Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33202 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33202 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 30/08/1994
avverso l’ordinanza del 07/03/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona della sostituta NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza emessa il 7 marzo 2025 la Corte di appello di Bologna ha rigettato la richiesta di riparazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME per l’ingiusta detenzione da costui subita in carcere da 31 luglio 2020 al 23 marzo 2021 per un periodo di 235 giorni in relazione ai reati di rapina aggravata e tentata estorsione.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso nell’interesse del Didone affidato a due motivi.
2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 314 cod. proc. pen. Secondo la difesa la Corte tz~g ha errato nell’affermare che, a seguito dell’intervento della P.G., su richiesta del persona offesa, COGNOME si sarebbe dato alla fuga. Del pari ha errato la Corte nel ritenere che la persona offesa, spaventata, avrebbe lucidamente ricosturito i fatti sostenendo di essere stato minacciato con un coltellino e costretto dal COGNOME ad attendere dalle 21,30 alle 9.00 del mattino l’apertura della banca, dopo che la persona offesa gli aveva fornito il pin errato della carta che veniva, pertanto, bloccata. L’argomento è stato neutralizzato dalla sentenza di assoluzione attraverso la visione delle immagini estrapolate dalle videocamere come pure è stato neutralizzato quello secondo cui COGNOME avrebbe sottratto alla persona offesa i telefoni cellulari prima che entrasse nell’istituto di credito, alla luce delle dichiarazioni di segno contrario dei dipendenti del banca.
Quanto all’interrogatorio reso in fase di convalida del fermo il contegno del COGNOME non è stato affatto reticente essendosi costui limitato ad affermare fatti a sé favorevoli.
Con riferimento ai presunti opachi rapporti di debito-credito che si assumono volutamente tenuti nascosti, rileva la difesa che iin sede di convalida, COGNOME ha affermato che la persona offesa avrebbe cercato di prelevare tramite bancomat del denaro “per la serata”, promettendo anche un “regalino” al COGNOME, con ciò confermando lo stato di bisogno in cui versava e in virtù del quale aveva chiesto denaro alla presunta vittima. Quanto poi al terzo soggetto presente/ la difesa si chiede se detta presenza sia fondata su dati certi e non piuttosto su congetture senza che da ciò possa inferirsi che la presunta vittima sia stata posta in una condizione di inferiorità fisica e psichica.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 314, co. 4 e 657 cod. proc. pen. La Corte della riparazione ha errat laddove ha contestato l’applicazione al caso in esame del computo di periodi
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di custodia cautelare per i quali il condannato avrebbe già ottenuto il riconoscimento della riparazione. COGNOME non ha mai avanzato altra richiesta di indennizzo in ragione di precedenti condanne. Eventuali computi ex art. 657 cod. proc. pen. vanno presi in esame solo in virtù di condanne successive a quella passata in giudicato per cui si chiede l’indennizzo e non anche per quelle intervenute precedentemente per le quali COGNOME non ha a ‘ vanzato richiesta.
Lamenta, infine, la difesa l’anomalia delle conclusioni cui è pervenuta la Corte della riparazione che, per un verso iha rigettato la richiesta di riparazione e, per altro ver”ha compensato le spese.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto de ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non merita accoglimento.
Vale la pena ricordare che è stato costantemente ribadito il principio secondo cui tra il giudizio di cognizione e quello per la riparazione dell’ingiusta detenzione vi è completa autonomia; si tratta, invero, di operare su piani di indagine diversi che possono portare a risultati differenti, sulla scorta del medesimo Materiale probatorio acquisito agli atti, con l’unico limite che non è consentito al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato come dimostrate (sez. 4 n 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957; Sez. 4, n. 12228 del 10/1/2017, Quaresima, Rv. 270039).
I giudici della riparazione, dopo avere ricostruito la vicenda processuale che ha riguardato COGNOME e delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, richiamando il compendio indiziario valorizzato ai fini della adozione del provvedimento di fermo e la relativa ordinanza genetica e di seguito la sentenza di assoluzione, hanno rigettato la domanda di riconoscimento dell’indennizzo, ravvisando nel comportamento tenuto dal ricorrente profili di colpa ostativi.
