Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36109 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36109 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
IL FUNZION/Ú, sul ricorso di COGNOME NOME, nato ad Afragola il DATA_NASCITA, GLYPH NOME avverso l’ordinanza in data 07/12/2023 RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello di Napoli, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria RAGIONE_SOCIALE‘Avvocatura RAGIONE_SOCIALEo Stato che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 7 dicembre 2023 la Corte di appello di Napoli, decidendo in seguito ad annullamento con rinvio disposto con sentenza RAGIONE_SOCIALEa Sezione 4 RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione n. 13815 del 03/04/2023, ha rigettato l’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME.
Il ricorrente lamenta la violazione di legge perché ritiene che la Corte di appello di Napoli non abbia rispettato il dictum RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione. Espone di essere stato ingiustamente carcerato per 1103 giorni e di essere stato assolto dal reato di tentata estorsione mafiosa con la formula perché il fatto non sussiste.
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Insiste nella sua versione dei fatti, e cioè che si era ritirato dall’affare RAGIONE_SOCIALEa gestione RAGIONE_SOCIALEa pompa di benzina dopo che aveva scoperto il prevalente interesse del suo concorrente al quale aveva porto le scuse per i comportamenti aggressivi. Ritiene quindi di non aver agito con colpa grave che invece ravvisa nel comportamento del Pubblico ministero che non aveva operato per un tempestivo accertamento dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
COGNOME ha subìto la carcerazione preventiva per aver tentato l’estorsione con l’aggravante RAGIONE_SOCIALEa mafiosità ai danni di un concittadino afragolese che stava costruendo un impianto per la distribuzione RAGIONE_SOCIALEa benzina.
La vittima aveva denunciato che gli estorsori gli si erano presentati a nome di NOME COGNOME, dirigente RAGIONE_SOCIALEa egemone cosca camorristica, per cui si era recato personalmente dal capoclan, NOME COGNOME, il quale aveva dichiarato di non aver mai autorizzato quell’estorsione e che avrebbe verificato chi aveva ardito millantare il suo nome. Dopo qualche giorno, COGNOME si era scusato con lui. Nella fase RAGIONE_SOCIALEe indagini, tale condotta era stata ritenuta significativa, dal punto di vista indiziario, del concorso di COGNOME nel tentativo di estorsione. Nel processo era stato accertato, invece, che il ricorrente, soggetto incensurato e non collegato al clan, ma conoscente di NOME COGNOME per essere stato suo vicino di casa anni prima, si era mosso autonomamente perché interessato all’affare RAGIONE_SOCIALEa pompa di benzina e autonomamente aveva desistito quando aveva scoperto che il concorrente era più avanti di lui nel conseguimento RAGIONE_SOCIALE‘obiettivo. Era stato quindi assolto perché non era stata raggiunta la prova RAGIONE_SOCIALE‘interferenza RAGIONE_SOCIALEa sua condotta con quella degli altri estorsori e RAGIONE_SOCIALEa consapevolezza RAGIONE_SOCIALEe altrui modalità intimidatorie.
Nell’annullare con rinvio la prima ordinanza di rigetto RAGIONE_SOCIALEa richiesta di indennizzo, la Corte di cassazione aveva sottolineato che il silenzio legittimamente serbato da COGNOME durante l’interrogatorio di garanzia non era di per sé causa ostativa all’indennizzo e che la decisione non poteva prescindere dal fatto che il giudicato penale aveva escluso che l’istante avesse rivolto personalmente la richiesta estorsiva alla vittima.
La Corte di appello di Napoli, con l’ordinanza impugnata, ha risposto pienamente alle indicazioni RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione recando una motivazione accurata, immune da censure e perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, per stabilire la ricorrenza di un comportamento processuale o extraprocessuale ostativo al riconoscimento del beneficio, il giudice è tenuto a valutare “ex ante”, secondo un iter logico motivazionale del tutto
autonomo da quello del processo di merito, tutti gli elementi probatori disponibili, atti a dimostrare che la condotta sia stata il presupposto che abbia ingenerato, seppur in presenza di un errore RAGIONE_SOCIALE‘autorità procedente, la falsa apparenza RAGIONE_SOCIALEa sua configurabilità come illecito penale (tra le più recenti, Sez. 4, n. 39726 del 27/09/2023, COGNOME, Rv. 285069 – 01).
Ha infatti osservato che la condotta di COGNOME era stata gravemente colposa e concorrente nella determinazione RAGIONE_SOCIALEa falsa apparenza RAGIONE_SOCIALEa sua penale responsabilità e dunque nell’induzione in errore del giudice RAGIONE_SOCIALEa cautela. La scelta di andare a chiedere scusa alla vittima, pur non coinvolto nell’estorsione e ignaro RAGIONE_SOCIALE‘intervento del capoclan, era stata quindi falsamente confessoria, perché priva di una qualsiasi altra interpretazione ragionevole. Coloro che si erano presentati a chiedere scusa dopo l’intervento del capoclan erano stati solo gli estorsori che si erano permessi di agire senza autorizzazione con spendita abusiva del nome. Perciò, era ragionevole ritenere che le scuse del COGNOME fossero maturate nel medesimo contesto. Del resto, non era credibile che, nell’ambito RAGIONE_SOCIALEo svolgimento di atti di concorrenza tra imprenditori, il recedente dall’affare ritenesse di chiedere scusa al competitore, solo per il fatto che era “un compaesano”. La Corte di appello di Napoli ha quindi stimato che il comportamento tenuto era stato gravemente imprudente e sinergicamente concorrente nell’erronea determinazione del giudice RAGIONE_SOCIALEa cautela. La narrazione era stata priva di senso e di minima attendibilità, frutto di una strategia difensiva, a cui, del resto, non aveva aderito neanche il giudicato penale assolutorio, che si era limitato a prenderne atto, senza attribuirle un crisma di veridicità.
Alla luce RAGIONE_SOCIALEe considerazioni svolte, il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento, non solo RAGIONE_SOCIALEe spese processuali ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 616 cod. proc. pen., ma anche RAGIONE_SOCIALEe spese di lite sostenute dal MEF, che si è costituito e ha depositato memoria, che si liquidano, alla stregua RAGIONE_SOCIALEe risultanze di causa, come da dispositivo.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALEe spese processuali nonché alla rifusione RAGIONE_SOCIALEe spese sostenute dal RAGIONE_SOCIALE liquidate in complessivi euro 1.500 oltre accessori di legge
Così deciso, il 6 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Pre dente