Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7220 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7220 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 24,.:DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/05/2022 della CORTE APPELLO d: CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 23.5.2022 la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da COGNOME NOME in relazione alla sottoposizione alla misura della custodia cautelare in carcere dal medesimo patita dal 19.12.2000 al 21.12.2002 per un totale di giorni 732 di cui 492 in eccedenza rispetto alla pena definitiva per la quale é stato condannato (240 giorni).
Ripercorrendo in sintesi la vicenda processuale:
con ordinanza del 22.12.2000 il Gip del Tribunale di Cretone convalidava il fermo del prevenuto e lo sottoponeva alla misura della custodia cautelare in carcere in ordine al delitto di cui al capo A) ( art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 cod.pen.); capo B) (artt. 73, 74 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309); capo C) (artt. 110, 61 n. 2 e 81 cpv cod.pen., art. 2 e 4 I. n. 895 del 1967 e d.l. n. 152 del 1991);
detta misura veniva dichiarata inefficace in data 21.12.2002 per decorrenza dei termini massimi di fase cosicché veniva scarcerato in pari data;
in data 30.10.2012 il Tribunale di Crotone lo assolveva dal reato di cui al capo C) per non aver commesso il fatto e lo condannava per gli altri reati, unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione;
-interposto appello, la Corte d’appello di Catanzaro in data 13.11.2017 con sentenza n. 3269 (divenuta irrevocabile il 29.3.2018) dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti essendo i reati di cui al capo B) estinti per prescrizione (a seguito di riqualificazione degli stessi nella fattispecie di cui all’art. 74, comma 6, e nella fattispecie di CI.Ji all’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309 del 1990); condannava inoltre il COGNOME alla pena di mesi otto di reclusione per il reato di cui al capo A), quale aumento da porsi in continuazione rispetto alla pena già inflitta con altra sentenza passata in giudicato.
La Corte territoriale ha fondato il rigetto dell’istanza sul rilievo che, benché la protrazione della detenzione cautelare per un tempo superiore alla pena inflitta possa fondare il diritto alla riparazione, tuttavia ciò non ricorre qualora siano individuabili condotte gravemente colpose dell’istante che abbiano avuto un ruolo sinergico rispetto all’adozione ed al mantenimento della misura, condotte che nella specie la Corte territoriale ha ritenuto sussistenti.
Avverso detta ordinanza COGNOME NOME, a mezzo del difensore, propone ricorso per cassazione articolato in un motivo con cui deduce la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 125, comma 3,
cod.proc.pen. (ex art. 606 comma 1, lett. c) cod.proc.pen.) nonché la motivazione apparente ex art. 606 comma 1, lett. e) cod.proc.pen.
Si assume che l’ordinanza impugnata si presenta solo apparentemente motivata in relazione alla condotta gravemente colposa del COGNOME che secondo la Corte avrebbe dato causa e concorso al mantenimento della misura.
Peraltro il richiamo alla sentenza d’appello si riduce alla valorizzazione dei reati già accertati senza alcuna valutazione quindi sul se la c:ondotta tenuta dal COGNOME abbia indotto l’adozione ed il mantenimento della misura.
5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é infondato.
Al fine di valutare la sussistenza dei presupposti del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione nel caso che ci occupa, occorre considerare il principio secondo il quale ove il processo abbia avuto ad oggetto più imputazioni ed il provvedimento restrittivo sia fondato su più contestazioni, la condanna anche solo per una di queste, purché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà, esclude il diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 26472 del 7.10.2003, Campanelli, Rv. 226730 e Sez. 4, n. 29623 del 14.10.2020, Rv. 279713). Nel caso di specie, la condanna per il delitto associativo preclude la riparazione. Anche a differenziare le imputazioni, poiché è ius receptum che va indennizzata, in presenza delle ulteriori condizioni, la durata della detenzione eccedente quella sostenuta da titolo definitivo (Corte cost. n. 219 del 2008), nel caso di specie si rileva quanto segue.
