Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20368 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20368 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Villaricca il 05/01/1987
avverso la sentenza del 15/11/2024 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dell’Avvocato generale dello Stato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Giudicando in sede di rinvio disposto dalla Quarta sezione di questa Corte di cassazione con sentenza n. 17562 del 16 gennaio 2024, la Corte di appello di Bologna ha rigettato la domanda di riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME in relazione all’asserita ingiusta detenzione patita in regime di arresti domiciliari dal 18 gennaio 2021 al 12 luglio 2021, data della revoca disposta dal Tribunale del riesame per insussistenza della gravità indiziaria in ordine a cinque delitti di rapina aggravata contestati i concorso, delitti da cui il COGNOME è stato assolto con sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Bologna in data 16 luglio 2021, irrevocabile il 30 novembre 2021.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME per il ministero del difensore di fiducia e procuratore speciale, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa grave. Rappresenta il difensore che il mantenersi in contatto con una persona pregiudicata, quale il COGNOME – condotta integrante una “leggerezza colposa”, come ritenuto nella precedente ordinanza – è stata valutata come una condotta gravemente colposa sulla base dei medesimi elementi precedentemente valutati; aggiunge il difensore che, comunque, non risulta nemmeno verificato che sia stato il COGNOME ad intrattenere contatti telefonici con il COGNOME, in quanto l’ute telefonica era intesta a terze persone e che nel periodo di commissione dei reati non si sapeva nemmeno chi fosse in possesso di detta utenza. Parimenti illogica, ad avviso del difensore, è la motivazione laddove ha configurato la colpa grave nell’avere intessuto rapporti di stretta amicizia con un soggetto condannato, quantomeno in primo grado, per i reati di rapina a lui ascritti, posto che la sentenza di condanna è successiva all’ingiusta detenzione patita dal COGNOME al quale, dunque, nulla si può rimproverare in merito alla frequentazione con soggetti pregiudicati, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità indicata nel ricorso.
2.2. Con un secondo motivo, censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per avere la Corte di appello di Bologna ritenuto inammissibile l’ulteriore domanda risarcitoria, laddove, invece, tale domanda può essere soddisfatta in questa sede.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che la Corte di cassazione, con l’indicata sentenza rescindente, ha ravvisato profili di colpa nella condotta del ricorrente, posto che “l’istante aveva avuto rapporti di conoscenza, frequentazione e stretta colleganza con il coimputato COGNOME NOME – condannato per le stesse rapine per cui il COGNOME era stato sottoposto a giudizio – per come risultato dai costanti contatti telefonici intercorsi tra i due, talora aventi tempistiche e modalità del tutt originali (di notte e da posti vicini), anche con contestuale presenza delle loro utenze nella stessa cella e nelle vicinanze dei luoghi di svolgimento delle rapine. Per come logicamente ritenuto dai giudici della riparazione, il COGNOME aveva intrattenuto tale rapporto nella piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte poste in essere dal suo coimputato, peraltro gravato da numerosi precedenti della stessa indole, perfino trovandosi in sua compagnia subito prima o poco dopo che il COGNOME aveva commesso i delitti per cui è stato condannato”.
Nondimeno, la Corte ha ritenuto la motivazione non sufficiente e congrua in merito al grado di colpa configurato a carico del Perillo, precisando che la colpa lieve, ove ritenuta sussistente, potrebbe rilevare non già come causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, ma solo ai fini dell’eventuale riduzione della sua entità.
Ciò posto, ritiene il Collegio che la Corte distrettuale abbia colmato la carenza motivazionale evidenziata nella sentenza rescindente.
Il giudice della riparazione, del tutto correttamente, ha qualificato come connotate da colpa grave – e quindi ostative al riconoscimento del diritto all’indennizzo – una serie di condotte accertate nel procedimento principale, quali: a) il rapporto di frequentazione e stretta colleganza del ricorrente con il coimputato COGNOME NOME, ritenuto responsabile delle medesime rapine originariamente ascritte al COGNOME, come emerge dai contatti telefonici costanti tra i due, alcuni dei quali immediatamente precedenti o successivi rispetto alla consumazione di un fatto di rapina; b) lo spegnimento dell’utenza in uso al COGNOME nei momenti di consumazione del delitto di rapina di cui al capo 3), in un contesto in cui i tabulati hanno evidenziato l’assoluta episodicità di tale spegnimento, circostanza in relazione alla quale il ricorrente non ha mai fornito alcuna plausibile spiegazione; c) la presenza delle utenze in uso al COGNOME e al COGNOME nella stessa cella e nei pressi del luogo della rapina, luogo diverso da
quello dove il ricorrente risiede e svolge la sua attività lavorativa, e, anche in t caso, il ricorrente ha omesso di fornire alcuna spiegazione.
Invero, rammentato che, poiché la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (per tutti, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203637 – 01), nel caso di specie non può certo dirsi manifestamente illogica la motivazione, che, nel valutare unitariamente gli elementi dinanzi indicati, pacificamente accertati nel processo di merito, ha ritenuto che la condotta posta in essere dal COGNOME sia improntata a severi profili di opacità ed incongruenza tali da meritare la qualificazione in termini di “colpa grave”, e che, dunque, abbia certamente creato una situazione equivoca ed ambigua idonea ad evocare, secondo un canone di normalità, la partecipazione del ricorrente ai delitti di rapina in contestazione, determinando, in tal modo, l’adozione e il mantenimento del provvedimento restrittivo.
Pertanto, non può considerarsi illogico e carente di motivazione il riconoscimento della colpa grave nel comportamento del COGNOME, posto che il giudizio sulla medesima va effettuato ex ante e che i fatti di cui innanzi non sono stati esclusi dal giudice penale.
Le censure non colgono nel segno perché, per un verso, contestano la sussistenza di comportamenti già valutati come colposi dalla sentenza rescindente, e, per altro verso, non si confrontano con tutti gli elementi, dinanzi indicati, posti a fondamento del giudizio di gravità della colpa nelle condotte pacificamente accertate in capo al COGNOME.
Si osserva, infine, in replica al secondo motivo, che l’accertamento della colpa grave, precludendo la possibilità di ottenere la riparazione, è parimenti ostativa anche al riconoscimento di ogni ulteriore domanda risarcitoria ex art. 314 cod. proc. pen.
7. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché
della somma di euro 1.000 in favore del Ministero dell’Economia e delle finanze.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 1.000 in favore del Ministero dell’Economia e delle finanze.
Così deciso il 18/04/2025.