Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13360 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13360 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FABRIZIA il 19/09/1963
nei confronti di
Ministero dell’economia e delle finanze avverso l’ordinanza del 24/10/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria Udita la relazione della Consigliera NOME COGNOME letta la memoria depositata dalla Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle finanze.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24 ottobre/4 dicembre 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha respinto l’istanza proposta da NOME COGNOME volta ad ottenere la liquidazione di un equo indennizzo per la privazione della libertà personale sofferta dal 10 febbraio 2017 al 9 dicembre 2019, in relazione al processo subito a seguito della contestazione del reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. Da questa accusa NOME COGNOME è stato assolto dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 13 maggio 2020, passata in giudicato il 16 ottobre 2020, a seguito dell’annullamento senza rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza del 29 novembre 2019, resa nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME La misura cautelare era stata disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, che aveva ritenuto sussistenti gravi indizi della partecipazione di COGNOME a un sodalizio – la “locale di Frauenfeld” considerato articolazione della” ‘ndrangheta” in territorio svizzero.
La Corte di appello, dopo aver evidenziato che la richiesta di riparazione era fondata sulla deduzione dell’ingiustizia della detenzione consequenziale al fatto che il giudizio di merito non aveva esaminato la questione relativa alla effettiva individuazione di NOME NOME COGNOME all’interno dei locali del RAGIONE_SOCIALE di Frauenfeld e al collegamento dello stesso ad un fatto associativo, ha ricostruito i fatti come segue.
L’istante era accusato nel processo cd. RAGIONE_SOCIALE di aver fatto parte della locale di Frauenfeld, emanazione del locale di Fabrizia, in particolare, della società minore, per come si evince dalle conversazioni captate all’interno del Boccia Club, dove si riunivano più soggetti di origine calabrese, che parlavano e trattavano espressamente dinamiche ” ndranghetistiche, ” battezzando” anche il locale e usando linguaggi e formule di carattere tipicamente e notoriamente “ndranghetistico”.
Era così emersa una struttura conforme a quelle di ‘ndrangheta, per quanto attiene al locale, alle cariche, ai riti di affiliazione e quindi alla sottoposizion Crimine calabrese. COGNOME aveva partecipato a riunioni significative, ad esempio nell’occasione in cui venne “battezzato” il locale, con la classica formula di ‘ ndrangheta, a cui segue la dichiarazione dello stesso, che si era dichiarato ” conforme”. L’ordinanza impugnata, inoltre, ha riportato ampio stralcio della motivazione dell’ordinanza del Tribunale della libertà, nelle parti in cui erano state
riportate le dichiarazioni, captate con intercettazioni ambientali, dei soggetti interessati.
Dunque, pronunciando la sentenza di assoluzione, la Corte d’appello di Reggio Calabria, pur prendendo atto della interpretazione dell’art. 416 bis cod.pen. adottata dalla Corte di cassazione in seno al procedimento nei confronti dei coimputati COGNOME non aveva criticato la sentenza impugnata in punto di accertamento del fatto che COGNOME fosse in effetti affiliato alla “locale di Frauenfeld” e che vi partecipasse conformandosi alle relative pratiche. Si era ritenuto, però, che il reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. non fosse nella specie configurabile, dovendosi attenere ai principi espressi dalla sentenza Albanese del 2019, con la quale questa Corte di legittimità ha sostenuto che un raccordo con la casa-madre non definito sul piano funzionale sarebbe insufficiente – proprio perché confinato nei cd. “interna corporis” del gruppo – a porsi come occasione per la proiezione all’esterno della nuova realtà criminale, impedendone la percezione sul territorio sotto il profilo della capacità di condizionamento mafioso del contesto sociale ed economico.
I giudici della riparazione hanno sottolineato che la stessa sentenza della Corte di appello aveva confermato l’accertamento in fatto sopra riassunto, secondo cui NOME COGNOME aveva stabili contatti con esponenti della ‘ndrangheta residenti in Svizzera; prendeva parte a rituali di affiliazione e partecipava alle riunioni che si tenevano in Frauenfeld.
Tale comportamento, non essendo neanche mai stata smentita l’individuazione dell’istante, non è stato disconosciuto nel giudizio di cognizione e ha avuto un ruolo sinergico nell’applicazione della misura cautelare; la sentenza di assoluzione era stata pronunciata, pur essendo provate le condotte sopra descritte, perché la “locale di Frauenfeld” non si era concretamente avvalsa, nel territorio svizzero e nel contesto sociale ed economico di quel paese, della forza di intimidazione propria della associazione di cui all’art. 416 bis cod.pen.
Sulla base di tali considerazioni, i giudici della riparazione hanno ritenuto che COGNOME avesse dato causa con dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale e che ciò ostasse all’accoglimento dell’istanza.
