Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6308 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6308 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASSANO ALLO IONIO DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/06/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 27.6.2022, la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di NOME in relazione alla privazione della libertà personale dalla medesima subita in quanto sottoposta alla custodia cautelare in carcere dal 16.2.2015 al 2 aprile 2015 e poi in regime di arresti domiciliari dal 3.4.2015 alli 1.12.2015 in relazione ai delitti di cui ai capi 11) ( artt. 110 cod.pen., 73 e 8 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309) e 20) (art. 74, commi 1, 2, 3, 4 e 5 in rel. all’ar 80, comma 2, n. 2 d.p.r. 309 del 1990) in forza dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Castrovillari in data 16.2.2015.
Quanto al merito, con sentenza del 5.10.2016, all’esito di giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Catanzaro assolveva la NOME dai reati a lei contestati per non aver commesso il fatto, sentenza poi confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 24.4.2018 (irrevocabile il 25.1.2019).
La Corte d’appello ha fondato il diniego dell’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. sul rilievo che la condotta della istante integrante un’ipotesi di connivenza avesse avuto un’efficacia sinergica nel determinare l’applicazione della misura custodiale.
Avverso detta ordinanza COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione articolato in un solo motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) in relazione all’ art. 31 cod.proc.pen.
Si assume che l’ordinanza impugnata merita censura in quanto il giudice della riparazione ha erroneamente individuato una condotta ostativa al riconoscimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é manifestamente infondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In particolare, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione) in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, 3/6/2010, n.34656, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, 21/10/2014, n.4372/2015, COGNOME, RV. 263197; Sez.3, 5/7/2022, n.28012, COGNOME, RV. 283411).
Ancora più specificamente – e in relazione a profilo strettamente attinente al caso di specie – costituisce giurisprudenza del tutto consolidata quella in base alla quale la frequentazione ambigua, da parte del ricorrente, di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente’ ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione a condizione che emerga, quanto meno, una concausalità rispetto all’adozione, nei suoi confronti, del provvedimento applicativo della custodia cautelare (Sez.4, 18/12/2014, n.8914/2015; COGNOME, Rv. 26243601; Sez.4, 21/11/2018, n.53361, Puro, RV. 274498; Sez.4, 28/9/2021, n.850/2022, Denaro, RV. 282565).
Ciò premesso, in punto di elementi valutabili da parte del giudice adito in sede di domanda di riconoscimento dell’indennizzo, va richiamato il principio in base al quale il giudice, per ritenere se l’imputato vi abbia dato causa con dolo o colpa grave, deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché la loro utilizzabilità non sia poi stata espressamente esclusa in dibattimento (Sez.4, 18/2/2016, n.19180, COGNOME, RV. 266808), dovendo quindi esaminare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (Sez.4, 15/9/2016, n.41396, Piccolo, RV. 268238) e ciò in quanto la sinergia della condotta dolosa o gravemente colposa deve essere misurata sulla base degli elementi di prova utilizzabili nella fase delle indagini, la cui effettività e legittimità non espressamente esclusa al dibattimento, solo in quest’ultimo caso venendo meno l’apprezzabilità giuridica dell’elemento o la sua corrispondenza al vero processuale.
Nella specie la Corte territoriale ha fatto buon governo dei suddetti principi nella parte in cui ha ritenuto, che quanto risultante dalle emergenze processuali, valutate dal giudice della cognizione insufficienti ad affermare la penale responsabilità della NOME (costituite dal materiale intercettivo nonché dalle
attività di riscontro effettuate dalla P.G.), potesse essere valutato come integrante una condotta caratterizzata da colpa grave a carico della medesima.
In particolare la Corte di merito si è posta nel solco di quell’orientamento interpretativo della Corte di legittimità secondo il quale la frequentazione di soggetti coinvolti in attività illecite integra di per sé un comportamento gravemente colposo idoneo a escludere la riparazione per ingiusta detenzione (Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 26243601; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25861001; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25908201; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, NOME, Rv. 25787801); nella maggior parte dei casi, si trattava peraltro di detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato può, comunque, desumersi che la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite sia condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, se e in quanto (secondo il tenore letterale dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) sia da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dett frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 26039701; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv, 24807401; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 22098401).
In tema di contiguità ad attività di associazione a delinquere, si è poi osservato che, per un reato in concorso con altre persone, si contribuisce a dare causa all’adozione della misura cautelare se si sia consapevoli dell’attività delittuosa di altri e nondimeno, pur non concorrendo in quell’attività, si ponga in essere una condotta che si presti sul piano logico ad essere interpretata come contigua a quell’attività (Sez. 4, n. 268 del 22/01/1998, De Rachewiltz, Rv. 210628).
Ebbene, nella specie la Corte territoriale ha posto in rilievo che la NOME collaborava costantemente con il compagno NOME COGNOME, ritenuto vertice del sodalizio dedito allo spaccio degli stupefacenti e che manteneva i contatti con i fornitori stranieri; che questi aveva dirottato verso la casa della medesima COGNOME NOME quando doveva consegnare il denaro provento dello spaccio in
quanto l’abitazione della stessa offriva maggiori garanzie di riservatezza ricadendo fuori dal quartiere “Timpone Rosso” soggetto a controlli di polizia.
NOME aveva inoltre accompagnato l’COGNOME sia in Olanda, al fine di trattare l’acquisto della cocaina sequestrata nel marzo 2014, sia a Salerno ove COGNOME NOME avrebbe dovuto ricevere un carico di eroina proveniente dall’Albania.
In base alle superiori considerazioni il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 21.11.2023