Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28193 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GEROCARNE il 02/06/1953
contro
:
Ministero Economia e Finanze
avverso l’ordinanza del 27/01/2025 della Corte d’appello di Catanzaro
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di COGNOME in relazione alla privazione della libertà personale subita, nella forma della custodia cautelare in carcere, dal 30 novembre al 22 dicembre 2016 e, nella forma degli arresti domiciliari, fino al 25 gennaio 2018 nell’ambito di un procedimento in cui era indagato per i reati di omicidio volontario in concorso (capo A), distruzione di cadavere in concorso (capo B) e danneggiamento aggravato in concorso (capo C) commessi in Acquaro il 21 ottobre 2013, conclusosi in primo grado con la condanna dell’imputato per i reati di cui ai capi A) e B) e in grado di appello con sentenza assolutoria irrevocabile «per non aver commesso il fatto».
NOME COGNOME propone ricorso censurando l’ordinanza, con unico motivo, per violazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. nonché per illogicità ed erroneità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale ha identificato l’elemento soggettivo della colpa grave nell’avere il COGNOME mentito sulla dinamica fattuale relativa al momento antecedente l’omicidio, trascurando che l’ordinanza di custodia cautelare è stata applicata per il reato di cui al capo B) della rubrica,
dunque per una condotta avvenuta in un momento successivo all’evento omicidiario. Il mendacio relativo agli incontri precedenti l’omicidio e l’avvenuto scambio dei telefoni si riferisce, invece, alle fasi antecedenti il fatto di sangue, in relazione al quale il ricorrente è stato assolto; tanto più che il G.i.p. ha ricostruito gli eventi escludendo la presenza del COGNOME nel luogo del delitto, ma ammettendola nel luogo di ritrovamento del cadavere solo verso le 22 di sera. Non si comprende, pertanto, come tale circostanza avrebbe indotto in errore l’autorità giudiziaria nell’adozione della misura cautelare. La decisione viola il disposto normativo in quanto non può apprezzarsi il contesto omicidiario nel quale si è inserita la condotta, a meno di non svolgere un ragionamento ex post che non si addice a un giudizio di incidenza causale della condotta sulla misura cautelare.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria concludendo per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha individuato la condotta ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione evidenziando: che NOME COGNOME conosceva NOME COGNOME condannata in via definitiva per l’omicidio di NOME NOME COGNOME in quanto aveva con lei una relazione che durava da circa due anni, perdurante ancora al momento del fatto delittuoso; che la sera stessa dell’omicidio i due (COGNOME e COGNOME) avevano avuto contatti telefonici su una utenza riservata alle loro conversazioni e l’analisi dei tabulati telefonici consentiva di appurare la presenza del COGNOME in orario e in un luogo compatibili con il posto ove era stato commesso l’omicidio; che qualche ora prima del momento in cui è stato datato il fatto omicidiario, i due soggetti avevano avuto un incontro, avvenuto per scambiare i loro rispettivi cellulari, e che quella sera stessa il COGNOME utilizzava un’auto chiesta in prestito a un amico, nelle vicinanze della casa della Gallace e della zona di interesse dell’omicidio.
Il giudice della riparazione, premessa la descrizione del contesto, ha valorizzato il fatto che una circostanza, riferita dal COGNOME in sede di escussione
durante la prima fase delle indagini, prima dell’emissione dell’ordinanza cautelare, risultasse smentita dalle risultanze dei tabulati telefonici.
In particolare, l’istante aveva dichiarato: che una sera di fine ottobre 2013, verso le 20.30 circa, si era recato a casa di Liberata Gallace, in quanto lei gli aveva chiesto di uscire; che a bordo di una Fiat Uno, prestata dal suo amico COGNOME NOME, era partito alla volta di Acquaro e, giunto in corrispondenza dell’abitazione della Gallace, l’aveva aspettata per circa dieci/quindici minuti, attendendo il suo arrivo in disparte all’inizio della stradina sterrata che porta all’abitazione di quest’ultima; che, avendo notato la COGNOME scendere lungo la stradina sterrata che da casa sua conduce alla strada comunale, le si era avvicinato per chiederle di salire in auto; che la donna aveva risposto che non sarebbe potuta uscire in quanto aveva da fare e il COGNOME le aveva chiesto di chiamare suo figlio NOME perchè quella sera stessa sarebbe dovuto uscire anche con lui, per individuare un cane da caccia e si era, poi, intrattenuto con il figlio della COGNOME.
Tale racconto era sconfessato, come peraltro evidenziato nell’ordinanza genetica e non smentito nella sentenza assolutoria, dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico, che avevano consentito di appurare che la cella Wind agganciata dall’utenza di NOME COGNOME, durante la conversazione con il figlio, non ricadeva nel luogo in cui, a dire del COGNOME‘COGNOME, la predetta si sarebbe trovata, agganciando sia all’inizio che al termine della conversazione la cella Wind sita nel Comune di Dasà.
La Corte territoriale (pag.4) non ha mancato di sottolineare che il mendacio sul punto dell’istante ha corroborato il giudizio di gravità indiziaria espresso dal Giudice per le indagini preliminari, in tal modo evidenziando l’efficacia sinergica del mendacio rispetto all’emissione del titolo cautelare.
Come logicamente evidenziato nell’ordinanza impugnata, dunque, la circostanza che la misura cautelare sia stata disposta esclusivamente per il reato di distruzione di cadavere non priva di efficienza causale rispetto alla privazione della libertà personale il mendacio del COGNOME a proposito del luogo in cui quella stessa sera aveva incontrato la Gallace.
Risulta del tutto logico, dunque, l’aver ritenuto che tale comportamento dell’istante dovesse assumere rilevanza ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo ostativo all’indennizzo.
Il giudice della riparazione ha fatto corretta applicazione del principio, che qui si ribadisce, in base al quale «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, sebbene espressione del diritto di difesa, costituisce una condotta volontaria fortemente equivoca, che, andando al di là del mero silenzio, può avvalorare gli indizi su cui si fonda la misura
cautelare qualora investa elementi di indagine significativi e, quindi, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento del dolo o della colpa grave, ostativi alla riparazione» (Sez. 4, n. 24608 del 21/05/2024, F., Rv. 286587 -01; Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581 -01).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Così è deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME