautelaren’ordinanza di rigetto della richiesta di indennizzo avrebbe dovuto assumere e considerare i fatti accertati all’esito del giudizio di assoluzione anche al fine di verificare se al momento dell’emissione della misura restrittiva vi fossero elementi colpevolmente attribuibili a COGNOME tanto da trarne un giudizio di colpa grave in relazione alla misura cautelare che lo ha colpito. Le frequentazioni del ricorrente con gli ambienti associativi incriminati, che si pongono in rapporto causale sinergico rispetto all’adozione della massima misura cautelare, legittimavano l’intervento a tutela delle esigenze cautelari rappresentate nell’ordinanza restrittiva sulla base di un grave e convergente materiale indiziario ma ora, in sede di valutazione della richiesta di indennizzo, deve darsi adeguata motivazione che vi sia stato un comportamento da ritenere gravemente colposo da parte di COGNOME, tale da creare quell’apparenza idonea a indurre un univoco e grave quadro indiziario.
La Corte di appello non spiega come la complessità delle intercettazioni, con linguaggio criptico, in un solido contesto investigativo, fondi il nesso causale tra un atteggiamento volontario o almeno gravemente colposo consapevole dell’attività dello zio e l’emissione della misura cautelare detentiva. Dal contesto indiziario, ritenuto sufficiente a fondare la misura cautelare ancorché non un’affermazione certa e indubbia di responsabilità, la Corte desume la sussistenza di fatti tutti riconducibili ai comportamenti del ricorrente che hanno ingenerato la falsa apparenza della configurabilità di vari illeciti penali dando luogo alla detenzione con rapporto di causa-effetto.
In proposito si noti che il giudizio causale da effettuarsi in tema dì riparazione per ingiusta detenzione, al fine di stabilire l’associazione causale tra comportamenti almeno gravemente colposi e condizione processuale restrittiva della libertà personale, debba essere volto a stabilire con valutazione “ex ante”, non se la condotta serbata dal richiedente integri gli estremi di reato, ma solo se essa sia stata presupposto idoneo ad integrare, ancorché in presenza di un errore dell’Autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (così in motivazione, Sez. U n. 34559 del 26/06/2002, Rv. 222263).
A tale fine il giudice deve considerare tutti gli elementi a sua disposizione, di natura processuale ed extraprocessuale, con un unico limite, rappresentato dal fatto che non possono ritenersi accertate circostanze escluse dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo abbia valutato come dimostrate (così, Sez. 4, Sentenza n. 12228 del
10/01/2017, Rv. 270039; conforme Sez. 4, Sentenza n. 11150 del 19/12/2014, Rv. 262957).
Il giudice della riparazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso di causa e della colpa grave (o eventualmente del dolo) dell’interessato, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale probatorio acquisito dal giudice della cognizione, “deve seguire un iter logicomotivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si sono poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento «detenzione» ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, di natura civilistica, sia in senso positivo che negativo” (così, in motivazione, Sez. U, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia).
Nel caso dell’ordinanza impugnata, in tal senso, non appare soddisfare tale consolidato principio l’indicazione del linguaggio criptico utilizzato con i parenti e soprattutto con lo zio NOME ma è necessario spiegare se, con grave colpa di COGNOME, ciò abbia causato l’apparenza che ha portato a coinvolgerlo nelle indagini e a renderlo destinatario della misura cautelare personale. Le doglianze difensive sono, quindi, idonee , ad incrinare la correttezza del ragionamento seguito dal Giudice della riparazione nell’ordinanza senza dare effettiva considerazione al nesso causale e alla gravità della colpa rispetto all’apparenza che ha portato alla misura restrittiva nella consapevolezza dell’attività criminosa dello zio o di altri parenti, da parte di COGNOME
Pertanto, il Collegio annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
In Roma, così deciso il 13 giugno 2024
Il Consigliere estensore