Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28893 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28893 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in ROMANIA il 13/03/1991
avverso l’ordinanza del 21/01/2025 della Corte di appello di Trieste udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Trieste, con ordinanza in data 21.01.2025, ha accolto solo parzialmente l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME
Il ricorrente era stato condannato dal Tribunale di Trieste, con sentenza del 5/10/2015 (irrevocabile il 04/10/2016), alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 55, co. 9 d.lgs. 231/2007 (ora art. 493 ter c.p.), con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Successivamente, con ordinanza del 19.03.2018, lo stesso Tribunale revocava la sospensione condizionale, ritenendo che il cumulo della pena suindicata con quella di mesi 6 di reclusione ed euro 400,00 di multa, inflitta al ricorrente con sentenza del Tribunale di Torino del 5/11/2010 (irrevocabile il 10/12/2010), determinasse il superamento del limite biennale per la concessione del beneficio.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste emetteva in data 05.02.2021 ordine di esecuzione con revoca del precedente decreto di sospensione, e successivamente, in data 07.06.2022, mandato di arresto europeo, in forza del quale il ricorrente veniva tratto in arresto in Romania il 4/11/2022 ( rectius , la sera del 03.11.2022) e ristretto presso la Casa Circondariale di Regina Coeli dal 1/12/2022.
La revoca risultava, tuttavia, illegittima, poiché il ricorrente, all’epoca dei fatti, era infraventunenne, circostanza che elevava a due anni e sei mesi il limite di pena sospendibile ex art. 163, comma 3, cod.pen., mentre il cumulo delle condanne riportate, comprensivo della conversione delle pene pecuniarie, ammontava a complessivi anni 2, mesi 2 e giorni 5 di reclusione, dunque inferiore alla soglia massima.
Sulla base di tali presupposti, il ricorrente avanzava istanza di riparazione per ingiusta detenzione, quantificando il pregiudizio subito in complessivi euro 44.006,07, così quantificati:
euro 19.101,42 quale indennizzo base (pari ad euro 235,82 per ciascuno degli 81 giorni di detenzione);
euro 13.800,00 a titolo di danno emergente, corrispondente al costo dei biglietti aerei per un volo dall’aeroporto di Bucarest a Sidney (Australia) previsto per il 03.11.2022, che il ricorrente non aveva potuto utilizzare a causa dell’arresto avvenuto mentre si trovava in aeroporto;
euro 11.104,65 a titolo di lucro cessante, per non aver potuto intraprendere l’attività lavorativa in Australia in forza di un contratto già stipulato come manager presso il ristorante “RAGIONE_SOCIALE” di Sidney, con uno stipendio annuo di 72.000 dollari Australiani (pari a 44.418,60 euro).
Con l’ordinanza oggi impugnata, la Corte di appello di Trieste accoglieva l’istanza limitatamente all’importo base di euro 19.101,42, e rigettava invece le richieste relative al rimborso del biglietto aereo e al mancato guadagno, ritenendo insufficiente la documentazione prodotta a supporto.
Il ricorrente censura l’ordinanza per violazione ed erronea applicazione degli artt. 314, 315 e 643 cod. proc. pen. e degli artt. 213, 215 e 738 comma 3 cod. proc. civ.., nonché per manifesta illogicità della motivazione, sotto un duplice profilo.
Si sostiene che, quanto al danno emergente relativo al biglietto aereo, la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto insussistente il nesso causale tra l’arresto e la perdita del volo, indicando come data dell’arresto il 4.11.2022, anziché considerare l’effettiva circostanza che il ricorrente fosse stato fermato presso l’aeroporto di Bucarest la sera del 3.11.2022, mentre si accingeva a imbarcarsi sul volo prenotato. La circostanza, pur non emergendo chiaramente dalla documentazione inizialmente prodotta, avrebbe potuto essere agevolmente accertata mediante l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio riconosciuti al giudice della riparazione.
In ordine al lucro cessante derivante dalla mancata assunzione in Australia, è stato illegittimamente negato valore probatorio alla dichiarazione rilasciata dal datore di lavoro NOME COGNOME ritenendola inadeguata in quanto non autenticata e priva di ulteriori riscontri documentali. La valutazione si pone in contrasto con i principi processuali in materia di efficacia probatoria delle scritture private non autenticate, le quali, in assenza di disconoscimento (nel caso di specie, la controparte Ministero dell’Economia e delle Finanze non si era nemmeno costituita), fanno piena prova fino a querela di falso.
In entrambi i casi, la Corte territoriale ha omesso di esercitare il potere-dovere di disporre l’integrazione documentale, espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riparazione per ingiusta detenzione in considerazione del fondamento solidaristico dell’istituto..
Ad avviso del ricorrente, l ‘o missione appare tanto più censurabile in quanto la difesa aveva espressamente formulato, in calce all’istanza, riserva di produzione documentale in caso di ritenuta insufficienza, chiedendo fin da subito la concessione di termine a tal fine.