Per i reati di cui al capo B) (artt. 73 e 74 d.p.r. n. 309 del 1990), il giudiz d’appello si é concluso con una sentenza di non doversi procedere, essendosi i reati estinti per prescrizione, di talché in questo caso trova applicazione il principio, secondo cui non è configurabile il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, a meno che la durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile, o a quella in concreto inflitta, ma solo per la parte di detenzione subita in eccedenza, ovvero quando risulti accertata in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’ingiustizia formale della privazione della libertà personale (v. ex plurinnis, Sez. 3, n. 2451 del 09/10/2014, COGNOME, Rv. 262396; Sez. 4, n. 44492 del 15/10/2013, COGNOME, Rv. 258086; Sez. 4, n. 38167 del 10/07/2013, COGNOME, Rv. 256207; Sez. 4, n. 34661 del 10/06/2010, COGNOME, Rv. 249076; cfr. altresì
la motivazione di Sez. 4, n. 15334 del 28/12/2015, dep. 2016, Pappalardo, non mass.).
Posto tale principio, frutto dell’interpretazione del giudice delle leggi e dell giurisprudenza di legittimità, si é affermata l’indennizzabilità della custodia cautelare che abbia avuto una durata superiore alla pena inflitta o a quella che avrebbe potuto essere inflitta (Sez. U. n. 4187 del 30/1.0/2008, dep.2009, Pellegrino, Rv. 241855).
Applicando tali principi nel caso di specie, occorre quindi avere riguardo non già alla pena astrattamente irrogabile, che attiene alle ipotesi in cui·non è stata mai pronunciata una condanna, ma a quella concretamente inflitta in primo grado (Sez. 4, n. 34661 del 10.6.2010, COGNOME, Rv. 248076 in motivazione).
In primo grado, invero, COGNOME era stato condannato alla pena di anni dieci anni e mesi sei per i reati di cui ai capi A) e B), ritenuto il reato di cui al capo B) più grave per il quale era stata determinata la pena di anni dieci.
Deve altresì rilevarsi che alla pronuncia di estinzione per prescrizione per i reati di cui al capo B) si é giunti dopo la riqualificazione dei reati nelle ipotesi dell’a 74, comma 6 e 73, comma 5, d.p.r. n. 309 del 1990, tenendo conto, tuttavia che, al tempo dell’adozione della misura, l’art. 73, comma 5 permetteva anche la detenzione in carcere cosicché nella specie non é configurabile neanche un’ipotesi di ingiustizia formale.
Alla stregua di tale ricostruzione, deve, pertanto, concludersi che correttamente la Corte di merito in relazione ai reati di cui al capo B) ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza ex art. 314 cod.proc.pen., sia pure su un diverso fondamento.
Con riguardo al reato di cui al capo A) (art. 416 bis, commi 1,2,3,4, e 5 cod.pen.), il giudizio di appello si é concluso con la condanna a mesi otto di reclusione. Manca, quindi, quella condizione di patimento di una detenzione che “travalica il grado di responsabilità personale” menzionato dalla Corte costituzionale (sent. n. 219/2008) quale essenziale presupposto della riparazione. Il delitto associativo è infatti stato ritenuto; esso è punito con pena ben superiore a quella inflitta in concreto; quest’ultima è stata determinata a titolo di aumento ex art. 81 cpv. c.p.
Il giudice della riparazione ha ravvisato una condotta gravemente colposa ostativa dell’istante con motivazione che non incorre nei vizi lamentati dal ricorrente, atteso che essa ha correttamente descritto quella condotta facendo richiamo ad una serie di convergazioni telefoniche in cui il COGNOME viene identificato con il soprannome di NOME ed in altre come interlocutore “NOME” e da cui si ricava come lo stesso fosse coinvolto nel traffico delle sostanze stupefacenti facente capo a COGNOME NOME, aggiungendo che detta condotta
ha avuto un’efficacia sinergica nell’adozione e nel mantenimento della misura cautelare.
Il ricorso va quindi rigettato. Segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24.10.2023