NOME NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto tempestivo ricorso contro l’ordinanza di rigetto, deducendo, con l’unico motivo, in relazione all’art. 314, commi 1 e 2, cod.proc.pen., vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza di condizioni ostative al riconoscimento dell’equo indennizzo.
(fr
La difesa osserva che i giudici della cognizione non avrebbero adeguatamente valorizzato il fatto che la sentenza di assoluzione non aveva accertato la partecipazione del ricorrente al sodalizio, ritenendo tale aspetto assorbito dalla più ampia considerazione che non si potesse ricondurre il sodalizio oggetto del procedimento nell’alveo dell’art. 416 bis cod.pen. In altri termini, era stato irrevocabilmente accertato che l’associazione della quale COGNOME faceva parte non era una associazione di tipo mafioso, in quanto carente l’esternazione della capacità di intimidazione che caratterizza il reato associativo di tipo mafioso.
Il difensore del ricorrente sottolinea:
che la carcerazione preventiva è stata sofferta per un fatto che, ab origine, non corrispondeva alla condotta tipica del reato contestato;
-che l’ingiustizia della detenzione subita consegue ad una errata interpretazione della norma incriminatrice e tale errore di diritto rende secondario e irrilevante il comportamento colposo dell’istante.
/ 1, GLYPH z Secondo la difesa, già prima dell’appez1 – mi, ‘e dell’ordinanza cautelare il panorama giurisprudenziale era consolidato nel senso di escludere la possibilità che organizzazioni come quella di cui COGNOME faceva parte potessero essere ricondotte nell’alveo dell’art. 416 bis c.p. Lo stesso Primo Presidente della Corte di Cassazione, infatti, nel procedimento a carico dell’imputato e di altro, ritenuti affiliati a medesima “locale”, aveva escluso che fosse necessaria la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, essendo ormai prevalente l’orientamento interpretativo secondo il quale l’integrazione della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non solo potenziale, “ma attuale, effettiva e obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengono in contatto con i suoi componenti”. La difesa sottolinea che il giudice della cautela e, nel processo di cognizione, il giudice di primo e secondo grado si attennero a una diversa interpretazione e sostiene che la misura cautelare fu prima applicata e poi mantenuta, in assenza di gravi indizi di colpevolezza, perché COGNOME fu ritenuto partecipe di una organizzazione che, come la giurisprudenza di legittimità ha poi riconosciuto, non presentava i crismi dell’associazione mafiosa.
Il Procuratore generale, nella persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Nello stesso senso ha concluso l’Avvocatura generale dello Stato con memoria depositata. Il ricorrente ha depositato tardivamente nota difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Il motivo di ricorso deduce la grave carenza e l’ illogicità della motivazione, perché non si sarebbe dovuto procedere all’accertamento della condotta colposa ostativa, trattandosi di ipotesi per la quale il diritto è riconosciuto a prescindere dall’accertamento della insussistenza della citata condotta ostativa, in quanto sarebbe stato accertato che le condizioni legittimanti la misura cautelare difettavano ab origine e a tale accertamento il giudice della cognizione era pervenuto sulla base dei medesimi elementi che aveva a disposizione il giudice della cautela.
E’ opportuno ricordare che la giurisprudenza di legittimità (vd., tra le altre, Sez. 4 n. 15388 del 21 marzo 2021) ha ormai consolidato nei seguenti termini il quadro interpretativo in materia.
L’art. 314 cod.proc.pen. contempla due distinte ipotesi di riparazione. La previsione del comma 1. . le concreta la cd. ingiustizia sostanziale, che ricorre (nella dimensione strettamente testuale, ampliata dal diritto vivente) allorquando ha subito custodia cautelare colui che è poi stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, e sempre che non abbia dato o concorso a dar causa alla custodia per dolo o colpa grave.
In taljpotesi, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, é incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, Min. Tesoro in proc. COGNOME, Rv. 222263; Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001).
E’ noto che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma “se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (…) Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel
1-A GLYPH 4
condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro (…) spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, COGNOME ed altri, Rv. 203638).
Ciò posto, pure deve rilevarsi che spetta al giudice di merito la ricerca, la selezione, la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave.
Il giudice del merito ha in primo luogo l’obbligo di dare al riguardo adeguata ed esaustiva motivazione, dispiegantesi secondo le corrette regole della logica, il cui mancato assolvimento in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Il perimetro entro il quale egli conduce la propria analisi non può che essere quello già definito nell’accertamento condotto nel procedimento “principale”, con la conseguenza che il giudice della riparazione non può ritenere l’esistenza di fatti esclusi dal giudice del processo, mentre può rivalutare ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione i fatti, anche penalmente irrilevanti, accertati o non esclusi dai giudici del merito (Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia Finanze, Rv. 247867).