La Corte della riparazione, a tal fine, ha premesso che il procedimento era scaturito dalla richiesta di intervento effettuata il pomeriggio del 31 luglio 2020 da NOME COGNOME il quale lamentava di essere stato minacciato sulla pubblica via da un soggetto che aveva tentato di rapinarlo. Intervenivano gli agenti di P.G. presso l’istituto di credito “RAGIONE_SOCIALE” sito
a Rimini, in INDIRIZZO alla vista degli agenti il COGNOME si dava alla fuga fino a INDIRIZZO dove gli operanti lo raggiungevano e lo fermavano. COGNOME riferiva ai militari di aver incontrato COGNOME poco prima e di essere stato costretto a salire sull’autobus per recarsi in banca per prelevare denaro da consegnargli, minacciandolo con il gesto di tagliargli la gola. Giunto in banca, COGNOME chiedeva l’itervento delle forze dell’ordine alle quali riferiva che il COGNOME era lo stesso soggetto nei confronti del quale aveva già presentato denuncia in quanto il 23 luglio alle 23,00 lo aveva già avvicinato chiedendogli denaro; allorquando COGNOME gli aveva risposto di non averne, l’uomo gli aveva puntato un oggetto acuminato al fianco, costrigendolo ad andare in banca per prelevare del denaro. Giunti al bancomat COGNOME gli aveva strappato il portacarte dalle mani e aveva preteso che COGNOME gli fornisse i codici del bancomat. La persona offesa, spaventata, gli forniva i codici sbagliati finché la carta si bloccava. Secondo il racconto del COGNOME, l’uomo lo aveva costretto ad attendere l’apertura della banca intimandogli di prelevare 600 euro. Entrato in banca COGNOME avrebbe riferito ad un dipendente ciò che gli stava accadendo, scrivendolo su un foglio di carta, chiedendogli di bloccare le carte ma il dipendente rispondeva di non poterlo fare. Uscito dall’istituto di credito COGNOME riferiva a COGNOME che non era possibile effettuare il prelievo e costui si allontanava portando con sé i due cellulari del COGNOME, il bancomat e la carta di credito ricaricabile. E’ stato poi evidenziato che )nel corso dell’interrogatorio di convalida, eseguito il 31 luglio 2020, COGNOME negava di aver sottratto a COGNOME i cellulari e le carte di credito, precisando di averlo conosciuto il 23 luglio 2020 e di essersi limitato ad accompagnarlo allo sportello bancomat perché COGNOME voleva prelevare del denaro “per fare la serata”; quanto al 31 luglio, COGNOME ammetteva di avere incontrato nuovamente COGNOME NOME e di avergli chiesto del denaro, sia pure escludendo di averlo minacciato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. La Corte della riparazione, dopo aver dato atto dell’esito assolutorio dell’imputato, giustificato dal giudizio di scarsa credibilità attribuito al dichiarazioni della persona offesa, ritenute inidonee a fondare una pronuncia di condanna, oltre ogni ragionevole dubbio, in un confronto compiuto con gli argomenti spesi nella sentenza assolutoria, ha passato in rassegna gli elementi neutralizzati dalla sentenza di assoluzione (l’impossessamento del telefonino da parte del Didone, la richiesta di aiuto al dipendente della banca scritta su un foglio). Posto poi il dubbio che tra i protagonisti della vicenda possano essere intercorsi rapporti di debito-credito opachi, da entrambi volutamente tenuti nascosti, nell’autonomia di giudizio che le è propria, la Corte bolognese ha valorizzato innanzitutto il tentativo di fuga posto in
essere dal COGNOME, alla vista degli agenti intervenuti, il 31 luglio 2020, su richiesta del COGNOME oltre che sull’ammissione, in sede di convalida del fermo, da parte del ricorrente, di avere effettivamente chiesto denaro al COGNOME pur escludendo di avere usato minaccia nei suoi confronti.