Si chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Trieste affinché, nel rispetto dei principi di diritto enunciati, proceda a una corretta quantificazione dell’indennizzo complessivo, comprensivo anche delle voci di danno ulteriori rispetto al mero criterio aritmetico, previa integrazione dell’istruttoria secondo le linee direttive sopra indicate.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato memoria per il Ministero dell’Economia e Finanze, concludendo per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese, diritti e onorari del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, con il quale il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento degli ulteriori pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali dedotti con l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, è infondato.
1.1 La questione centrale sottoposta al vaglio di questa Corte attiene alla corretta distribuzione dell’onere della prova e ai limiti dell’allegazione dei pregiudizi ulteriori rispetto a quelli ordinariamente derivanti dalla privazione della libertà personale, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione.
L’ onere della prova nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, secondo la giurisprudenza di legittimità, segue un regime particolare, in cui il principio dispositivo è temperato dai poteri istruttori del giudice.
Come affermato da questa Sezione, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo per il quale la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione è riservata alle parti, tra le quali si distribuisce in base all’onere della prova, è temperato dai poteri istruttori del giudice, il cui esercizio d’ufficio, eventualmente sollecitato dalle parti, si svolge non genericamente ma in vista di un’indagine specifica, secondo un apprezzamento della concreta rilevanza al fine della decisione, insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della correttezza del procedimento logico (Sez. 4, n. 18848 del 21/02/2012, Rv. 253555).
Corollario del richiamato principio è che costituisce onere della parte allegare l’esistenza del danno, la sua natura ed i fattori che ne sono causa e, d’altro canto, dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni in merito alle conseguenze della privazione della libertà personale, esaminando se si tratti di danni causalmente correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base del fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze (Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Rv. 281513 -01, in motivazione a pag.11).
Tuttavia, l’allegazione non può essere generica, dovendo chi allega, ovvero il richiedente l’indennizzo, spiegare in maniera circostanziata – anche se non provare – il rapporto che sussiste tra il pregiudizio che allega e l’ingiusta detenzione patita (Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Spedo, Rv. 281513).
In una recente pronuncia, si è osservato che le doglianze in ordine alle conseguenze personali collegate all’ingiusta detenzione devono non solo essere allegate, ma circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita (Sez. 4, n. 5812 del 13/1/2021, Mercuri, non mass.).
Il giudice, quindi, non può surrogarsi all’inerzia ed agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente.
Siffatto onere di ‘puntuale allegazione’ rappresenta un’estrinsecazione del generale principio di ‘vicinanza alla prova’ che non si traduce, nel rito penale, nell’inversione dell’onere probatorio, ma consente l’estensione della ricerca della prova nella direzione indicata
dall’imputato, allorquando questi ‘informi’ adeguatamente ed in modo circostanziato l’organo che deve provvedervi (Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373).
Nel caso in esame, il giudice della riparazione ha offerto una motivazione congrua e priva di aporie logiche, rilevando che la documentazione prodotta non ha dimostrato maggiori danni subiti come effetto della detenzione, rispetto a quelli liquidati.
Si sottolinea che le circostanze addotte dal ricorrente a supporto del maggior pregiudizio sarebbero state facilmente e principalmente documentabili dal medesimo.
In particolare, con riferimento al danno emergente per la perdita del biglietto aereo, è stato evidenziato in ordinanza che il ricorrente non ha adeguatamente documentato l’effettiva impossibilità di ottenere il rimborso, come peraltro in precedenza avvenuto per lo stesso biglietto.
E il ricorso sul punto è privo di rilievi censori.
Analogamente, per quanto riguarda il danno derivante dalla mancata conclusione del contratto di lavoro, la inidoneità della dichiarazione di assunzione allegata dal ricorrente è stata ritenuta, non solo in considerazione del difetto di autenticazione della firma apposta sulla stessa, ma anche in virtù della mancata identificazione del soggetto che aveva asseritamente rilasciato la dichiarazione.
In questo senso, è opportuno richiamare il principio secondo cui la prova del danno ulteriore, pur potendo essere raggiunta mediante presunzioni, richiede pur sempre l’allegazione di circostanze concrete che rendano plausibile e verosimile il nesso causale con la detenzione patita e che consentano l’eventuale esercizio di poteri officiosi.
Al riguardo la Corte territoriale ha evidenziato l’assoluta aspecificità del documento prodotto, costituito da una proposta di lavoro proveniente da un soggetto non identificato, privo di firma autentica e di riferimenti idonei ad approfondire con l’eventuale esercizio di poteri istruttori officiosi la veridicità del contenuto.
La decisione impugnata pertanto ha fornito una motivazione logica e congrua in ordine ai criteri seguiti per la liquidazione dell’indennizzo, escludendo con argomentazioni giuridicamente corrette la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dei danni ulteriori.
Il ricorso deve pertanto essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Le spese in favore del Ministero resistente non sono dovute, atteso che, in applicazione del condiviso principio di diritto, già enunciato dalle sentenze delle Sezioni Unite con riguardo alla parte civile (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo), in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore dell’Avvocatura generale dello Stato non è dovuta allorchè -come nel caso di specie – essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la reiezione del ricorso, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese in favore del Ministero resistente.
Così deciso il 27 maggio 2025