Una seconda fattispecie, disciplinata al successivo comma 2, introduce la cd. ingiustizia formale. Essa si concreta allorquando ricorre l’illegittimità del provvedimento che ha disposto la misura cautelare, in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod.proc.pen.; tale illegittimità deve essere stata accertata con decisione irrevocabile che non può provenire dal giudice della riparazione, il quale non è investito della questione, ma solo dal giudice cautelare, sollecitato tramite impugnazione, o dallo stesso giudice del merito (Sez. 4 -, Sentenza n. 5455 del 23/01/2019, Cotza, Rv. 275022 – 01).
9.Va rimarcato che nell’ambito della cd. ingiustizia formale la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare f dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p.; ma tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare,
in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, Sentenza n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv. 247663 – 01).
Pertanto è evidente che, nel caso di specie, non trattandosi di fattispecie di ingiustizia formale che, per essere caratterizzata dall’assenza ab origine dei presupposti di legittimità, non richiede l’accertamento della condotta ostativa, correttamente la Corte d’appello ha proceduto alla verifica dell’assenza del dolo o della colpa grave in capo all’istante.
Ricondotte le doglianze al reale oggetto devoluto al giudice della riparazione, ovvero ad un’ipotesi di ingiustizia c.d. sostanziale ex art. 314 co. 1 cod. proc. pen., va evidenziato che il giudice della riparazione, pur procedendo a una non condivisibile opera di assemblaggio, mediante inserimento integrale delle trascrizioni riferite alle captazioni acquisite in sede di indagini, ha comunque motivato in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto e su tali aspetti è infondato il rilievo di vizio della motivazione denunciato dal ricorrente.
È stato sottolineato, mediante la riproduzione di ampi stralci del contenuto delle captazioni ambientali, in particolare, che il ricorrente, identificato dagli inquirenti non solo per il nome di battesimo ma anche per essere intestatario dell’autovettura HYUNDAY a bordo della quale giunse presso la sede del Boccia Club di Wingi TG, intervenne e partecipò alla riunione di ‘ndrangheta del 27.2.2011 in cui NOME COGNOME fece un brindisi e recitò formule per battezzare la società di ‘ndrangheta di Frauenfeld, dipendente dalla “casa madre” del “locale di Fabrizia”, il cui capo locale era rappresentato da NOME COGNOME, a sua volta subordinato a NOME COGNOME e, quindi al Crimine. La riunione era stata caratterizzata dall’osservanza di un rituale che manifestava la sussistenza del vincolo associativo tra i partecipanti.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso GLYPH intervento GLYPH dell’autorità GLYPH giudiziaria GLYPH a GLYPH tutela GLYPH della GLYPH comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996,
9– GLYPH 6
COGNOME ed altri, Rv. 203637); poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del già menzionato primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, attui, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’Autorità Giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
E’ stato pure affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034).
L’ordinanza impugnata ha fatto buon governo di questi principi di diritto. Ha valutato le condotte su indicate e le ha ritenute gravemente colpose perché idonee ad essere oggettivamente interpretate in termini di partecipazione a una compagine associativa di tipo mafioso e sufficienti a creare la falsa rappresentazione del reato posta a fondamento del provvedimento cautelare.
Tali argomentazioni non possono essere contrastate – come fa il ricorrente sottolineando che, all’esito del giudizio di cognizione, nelle medesime condotte non sono stati ravvisati estremi di reato. Ed invero, non v’è alcun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità nel considerare contrarie a regole di cautela condotte che, pur penalmente irrilevanti, siano idonee a suscitare allarme perché sintomatiche della partecipazione ad una associazione criminale.
In un caso sovrapponibile a quello oggetto del presente ricorso, questa Corte di legittimità ha sottolineato che “diversi orientamenti interpretativi, specie se ugualmente sostenuti da pronunce di legittimità non conformi tra loro, consentono alla pubblica accusa di formulare legittimamente l’imputazione e al giudice di disporre la misura cautelare, senza per ciò solo legittimare, in caso di esito assolutorio fondato sull’orientamento opposto, il riconoscimento del diritto alla riparazione” (Sez.4, n. 24006 del 24 maggio 2023, COGNOME, Rv. 284648, pag. 9 della motivazione). A tale condivisibile osservazione si deve aggiungere che
t
l’evoluzione GLYPH giurisprudenziale GLYPH relativa GLYPH all’applicazione GLYPH di GLYPH una GLYPH fattispecie incriminatrice non è certo idonea ad escludere che un determinato comportamento costituisca ragione di prevedibile intervento dell’autorità giudiziaria quale possibile indice della commissione di un reato e possa, per questo, essere considerato gravemente imprudente ( Sez. 4, n. 40335 del 2024).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Le spese in favore del Ministero resistente non sono dovute in applicazione del principio secondo il quale la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità non è dovuta nel caso in cui la parte non abbia fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, ovvero il suo rigetto, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (principio enunciato con riguardo alla parte civile ed in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, da Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese in favore del Ministero resistente.
Così deciso, il 28 febbraio 2025.