Si tratta dei medesimi elementi sulla “cui esclusione nulla è stato significativamente dedotto nell’istanza” (v. pag. 3 dell’ordinanza pronunciata dalla Corte della riparazione) né con il ricorso oggi proposto che, per lunga parte, prospetta e ribadisce gli aspetti della pronunce assolutorie che pure la Corte di appello ha preso in esame, sostenendo che le conclusioni cui il provvedimento è pervenuto sarebbero solo “illazioni, congetture, teoremi sconclusionati” come “la presunta fuga”. In proposito, la difesa, che non si confronta con la motivazione e ne travisa il contenuto assume in maniera apodittica che la fuga non vi sarebbe attingendo dalle dichiarazioni del Didone secondo cui egli si sarebbe solo “spostato di trenta metri” e ciò a fronte di quanto già era stato evidenziato, ricavandolo dalla informativa a firma degli operanti che descrivevano la fuga, l’inseguimento e il successivo fermo che veniva convalidato.
Detta condotta è stata ritenuta dalla Corte della riparazione, integrante gli estremi della “colpa grave” nella nozione accolta dall’esegesi giurisprudenziale dell’art. 314 cod. proc. pen. in quanto ha determinato la falsa apparenza della penale responsabilità del Didone in ordine alla sussistenza degli elementi dotati di gravità indiziaria che hanno legittimato l’emissione del provvedimento di fermo e dell’ordinanza genetica.
Sul punto è principio consolidato quello secondo cui il giudice di merito, per valutare se chi l’abbia patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento all sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. A tal fine occorre esaminare la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale per stabilire con valutazione ex ante, non se la condotta configuri gli estremi del reato, ma solo se abbia costituito il presupposto che ha ingenerato, sia pure in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando così luogo alla detenzione con rapporto di causa-effetto (Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, COGNOME, Rv. 222263; Sez.4, n. 22642 del 21/3/2017, COGNOME, Rv. 270001; Sez. 4, n. 27458 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 276458).
Nel caso di specie la Corte di appello, in applicazione dei principi innanzi indicati, ha motivatamente valorizzato le risultanze indiziarie che avevano portato all’adozione del provvedimento di fermo: in primo luogo, la richiesta di intervento della p.o. il 31 luglio 2020 che lamentava di essere stato minacciato sulla pubblica via da un soggetto che aveva appena tentato di rapinarlo; in secondo luogo, il tentativo di fuga messo in atto dall’indagato alla vista degli agenti (circostanza pacifica in quanto emersa dall’informativa a cura degli operanti) oltre che l’ammissione, durante l’interrogatorio reso all’udienza di convalida del fermo / di avere effettivamente richiesto denaro al denunciante, sia pure senza spiegare le ragioni di tale richiesta. La motivazione della Corte bolognese, né apparente né illogica, risulta conforme all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non è configurabile nel caso in cui l’interessato abbia tenuto, consapevolmente e volontariamente, una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria, oppure una condotta informata a negligenza o imprudenza, sì da costituire prevedibile ragione dell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o di mancata revoca di quello già emesso (Sez. 4, n. 13360 del 28/02/2025, Rv. 287903 -01).
Quanto al secondo motivo, con cui si contesta che la Corte della riparazione avrebbe rinvenuto una ulteriore causa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo dall’esame del certificato del casellario da cui emerge che l’imputato avesse già beneficiato della sospensione condizionale della pena per ben quattro volte, per pene superiori al periodo di detenzione oggetto del presente ricorso, sospensione suscettibile di revoca, da cui ha ritenuto astrattamente applicabile il disposto di cui all’art. 314 co. 4 cod. proc. pen. non può che osservarsi come il tema proposto rimane, all’evidenza, superato alla luce del comportamento colposo ostativo ritenuto dal giudice della riparazione.
Da ultimo va rilevata l’inammissibilità per carenza di interesse del profilo dedotto dal ricorrente con cui si lamenta “l’anomalia” della conclusione della Corte territoriale che nonostante il rigetto della richiesta di riparazione formulata, piuttosto, che condannare il ricorrente, ha compensato le spese.
Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 4 luglio 2025
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